– Road to London 2012 – Questa volta ci sono tutti. Statunitensi e sovietici, tedeschi dell'Est e tedeschi dell'Ovest, arabi ed israeliani, iracheni ed iraniani. Bianchi, neri e gialli. Nessun attentato a scuotere il villaggio olimpico, nessun boicottaggio politico. La XXIV edizione dei Giochi Olimpici smette l'elmetto per indossare calzoncini e tuta. State pure seduti in poltrona questa volta, cari politici e presidenti, a Seul parla solo lo Sport. E godetevi lo spettacolo
BISOGNA SAPER VINCERE – L'edizione sudcoreana dei Giochi Olimpici è un'edizione che va di corsa. Seul ha fretta di correre verso il mondo: “il mondo a Seoul, Seoul verso il mondo”. Lo si legge sulle bianche fiancate degli autobus che attraversano la capitale e sulle magliette in vendita nei grandi magazzini. Lo si legge nella voglia di dimenticare momentaneamente che esiste un trentottesimo parallelo. Questa volta gli Stati Uniti non dispiegheranno le loro truppe sul confine, ma sui blocchi di partenza e nelle piscine. Il generale MacArthur sarà sostituito da Carl Lewis e Ben Johnson, saranno loro i proiettili a stelle e strisce, e l'Unione Sovietica non dovrà più nascondere l'invio dei propri atleti in Corea del Sud, come fece con le proprie truppe negli anni 50 per fornire assistenza a Pechino in sostegno della Corea del Nord di Kim Il Sung. “L'invasione cinese”, questa volta, ha un solo scopo: una medaglia.
Sabato 17 settembre 1988 – In un caldo e soleggiato pomeriggio, s'alza il sipario sulla rassegna olimpica sudcoreana. Ambasciatori e primi ministri questa volta prendono comodamente posto in tribuna. Non partecipa alla rassegna la compagine nordcoreana, a dividere le due coree c'è infatti sempre la stessa linea d'armistizio fissata nel lontano 26 luglio 1953 a Panmunjon. Più di trent'anni sono passati, ma la situazione politica nel paese è praticamente immutata. Neanche lo sport riesce ad ammorbidire la situazione: Pyongyang pretendeva l'assegnazione di una cospicua fetta di competizioni, richiesta inconciliabile con i principi della Carta Olimpica, la quale prevedeva l'assegnazione dei Giochi ad una singola città. Ma se in altre epoche il CIO avrebbe risposto con sdegno alla richiesta, questa volta il Comitato negozia, timoroso di un quarto boicottaggio per ragioni politiche: 5 discipline andranno alla Corea del Nord. È questa l'offerta del CIO, prendere o lasciare. Pyongyang decide di lasciare. La Corea del Nord tenterà di sollecitare la solidarietà degli altri paesi del blocco comunista, senza ottenere alcuna risposta positiva. Come detto, le olimpiadi di Seul corrono verso il mondo, al pari del processo distensivo Occidente-Oriente.
VERSO NUOVI MONDI? – Al “vi seppeliremo” di Nikita Chruščëv si sostituì la perestroika di Mikail Gorbačëv. Se il primo all'ONU sbatteva le scarpe in faccia alla comunità internazionale, il secondo, mentre gli atleti di tutto il mondo si preparavano al grande evento, invocava un nuovo approccio alle relazioni internazionali, basato sui principi della sicurezza globale e dell'interdipendenza. Mosca 1980 e Los Angeles 1984 erano ormai solo un ricordo. Stati Uniti e Unione Sovietica, grandi rivali per un quarantennio, correvano verso il disgelo. Mentre il comunismo sovietico intraprendeva il sentiero che l'avrebbe condotto al cimitero delle illusioni, gli Stati Uniti si apprestavano a diventare l'unica potenza con proiezione globale. Banditi per sempre i missili Pershing II e i Cruise della NATO nonché tutti i sovietici SS 20 con il trattato INF firmato nel 1987, il mondo si riscopriva più sicuro. Tutto era pronto per far si che la competizione tra le due superpotenze si spostasse nelle palestre, lì l'Unione Sovietica era ancora competitiva, eccome.
OLTRE I CONFINI DELL'IMMAGINAZIONE – Si accendono finalmente i riflettori sulla XXIV edizione dei Giochi. Gli occhi di tutto il mondo sono puntati su un ventisettenne canadese di origine giamaicana detto Big Ben, già campione del mondo e detentore del record mondiale sui 100 metri piani. Ben Johnson, sino ad allora l'uomo più veloce di sempre, sembra il simbolo perfetto per l'Olimpiade che va di corsa. Se la dovrà vedere con il figlio del vento, Carl Lewis. L'intero pianeta sta con il fiato sospeso. Si prospettano i 10 secondi più importanti della storia dell'atletica. Sabato 24 settembre, 13.30. «I concorrenti si inginocchiano, guardano la pista. Johnson si aggrappa al suolo a mani larghe, come se volesse abbracciare l'intera corsia. Gli altri concorrenti sembrano fragili al suo confronto, sembrano esseri umani.» Spara lo starter e Johnson si avventa subito in testa. Eolo soffia come non mai, ma questa volta Lewis resta dietro. Johnson violenta la pista, Lewis sembra accarezzarla. Johnson vince, Lewis arriva secondo. Johnson demolisce, Lewis viene demolito. Johnson corre per la prima volta nella storia 100 metri in 9 secondi e 79 centesimi, Lewis “solo” in 9 e 92. Johnson è “ai confini della realtà”, Lewis è solo il figlio del vento. Johnson torna a casa a mani vuote, Lewis con la medaglia d'oro. Qualcosa non torna? Johnson imbroglia, Lewis no.
LA TRUFFA DI BIG BEN – In Europa sono le otto di sera, a Seul è già notte fonda. È l'agenzia France Press a diramare la clamorosa notizia: Ben Johnson sarebbe risultato positivo al controllo antidoping. Stanazol, così si chiama lo steroide incriminato. Infarcita di condizionali, la notizia aspetta di essere confermata. Solo poche ore prima, 90000 estasiati spettatori non credevano ai loro occhi. 9 secondi e 79 centesimi per prendersi gioco del dio tempo, del dio vento e di suo figlio, per ridicolizzare la storia dello sport. 90000 cuori conquistati in pochi attimi. Ai confini della realtà, grida il mondo impressionato. Troppo veloce per essere vero. Infatti vero non è. Sono le dieci del mattino quando un portavoce del CIO ufficializza la notizia: il laboratorio antidoping dei Giochi ha accertato inequivocabilmente che nell'urina di Johnson ci sono evidenti tracce di stanazol. La medaglia d'oro torna nella mani del legittimo proprietario. Lewis, del resto, ama l'atletica. Quando corre accarezza la pista, non la violenta. Il gigante canadese, deificato sino a pochi secondi prima, torna ad essere un uomo. “Non ho nulla da nascondere – dichiara l'ormai ex campione olimpico – se avessi preso qualcosa di illecito, allora si che mi sentirei distrutto”. Ma la spavalderia del campione dura poco.
IL SAPORE AMARO DELL'INGANNO – Gli echi della truffa ordita da Big Ben proseguono per mesi. A Toronto viene perfino aperta un'inchiesta. Se in Corea intimidiva gli avversari con la sola presenza sulla pista, ora è lui l'intimidito. Al sorriso compiaciuto di Seul si sostituiscono le lacrime dinanzi ai giovani appassionati dell'atletica: “siate onesti e non prendete droghe. Io so di cosa parlo, io so cosa significa imbrogliare. Se sinora avevo mentito, l'avevo fatto soltanto per salvare la mia famiglia della vergogna,”. Moriva l'atleta, che non sarebbe più tornato competitivo, risorgeva l'uomo.
LE 7 VITE DELL'OLIMPIADE – Il doppio gancio di Tommie Smith e John Carlos la mise al tappeto. Lei si rialzò. I colpi di kalashnikov di Settembre Nero la ferirono mortalmente. Lei guarì. I boicottaggi politici di Mosca e Los Angeles la mutilarono, ma anche in questo caso l'Olimpiade fu in grado di rialzarsi. A Seul, però, a ferirla fu l'essenza stessa dello sport: il campione. L'Olimpiade sudcoreana, la prima che dopo 12 anni ha schivato qualsiasi boicottaggio, si chiude ufficialmente la notte di domenica 2 ottobre. Sublimata dai “graffi” delle lunghe unghie della statunitense “Flo Jo” Florence Griffith Joyner, assoluta dominatrice sulle piste d'atletica, e dall'indimenticabile sconfitta statunitense nel basket, guarda caso contro l'Unione Sovietica, passerà comunque alla storia come l'Olimpiade dell'ormone.
L'ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA – Quella di Ben Johnson è la storia di un corpo sequestrato, trasformato, reso innaturale. Preso in prestito dallo sport e assoggettato alla logica dei record. La stessa logica che trasformò, in questo caso per sempre, il corpo di Heidi Krieger, campionessa europea di lancio del peso nel 1986. Gareggiava per la DDR, il suo corpo doveva contribuire al miracolo sportivo di un paese di 17 milioni di abitanti capace di vincere 160 titoli olimpici e quasi 3500 tra campionati europei e mondiali. Anche la sua è la storia di un corpo sequestrato, trasformato in volontà politica. Dietro ai 21 metri che le valsero medaglie e vittorie, si nascondeva la STASI, polizia segreta del regime. “Nello sport ero qualcuno, una specie di pupazzone Michelin. Solo nello sport, però. Poi non fui più niente nemmeno lì. Mi rovinai la schiena, fianchi,ginocchia. Una donna, un uomo, non so. Un qualcosa senza identità. Non sapevo più chi fossi”. Oggi Heidi si chiama Andreas. Ha cambiato sesso nel 1997. La STASI le ha rubato tutto: il corpo, l'anima, la sessualità, i ricordi, lo sport, l'identità. “Una vittoria olimpica non è tutto nella vita”, disse Ben Johnson, chiamato a restituire la medaglia. C'è sicuramente qualcosa di più importante. Ci sono quei 90.000 spettatori traditi, ci sono i corpi rubati per competere. A Seul si aprì ufficialmente il baratro del doping. Riuscirà lo sport ad avere pietà? A smettere di sequestrare corpi? La risposta, anche questa volta, soffia nel vento: “gli altri competono troppo, non fanno altro che competere. Io non l'ho mai fatto.” Prenditi anche quest'altra medaglia Carl, tu si che te la sei meritata.
Simone Grassi [email protected]