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Proteste in Perù: cosa è successo dopo il golpe di Castillo?

In 3 sorsi – A tre mesi dalla destituzione del Presidente Castillo e dall’insediamento di Dina Boluarte continuano le proteste in Perù, che dal sud del Paese sono giunte a Lima, minacciando di destabilizzare il già fragile equilibrio politico peruviano.

1. UN PASSO INDIETRO: LA SIERRA SUD DEL PERÚ

Il 7 dicembre scorso, in seguito a un fallito colpo di Stato, il Presidente del Perù Pedro Castillo viene destituito e arrestato. L’incarico di capo del Governo viene assunto dalla vicepresidente Dina Boluarte, che l’8 dicembre pronuncia il suo giuramento di fronte al Parlamento peruviano. Il cambio di poteri è il denotante di un’ondata di proteste scoppiate nel sud del Paese che ha raggiunto una dimensione nazionale. Inoltre, gli scontri tra manifestanti e Forze dell’Ordine hanno causato la morte di 60 persone. Le aree da dove le rivolte sono iniziate sono principalmente le zone della Sierra Sud: Arequipa, Apurímac, Ayacucho, Cuzco e Puno. Tale regione è in maggioranza abitata dalla popolazione quechua, dedita all’agricoltura e che aveva accolto positivamente la vittoria alle presidenziali di Castillo, primo Presidente nella storia del Paese di umili origini. La Sierra peruviana, inoltre, è storicamente l’area che più di tutte si è opposta al centralismo di Lima. Costituisce la regione in cui lo Stato centrale investe meno in settori quali l’istruzione, assistenza sanitaria o opere pubbliche. Per tali ragioni, la Sierra aveva riposto grandi speranze in Castillo. Tuttavia, durante il mandato di Castillo, le speranze della regione sono state disattese e l’elettorato ha incolpato l’élite di potere di aver impedito al Presidente di svolgere le proprie funzioni. Per tale ragione la destituzione e l’incarcerazione di Castillo vengono viste dalla popolazione della Sierra come l’ennesima riprova della repressione di Lima. 

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Fig. 1 – Dina Boluarte, attuale Presidente del Perù

2. LA SITUAZIONE ATTUALE

Le proteste che infiammano il Perù hanno tre ragioni di fondo: i manifestanti chiedono la liberazione di Castillo, la destituzione di Boluarte e nuove elezioni. Ma le rivolte hanno diviso l’opinione pubblica. Infatti, se il 60% dei peruviani, la maggior parte dei quali proviene dalle zone rurali, appoggia le proteste, la percentuale scende al 40% tra la popolazione di Lima. Ed è proprio nelle aree rurali dove le manifestazioni hanno assunto un carattere più violento. Nella sola Puno, durante le prime settimane di gennaio sono morte 17 persone in seguito a scontri con la polizia. Tuttavia, non sono mancati atti di violenza a Lima. A fine gennaio circa 400 poliziotti hanno fatto irruzione nell’Universidad Nacional Mayor de San Marcos e hanno arrestato 200 giovani che avevano occupato l’edificio. La narrativa che il Governo ha adottato nei confronti delle proteste dipinge i manifestanti come pedine dei narcotrafficanti, minatori illegali e gruppi terroristici intenzionati a seminare il caos. In risposta alle proteste l’esecutivo ha dichiarato lo stato di emergenza, inizialmente nel sud del Paese e in seguito a Lima. Lo stato di emergenze prevede l’affidamento dell’ordine interno alla polizia e alle Forze Armate, la sospensione di diritti costituzionali quali la libertà di transito per il territorio nazionale e la libertà di riunirsi e l’imposizione del coprifuoco.  

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Fig. 2 – Scontri tra manifestanti e polizia a Lima

3. QUALE FUTURO ASPETTA I PERUVIANI?

Se da un lato Dina Boularte non sembra intenzionata a lasciare la propria carica, dall’altro il Parlamento peruviano ha respinto il progetto di legge di riforma costituzionale per anticipare le elezioni e la convocazione di un referendum per una nuova Assemblea Costituente, con 75 voti contrari, 458 favorevoli e un’astensione. Le proteste hanno scaturito le preoccupazioni della Commissione Interamericana dei Diritti Umani, che ha visitato il Paese tra l’11 e il 13 di gennaio. In tale occasione la delegazione ha analizzato la situazione di crisi e ha raccolto informazioni riguardanti le iniziative messe in campo dal Governo per contenere le violenze. Inoltre è stato pubblicato il 16 febbraio un rapporto di Amnesty International, in cui l’organizzazione accusa il Governo peruviano di aver agito con “un marcato pregiudizio razzista” nella repressione delle proteste, nei confronti di “popolazioni storicamente discriminate”. Finora Boluarte e il Ministro della Difesa, Jorge Chávez Cresta, si sono rifiutati di esprimersi in merito al rapporto. Nel sempre più fragile panorama politico peruviano, le prossime settimane saranno decisive per il Governo di Boluarte e per l’andamento delle manifestazioni. 

Maria Elena Rota Nodari

128 Peru Flag over Cathedral Cusco Peru 2791” by bobistraveling is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • In seguito al fallimento del tentato autogolpe di Castillo, Dina Boluarte assume la carica di capo del Governo in Perù.
  • Il cambio di potere provoca lo scoppio di proteste nel sud del Paese, che in breve tempo raggiungono la capitale Lima.
  • Le misure adottate dal Governo peruviano per contrastare le manifestazioni diventano fonte di preoccupazione per organizzazioni come la Commissione Interamericana dei Diritti Umani e Amnesty International.

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Maria Elena Rota Nodari
Maria Elena Rota Nodari

Classe 1997, sono originaria di Bergamo, ma ho studiato a Milano, Bologna e Madrid. Nel 2018 prendo parte a un progetto di volontariato a Bogotà, Colombia e mi innamoro dell’America Latina. Le mie più grandi passioni sono le relazioni internazionali, i viaggi, un buon libro e il caffè.

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