Le recensioni del Caffè – C’era una volta l’Afghanistan. Un Paese tradizionalmente tribale, rurale e conservatore in cui una monarchia islamica moderata cercava di introdurre gradualmente riforme progressiste
Negli anni Sessanta in Afghanistan veniva promulgata una costituzione liberale e almeno nelle grandi città come Kabul le donne erano libere di andare all’Università e di scegliere cosa indossare. E poi venne la guerra, una guerra su cui da oltre trent’anni non è ancora stata messa la parola fine.
E’ in questo contesto che viene alla luce da una famiglia di etnia tagika del Panshir il protagonista di questa biografia, Ahmad Shah Massud. Cresciuto a Kabul e consacrato ad eroe nazionale nella sua valle con l’appellativo di “Leone del Panshir”, Massud rappresenta tuttora una delle figure più rappresentative e controverse del XX secolo. Per alcune gesta, come la clemenza mostrata verso i prigionieri di guerra e la tutela dei diritti delle donne, è stato tanto vituperato da vivo quanto lodato da morto. Un personaggio profondamente complesso, accostato da chi l’ha conosciuto a tratti ad Abraham Lincoln, perché nessun presidente americano fu più offeso in vita e nessuno fu più rimpianto dopo il suo assassinio, a tratti a Che Guevara, nelle vesti di guerrigliero intellettuale che organizzava corsi di alfabetizzazione per i suoi combattenti, a tratti a Mao Zedong, dalle cui opere aveva imparato le tecniche di guerriglia che affondarono le offensive sovietiche nella Valle del Panshir.
[box type=”shadow” align=”alignright” class=”” width=””][/box]Michael Barry, uno dei più noti conoscitori della storia dell’Afghanistan, in quest’opera alterna abilmente la narrazione delle vicissitudini di Massud ad un’analisi esauriente dei grandi temi che hanno contribuito a rendere la matassa afgana così intricata. A partire dagli schemi, ben assimilati dal protagonista attraverso le pagine di Mackinder, della geopolitica mondiale in cui l’Afghanistan rappresenta da oltre un secolo il cuore del grande gioco attorno a cui ruotano gli interessi geostrategici dell’Occidente. L’analisi di un’ideologia, l’integralismo islamista moderno, di cui l’autore ripercorre le origini fino in India, come duplice reazione al sufismo e all’induismo. E infine la maledizione che accomuna le società mediorientali moderne, paragonate da un etnologo americano ad una gara del tradizionale sport del buzkashi, in cui il rigido quadro di appartenenza alla famiglia, al clan, alla tribù, all’etnia e alla setta viene prima di qualsiasi unità nazionale. Per ricordarci che le divisioni tra pashtun e tagiki di religione islamica sunnita, hazara di religione sciita e le altre etnie minoritarie non sono l’unica causa delle lacerazioni interne della politica di un Paese, definito oltre un secolo fa da un suo stesso emiro, come un incontrollabile regno dell’insolenza.
Nonostante l’amicizia con Massud, Barry cerca nel ruolo di biografo di tracciare la più oggettiva descrizione del personaggio, senza rendersi conto che, con la semplice decisione di raccontare la storia che parte proprio dalla sua fine, sarà destinato a influenzarla più di chiunque altro. Nel settembre 2001 con la morte di questo personaggio a quarantottore di distanza dagli attacchi terroristici che hanno segnato uno spartiacque nella storia contemporanea, morirà anche la speranza di tutti coloro che come Michael Barry vedevano in Massud l’unico in grado di vincere la principale sfida alla risoluzione del conflitto afgano: garantire l’armonia di un popolo eternamente diviso in nome di un Afghanistan unito, moderato e in pace.
Martina Dominici
Foto: ahmadmassoud
Foto: Afghan’s PHOTOGRAPHY