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Dopo Osama: quale futuro per l’Islam radicale?

In questo decennio il terrorismo jihadista grazie ad al-Qaeda ha conosciuto una grande notorietà internazionale tanto da influenzare le dinamiche politiche non solo delle società occidentali, ma anche e soprattutto di quelle arabo-islamiche. Oggi il campo politico mediorientale è monopolizzato da una parte da partiti convenzionali, come quelli islamici nelle loro molteplici versioni, mentre dall’altra da gruppi che richiamano al radicalismo islamista, se non proprio al jihadismo. La morte di bin Laden, però, ha offerto al mondo arabo-islamico la grande occasione di dimostrare che il rifiuto di un determinato modello culturale non sia sinonimo di integralismo e terrorismo

AL-QAEDA – “LA BASE” – Nata negli anni '80 come organizzazione di guerriglia in risposta all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica, al-Qaeda – che in arabo significa “la base” – nel corso degli anni '90 ha conosciuto una sua evoluzione e dopo l’11 settembre si è imposta all'attenzione internazionale facendo conoscere a tutti il terrorismo di matrice islamista: raggruppando intorno a sé una miriade di gruppi armati che ne hanno condiviso fin da subito obiettivi e modus operandi, essa è diventata qualcosa di più di un semplice “franchising del terrore”, bensì una vera e propria ideologia. STRATEGIA E NETWORK – L'obiettivo della rete qaedista è quello di rovesciare i governi arabi e islamici perseguendo un fantomatico “ritorno al califfato globale”. Le tattiche principalmente usate dalla “base” sono piccole azioni di guerriglia miste a vere e proprie azioni paramilitari che mirano a coinvolgere anche i civili. I toni e i metodi usati per prendere il potere richiamano spesso il jihad – che significa “lotta” o “lottare per qualcosa” –, un concetto complesso che molte volte è stato travisato e rivisitato dalla propaganda qaedista per fare proseliti nelle popolazioni musulmane. Il risentimento verso l’Occidente e gli USA in particolare, ha permesso la proliferazione di questa visione ideologica e la diffusione di essa dal Nord Africa all’Asia centrale. L'organizzazione, difatti, vanta oggi una struttura orizzontale molto eterogenea e dislocata in varie cellule locali autonome rispetto alla base: da AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) operativa in Nord Africa e nel Sahel e dagli Shabaab in Somalia e nel Corno d'Africa, passando per AQI (Al Qaeda in Iraq) presente in gran parte del Medio Oriente arabo e AQAP (Al Qaeda nella Penisola Araba) stanziato per lo più in Yemen, giungendo, infine, ai movimenti islamisti e jihadisti presenti in Asia centro-meridionale (come ad esempio gli Haqqani e i Taliban attivi tra Afghanistan e Pakistan).

FONDAMENTALISMO VS IDENTITÀ ISLAMICA – Nonostante la grande diffusione e l'attecchimento del qaedismo in Paesi in cui l'assenza di strutture statali sono quasi fallite come in Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia, esso non ha goduto della simpatia e del sostegno della gran parte dell'opinione pubblica musulmana. Infatti, paradossalmente, le popolazioni islamiche sono diventate negli anni le principali vittime della violenza di al-Qaeda. Ma Islam e Occidente non sono concetti incompatibili anche se storicamente i rapporti non sono stati sempre facili a causa di alcune tendenze islamiche a volte radicali. Tra queste viene, erroneamente, annoverata il movimento della rinascita islamica. Quest’ultimo si presenta, invece, come un insieme di movimenti sociali, politici e religiosi che interpreta alcuni fondamentali bisogni delle genti musulmane, quale il bisogno di tornare alle origini, alle forme pure e originarie dell’islam, nonché la necessità di riaffermare un’identità perduta o minacciata, sforzando di adattare l’Islam alla modernità occidentale senza farsi “contagiare” da essa. Infatti, il motto “la soluzione è nell'Islam” racchiude in sé tutte queste esigenze e ambizioni di un fenomeno che non vuole assomigliare al modello occidentale e che cerca di perseguire la modernità e la democrazia attraverso la propria identità islamica.

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LA PRIMAVERA ARABA E IL RUOLO DEI PARTITI ISLAMICI – Dopo la caduta di alcuni regimi della regione, tra i media e all'interno delle opinioni pubbliche occidentali si è fatta strada la convinzione che le rivolte della fame possano venire influenzate e distolte dai loro obiettivi originari da forze islamiche vicine ad ambienti radicali. Infatti, oltre al caso della Libia in cui questi gruppi  hanno costituito la prima linea dei ribelli nella guerra civile contro Gheddafi, oltre a quello dello Yemen in cui il partito al-Islah ha rappresentato la principale opposizione a Saleh e quello del Comitato di Coordinamento Nazionale (CCN) della Siria in cui tali movimenti sono un elemento essenziale del Consiglio Nazionale Siriano in contrapposizione al regime di Assad, i partiti di estrazione islamica in Tunisia ed Egitto non solo  hanno giocato un ruolo chiave nelle proteste che hanno portato alla destituzione di Ben Alì e Mubarak, ma hanno anche ottenuto la vittoria la vittoria nelle prime elezioni libere, acuendo pertanto i timori di possibili derive fondamentaliste.

LA PAURA DEL RADICALISMO – Infatti, ciò che intimorisce maggiormente le opinioni pubbliche internazionali è il forte consenso di cui hanno goduto le formazioni di estrazione salafita nelle recenti consultazioni. E' pur vero che queste realtà si declinano in modi differenti di Paese in Paese. Anche i toni spesso aggressivi usati da queste organizzazioni vanno contestualizzati: sia le difficili condizioni socio-economiche di gran parte della popolazione, sia la durissima repressione attuata dai pluriennali regimi autoritari hanno contribuito a radicalizzare i toni politici e a fomentare anche atti di pura violenza. Tradizionalmente di fronte all’oppressione dei regimi e alla benevolenza occidentale, i movimenti  radicali, in genere, hanno riletto la tradizione e reinterpretato la religione, traducendo e applicando radicalmente, appunto, i concetti teologici alla vita sociale e politica. Quindi i contenuti della fede e della tradizione vengono interpretati ed assunti come principi non negoziabili che fanno passare in secondo piano nel dibattito interno temi, invece, rilevanti quali la giustizia sociale, lo sviluppo economico o le libertà politiche. Pertanto il buon risultato elettorale di queste organizzazioni rappresenta certamente una grande sfida, soprattutto per la loro stessa evoluzione politica. Infatti, se i salafiti vorranno essere parte attiva nel processo decisionale, dovranno nel tempo definire meglio programmi e strategie riguardo a temi economici e sociali e abbandonare l’intransigenza quasi puritana mostrata in molte occasioni. Tali sfide potrebbero perciò contribuire o a far evolvere positivamente queste formazioni verso la democrazia, oppure a spingerle inevitabilmente verso concezioni puramente ideologiche e favorevoli a posizioni di lotta non solo e non tanto politica.

QUALE FUTURO PER L'ISLAM? – Quello che sembra profilarsi all'orizzonte non pare essere tanto il timore di una nuova ondata qaedista, bensì la possibilità che le promesse e le speranze delle rivolte rimangano disilluse e queste possano essere strumentalizzate da una certa minoranza islamica radicale per rinfoltire, invece, le fila di un'ala violenta e integralista che poco ha che fare con la religione e la società. Quel che conta oggi è però dare fiducia ad un Islam che ripudia le violenze e cerca di dimostrare come democrazia e religione musulmana non siano concetti necessariamente in antitesi. Giuseppe Dentice [email protected]

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