In 3 sorsi – Le conferme elettorali in Turchia e Grecia fanno sperare in una prosecuzione della “Diplomazia del terremoto” e in una normalizzazione dei rapporti tra Atene e Ankara. Le questioni di sicurezza nel Mediterraneo Orientale, tuttavia, sembrano volgersi in direzione opposta.
1. CONFERME ELETTORALI
Lo scorso 25 giugno si è tenuto il secondo turno delle elezioni parlamentari greche, che hanno condotto alla vittoria schiacciante della destra, rappresentata dal partito Nuova Democrazia. La rielezione a Primo Ministro di Kyriakos Mitsotakis segue quella avvenuta poche settimane prima in Turchia, che ha visto il Presidente Recep Tayyip Erdogan riaffermare il proprio dominio sulle istituzioni del Paese. Entrambi i processi elettorali hanno subito reciproche ingerenze che hanno a loro volta sollevato polemiche senza tuttavia condurre ad alcun provvedimento. Per molti analisti e funzionari governativi turco-ellenici, infatti, quello appena delineatosi rappresenta uno scenario ottimale, ove entrambe le parti, grazie alle relazioni instaurate durante il precedente mandato, sanno esattamente cosa attendersi l’uno dall’altro senza cadere vittime delle provocazioni reciproche. Inoltre, la “Diplomazia del terremoto”, sviluppatasi in seguito all’invio di aiuti dalla Grecia per fronteggiare il sisma che ha colpito la Turchia il 6 febbraio scorso, sembra aver aperto nuovi canali di dialogo e di cooperazione su questioni storiche, come la contestata sovranità sulle isole dell’Egeo, Cipro e le minoranze turche in Tracia, e di più recente portata, quale la gestione migratoria. Tuttavia, non solo la Turchia non intende rinunciare alle proprie pretese, ma nuove questioni mettono in discussione la tenuta della diplomazia del terremoto.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, incontra il Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis durante la 74a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, Stati Uniti, il 25 settembre 2019
2. SCHIZOFRENIA TURCO-ELLENICA
Se la cooperazione in campo migratorio sembra volgere verso sviluppi postivi, i pretesti per muovere accuse reciproche non mancano mai — come dimostrano le accuse di crimini contro l’umanità rivolte dalla Turchia alla Grecia in seguito al recente naufrago di Pylos, in cui sono morti circa trecento cittadini pakistani a causa del tardivo intervento della Guardia Costiera greca. Ankara continua infatti a porsi come “protettrice dei musulmani ovunque” e a utilizzare il salvataggio delle imbarcazioni in distress nel Mediterraneo Orientale per contestare la sovranità greca sulle isole dell’Egeo (come evidenzia l’incidente di Chios del mese scorso), nonché per avanzare pretese sulla propria Zona economica esclusiva (ZEE) – contestata da Atene e frutto della rinnovata intesa con la Libia. In questo senso, Patria Blu, la dottrina di politica estera turca che mira a potenziare la propria presenza nel Mediterraneo, rimane la stella polare che guida Ankara nelle proprie rivendicazioni geopolitiche. È indubbio, infatti, come l’agenda neo-ottomana turca sia inconciliabile con una diplomazia della distensione. Ciò non solo per gli obiettivi ai quali mira — controllare le rotte di transito del Mediterraneo Orientale verso l’Europa (obiettivo ostacolato dai diritti sovrani della Grecia e di Cipro, su cui Erdogan insiste ai fini di un riconoscimento internazionale di Cipro Nord), — ma anche per la crescita del nazionalismo turco che questa produce, con il risultato di irrigidire le posizioni interne in entrambi i Paesi.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontra il Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis nell’ambito del vertice NATO a Bruxelles, in Belgio, il 14 giugno 2021
3. IL POST-DIPLOMAZIA DEL TERREMOTO
La conclusione degli accordi per l’arrivo dei tanto desiderati F-35 di fabbricazione statunitense in Grecia — i primi due saranno consegnati entro il 2028 — condurrà a una evoluzione certa del ruolo di quest’ultima nell’architettura di sicurezza regionale. Come messo in luce da fonti militari greche, nei prossimi decenni “l’Occidente sarà diviso in Paesi che hanno gli F-35 e quelli che non li hanno”. Ciò impensierisce la Turchia, che, espulsa dal programma F-35 a causa dell’acquisizione di S-400 russi, adesso cerca di aggiornare i vecchi F-16. Ad allarmare la Turchia è in generale un rafforzamento delle relazioni greco-statunitensi, recentemente incentrate sul porto strategico di Alexandroupolis. Un ulteriore tassello si aggiunge a un quadro già complicato: la rimozione dell’embargo USA sulle armi verso Nicosia. Pietra angolare della politica turca nell’Egeo è infatti da sempre la demilitarizzazione delle isole greche — stabilita dal trattato di Losanna del 1923. L’eventualità che anche Cipro possa armarsi (ormai data per certa) rappresenta quindi un pericolo troppo grande per Ankara. Da qui l’ostruzione turca all’inserimento di Cipro nelle mappe operative regionali della NATO. Proprio il vertice NATO dell’11 e 12 luglio, durante il quale Mitsotakis e Erdogan si incontreranno, sarà fondamentale per stabilire se la de-escalation innescata con la diplomazia del terremoto avrà un seguito. È molto probabile che nel breve termine Erdogan voglia convergere verso una normalizzazione delle relazioni con Atene, ma al solo fine di rilanciare la propria politica estera con Stati Uniti ed Europa e modernizzare i propri F-16, superando l’ostruzionismo greco a riguardo.
Pietropaolo Chianese
Immagine di copertina: “Fighter jet, Lockheed martin F-35” by Wikilmages is licensed by CC BY