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Boko Haram e ISIS, le nuove rotte del jihadismo africano

L’alleanza tra Boko Haram e lo Stato Islamico è adesso ufficiale. Il gruppo nigeriano potrebbe diventare il ponte per l’ingresso del Califfato nell’Africa subsahariana. Eppure ci sono alcuni elementi da considerare, a cominciare dalle difficoltà interne a Boko Haram e dalla storica diffidenza dei network jihadisti globali nei confronti delle formazioni africane.

L’ANNUNCIO DELL’ALLEANZA – La dichiarazione ufficiale di fedeltà allo Stato Islamico da parte di Boko Haram era questione di quando, non di se – più incerta sarà la risposta di al-Baghdadi nei fatti. Sabato sera Abubakar Shekau, capo del gruppo nigeriano, ha annunciato che i suoi miliziani d’ora in poi saranno leali al Califfo, «in tempi di difficoltà e di prosperità». Il messaggio è stato diffuso via internet, dopo che Boko Haram aveva compiuto altri cinque attentati nel Nordest della Nigeria. I segnali preliminari all’unione tra la formazione africana e lo Stato Islamico erano evidenti da qualche mese: già nel 2014 Shekau aveva manifestato la propria vicinanza ad al-Baghdadi, sia a parole, sia cominciando a impiegare una serie di codici comunicativi propri dell’ISIS. Al momento non è chiaro se in Nigeria stiano agendo anche combattenti arrivati direttamente dallo Stato Islamico – come sta avvenendo con i circa 300 jihadisti inviati in Libia, – né quale sia il reale grado di connessione sul campo. Ci sono infatti tre punti da tenere presenti per tentare di comprendere quale sarà l’evoluzione del rapporto tra Boko Haram e lo Stato Islamico, ossia i livelli ideologico-comunicativo, politico-organizzativo e strategico. Non bisogna infatti dimenticare che l’Africa continua a essere uno dei principali obiettivi dei movimenti jihadisti, soprattutto perché nel continente nero sono presenti i principali fattori di catalizzazione del terrorismo: Stati deboli, risorse economiche, popolazione giovane in condizioni di diffusa difficoltà. Dal 2011, quando al-Zawahiri assunse la guida di al-Qaida, si sta assistendo a uno spostamento verso l’Africa di alcuni importanti esponenti del jihad globale, dinamica rafforzata dalla diaspora dei somali di al-Shabaab e dall’ascesa dei gruppi islamisti combattenti saheliani nel 2012.

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Le 276 ragazze rapite nell’aprile del 2014 sono ancora nelle mani di Boko Haram

COMUNICARE L’UNITÀ DI BOKO HARAM – Le tecniche comunicative di al-Baghdadi stanno rappresentando un modello d’ispirazione per i gruppi jihadisti. In alcuni filmati di Boko Haram compaiono le musiche impiegate dall’ISIS, vere e proprie colonne sonore dal forte impatto emotivo che contribuiscono a rendere il messaggio perversamente epico, alla stregua di video motivazionali. Le immagini diffuse dallo Stato Islamico sono propagandistiche, quindi l’effetto ricercato è suggestionare e fare breccia sul cuore, non sulla mente. Per Boko Haram l’assistenza dei comunicatori di al-Baghdadi sarebbe fondamentale per migliorare la qualità del proprio messaggio – più incutere timore che convincere – e favorire all’interno e all’esterno un’immagine diversa del gruppo, in particolare riguardo al livello di coesione.

RICOMPATTARE LE FAZIONI – Ecco il secondo punto, l’aspetto politico-organizzativo. Boko Haram, infatti, non è un monolite. Ci sono gruppi satellite o coinvolti soltanto nelle attività criminali per il reperimento di fondi; luogotenenti in contatto diretto con Shekau e altri con rapporti di secondo e terzo grado; politici che sostengono i combattenti per i propri scopi. Analogamente a quanto accade con al-Shabaab, ci sono diverse interpretazioni del jihad: per alcuni è un dovere storico, affinché la Nigeria musulmana torni all’indipendenza del glorioso passato; per altri è l’unico modo per restituire al popolo le risorse sottratte; per altri ancora una lotta integrata nello sforzo mondiale per l’Islam. In sostanza, vocazioni localistiche, nazionalistiche e internazionalistiche si fondono, non sempre in modo lineare. Tramite l’assistenza dell’ISIS Shekau coglie l’imperdibile occasione di aderire formalmente all’alleanza jihadista globale: Boko Haram, uno dei gruppi terroristici più brutali e temuti, non poteva restarne fuori. Allo stesso tempo, però, la formazione nigeriana mira a nuovi finanziamenti e a ulteriori livelli di addestramento e coordinamento operativo. Le fratture interne a Boko Haram potrebbero essere temporaneamente sospese in virtù dell’interesse superiore, mentre una rinnovata immagine mediatica potrebbe trasmettere l’impressione di una coesione interna sempre più forte. È possibile poi che i contatti con l’ISIS conducano a una trasformazione di Boko Haram, che nel futuro potrebbe affiancare gli atti di terrorismo a una vera e propria campagna militare contro la Nigeria, dato che la costituzione di un Califfato locale (per alcuni il ripristino dell’ottocentesco Califfato di Sokoto) è un obiettivo pressoché imposto dal brand ISIS.

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Volontari anti-Boko Haram

UN CAMBIO NEGLI OBIETTIVI STRATEGICI? – In sostanza potrebbero mutare gli obiettivi strategici di Boko Haram. Se lo scopo di Shekau era raggiungere il predominio della legge shariatica attraverso la preliminare creazione di uno stato di anarchia violenta contestuale alla sconfitta delle corrotte Istituzioni nigeriane, adesso è probabile che il fine nel medio periodo sia la definitiva occupazione manu militari del Nordest del Paese e la restaurazione del Califfato. Questa potrebbe essere anche la chiave per ricompattare le frange interne: da un lato il sogno nazionalistico del nuovo Impero di Sokoto, dall’altro la dimensione globale tramite la rete dello Stato Islamico. Non è improbabile, quindi, che al-Baghdadi, ancor prima che rinforzi sul campo, invii in Nigeria consiglieri militari, addestratori, comunicatori e assistenti alla governance, per modellare un nuovo Boko Haram – ovviamente con il rischio che Shekau debba ridimensionare la propria figura, scendendo un gradino sotto l’alleanza alla pari. Per quanto riguarda lo Stato Islamico – ma è ancora presto per dire quanto al-Baghdadi renderà concreto il rapporto – il vantaggio è l’ingresso nell’Africa subsahariana, con la possibilità di estendere il network dal Sinai alla Nigeria, passando da Libia e Sahel occidentale. Tuttavia già nel passato le maggiori reti terroristiche islamiche, a cominciare da al-Qaida, hanno manifestato molte titubanze nell’integrazione dei gruppi africani, considerati poco affidabili, ideologicamente impreparati e troppo legati a obiettivi nazionalistici e localistici. Riprendendo l’esempio di al-Shabaab, fu lo stesso bin Laden a procrastinare l’ingresso del gruppo somalo in al-Qaida, affidando le fasi di transizioni al comandante dell’organizzazione in Africa orientale, Fazul Abdullah Mohammed, delle Isole Comore – e l’alleanza fu ufficializzata solo nel 2012 da al-Zawahiri.

UNA PRIMA REAZIONE – A livello regionale, comunque, gli Stati dell’Africa centro-occidentale stanno cominciando a reagire a una minaccia che pure aveva mostrato numerosi segnali negli ultimi tre anni, a partire dall’azione di gruppi satellite di Boko Haram impegnati in rapimenti e contrabbando oltreconfine. Poche ore dopo l’annuncio dell’alleanza tra Boko Haram e lo Stato Islamico, Ciad e Niger hanno attaccato le postazioni jihadiste nel Nordest della Nigeria, a poco più di un mese dall’operazione di gennaio – alla quale ha partecipato anche il Camerun – e in attesa della missione di 8mila uomini approvata dall’Unione africana la scorsa settimana. Lo scopo della coalizione regionale è assestare qualche colpo importante contro Boko Haram prima che lo Stato Islamico giunga in suo soccorso. Sempre che agli annunci di Shekau corrisponda la concreta volontà di al-Baghdadi.

Beniamino Franceschini

[box type=”shadow” align=”alignleft” ]Un chicco in più

Per sapere di più su Boko Haram, ecco l’hot spot dedicato del Caffè.

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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