Il Perù di Ollanta Humala tra le promesse del 2011 e la realtà di un sistema restio al cambiamento. Il paradosso di un nazionalismo neoliberale
IL PRIMO HUMALA – Nel 2011, in piena campagna elettorale, Ollanta Humala si presentava alla guida del Partito Nazionalista Peruviano forte di un’educazione fondata sui valori della tradizione incaica. Humala, infatti, ha assorbito sin da bambino gli insegnamenti del padre fortemente orientati a preservare la cultura indigena e a valorizzare l’importanza del nazionalismo, un insegnamento poi riversatosi sul percorso politico dello stesso attuale presidente peruviano. Tuttavia, ad avere il maggiore impatto fu l’attento studio da parte di Humala dei suoi omologhi socialisti sudamericani, ovvero quei leader politici che dal 1998 al 2011 si erano presentati quali icone di cambiamento amate dai popoli. Parliamo nello specifico di Hugo Chávez (Venezuela), di Lula (Brasile), ma anche di Evo Morales che in Bolivia ha rappresentato una vera e propria affermazione indigena e socialista alla leadership del Paese. Presupposti interessanti che nella regione hanno creato una scia politica per certi versi utile da cavalcare per acquisire rapidi consensi tra le masse. Emblema del “socialismo del XXI secolo” è stato il nazionalismo o più genericamente la tutela della sovranità nazionale sulle risorse strategiche. Tema, quest’ultimo strettamente collegato alla cultura di Humala ed esplicitato lungo la propria campagna elettorale e fortemente contrapposto alla tradizione neoliberale del Paese che vede una miriade di concessioni per lo sfruttamento minerario a favore di altrettanto numerose multinazionali straniere.
Fig. 1 – Un’immagine degli scontri tra la popolazione e la polizia peruviana per le proteste contro il progetto “Tia Maria”
HUMALA VS TÍA MARÍA ATTO PRIMO – Sembrerebbe quasi uno scherzo parlare del presidente peruviano contrapposto a un’ipotetica zia di nome Maria, ma in realtà Tía María non è altro che il nome di un progetto per lo sfruttamento a cielo aperto di alcune riserve di carbone presenti nel distretto di Cocachacra (a sud di Lima). Il progetto concepito nel 2009, si concretizzava nella concessione in favore della messicano-statunitense Southern Copper Corporation (SCC) dello sfruttamento a cielo aperto di una miniera di carbone per 21 anni, nel sud del Paese. Estrazione a cielo aperto vuol dire in breve un forte impatto ambientale potenzialmente in grado di trasformare irreversibilmente l’ambiente circostante così come la fruibilità delle riserve idriche ivi presenti (in superficie e nel sottosuolo). Fattori non di poco conto per una regione prevalentemente agricola e infatti allo Studio di Impatto Ambientale presentato dalla SCC si è fortemente contrapposta la popolazione locale. Il braccio di ferro tra popolazione e Governo si è concluso il 30 Marzo 2011 con una dichiarazione del Governo peruviano di inammissibilità dello studio di impatto ambientale presentato dalla SCC. Proprio su tale tema Humala, in piena campagna elettorale, si era schierato apertamente con la popolazione indicando nella voce della stessa l’unica ragione ascoltabile dall’esecutivo.
DAL 51% AL 22% IN 4 ANNI – Sono queste le percentuali che separano l’Humala di ieri e di oggi. Con il 51% il socialista inca si è imposto sul passato neoliberale ovvero su Keiko Fujimori, figlia del dittatore che negli anni ’90 ha consacrato il Paese allo sfruttamento intensivo da parte delle multinazionali straniere. Un voto che sembrava tanto celare la speranza di un popolo condannato a non essere sovrano sul proprio territorio. Speranza di condividere quell’ondata socialista che in altri Stati vicini aveva dimostrato che un percorso alternativo poteva esistere e che poteva riguardare anche il futuro di Lima. Tuttavia le promesse di Humala hanno presto fatto i conti con la realtà sociale ed economica peruviana e nello specifico con quell’oligarchia strettamente collegata al business estrattivo e quindi alle concessioni in favore delle multinazionali straniere. Un vincolo ben evidente dal flusso di IDE (Investimenti Diretti Esteri) che si riversano in gran parte nel settore minerario trascurando le attività inerenti il settore agricolo. In un tale contesto progetti volto alla nazionalizzazione economica direzionato a un ampliamento del benessere sociale, trova una forte opposizione nelle classi medio-alte. Sistema che intrappola l’esecutivo che di fatto deve trovare un compromesso con l’opposizione di destra per riuscire a governare. In numeri, ciò si traduce in un PIL in crescita dal 2010 ad oggi; un aumento degli IDE, un importante flusso di rimesse estere, inflazione stabile e un coinvolgimento nel progetto regionale dell’Alleanza del Pacifico, che, a livello regionale, ha portato Humala ad ampliare le distanze politiche tra Lima e La Paz (un ulteriore allontanamento di fatto dal nuovo socialismo latinoamericano). Questi fattori indicano il Perù come un Paese neoliberale in crescita, ma che in realtà celano un malessere sociale fatto da un crescente conflittualità civile (nel 2012 si contano 229 conflitti sociali) dovuta nella gran parte dei casi all’eccessivo sfruttamento minerario e alla condizione ancora marginale delle popolazioni indigene. Tutto ciò non ha fatto altro che riportare delusione nella nei confronti dell’esecutivo e del suo leader. Recenti sondaggi infatti evidenziano come la popolarità di Humala sia scesa al 22% ad un solo anno dalle nuove elezioni. Si potrebbe dire “game over” per una compagine politica che, nonostante la vittoria del 2011, non ha mai dimostrato una piena convinzione nel perseguire i principi del nuovo socialismo latinoamericano, e che difficilmente riuscirà a riconfermarsi alla leadership nel 2016.
Fig. 2 – Humala e Morales: non più vicini come un tempo?
HUMALA VS TÍA MARÍA ATTO SECONDO – E proprio il Progetto Tía María sembra dover segnare definitivamente il destino di Humala. Se nel 2011 il progetto ha visto nel candidato presidente Humala un antagonista, oggi (dopo 4 anni) il progetto non è solo tornato all’ordine del giorno, ma in più paradossalmente trova nel presidente Humala un forte alleato. La decisione governativa di riaprire la trattativa con la SCC ha riportato l’allerta nella popolazione del distretto di Cocachacra che vede in forte pericolo la propria economia locale e ancor più in pericolo il già precario equilibrio sociale. Dal 2017 dovrebbe iniziare l’opera di estrazione del carbone e da tale data potrebbe iniziare il countdown per il declino socio-economico della regione a sud di Lima. Dal 23 Marzo la popolazione si oppone alla decisione dell’esecutivo protestando a oltranza e dalla stessa data la violenza è andata crescendo (3 morti ad oggi tra i civili, uno tra le forze dell’ordine e decine di feriti), ma Humala non ha accennato a un intervento personale in loco per cercare di trovare una soluzione diplomatica, minacciando anzi di voler dichiarare lo stato di emergenza nazionale. Il socialista Humala sembra prendere le distanze dalla sua stessa immagine del 2011, un congedo politico in un Paese che ancora non trova il suo equilibrio reale.
William Bavone
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più –
Per avere un dettaglio del Progetto Tía María si può consultare il sito del Ministerio peruano de Energía y Minas
Interessante leggere alcuni dei capi d’accusa nei confronti dell’ex dittatore neoliberale Alberto Fujimori. A tal proposito si rimanda ad un articolo di TeleSur
Il Governo Humala nel ripristinare il Progetto Tía María sembra ignorare la legge riguardante la Consulta Previa (promulgata dallo stesso esecutivo neoeletto nel Settembre 2011). Curiosamente tale normativa prevede la consulta del popolo indigeno prima dell’approvazione di norme legislative, amministrative, programmi, piani e progetti di sviluppo che possono interessarli. Questa normativa nasce dopo la morte di 34 peruviani durante la protesta contro la realizzazione della centrale idroelettrica di Inambari (2009). Consulta che già nel 2009 (anno in cui non aveva grande peso giuridico) decretò il Progetto Tía María per il 97% della popolazione come inammissibile. [/box]
Foto: Néstor Soto