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L’Olimpiade e l’isola che non c’è

Ormai poche ore ci dividono dalla XXX edizione dei Giochi Olimpici. Gli occhi del pianeta si concentrano su Londra, unica città ad ospitare ben tre edizioni della manifestazione sportiva più importante. Mentre Buckingham Palace apre i cancelli ai Capi di Stato, Londra spalanca le braccia al mondo. Prepariamoci a vivere 17 giorni di sport ed emozioni. E di politica

3 VOLTE LONDRA – Era il 1908. La Sfarzosa Londra vittoriana, all’epoca crocevia dell’economia e del commercio, ospitava la quarta edizione dei Giochi Olimpici moderni. Si tirava ancora la fune, si saltava senza rincorsa, la pallacorda rappresentava la normalità. Preistoria sportiva. L’Inghilterra del sovrano Edoardo VII, all’epoca unica potenza di caratura globale, assisteva alla rinascita degli irredentismi in un’Europa proiettata verso la devastazione dei conflitti mondiali. L’intera rassegna costò 60mila sterline, veniva definita austera. Preistoria economica. Incubatrice di nazionalismi, quell’Olimpiade fu comunque capace di rappresentare una realtà in evoluzione: nel decennio degli irredentismi, per la prima volta sfilarono le bandiere delle nazioni partecipanti. Sui quotidiani, ieri come oggi, si parlava di Siria, sorta da poco e partecipante per la prima volta alla rassegna. Ad un secolo di distanza, ben altri sono i motivi che portano la Siria sulle prime pagine di tutto il mondo. L’OLIMPIADE DELL’AUSTERITÀ – All’Olimpiade austera di inizio secolo fece eco quella del 1948. Ancora Londra, una città in transizione, emblema di un impero in ritirata, capitale di uno Stato potente e vittorioso ma piagato dalla distruzione della guerra. L’Europa usciva a pezzi, e divisa, dalla stagione bellica e nel Regno Unito il governo laburista di Clement Attlee, succeduto a Winston Churchill, si vedeva costretto a distribuire le tessere del razionamento alimentare. Tra l’indifferenza delle persone, cos’è una medaglia rispetto al cibo, quella londinese fu comunque l’Olimpiade della speranza e dell’orgoglio. Parsimoniosa (costò appena 750mila sterline, 20 milioni al cambio di oggi) e allo stesso tempo ambiziosa, la prima edizione dell’era bipolare covò il sogno di un mondo di pace. Fu questo il messaggio assegnato ai 6 mila piccioni viaggiatori protagonisti della cerimonia inaugurale, culminata nelle parole di re Giorgio VI, non più timoroso di parlare dinanzi al grande pubblico, che dichiaravano aperti i giochi. NUOVI EQUILIBRI, NUOVE GERARCHIE – Toccherà alla regina Elisabetta II, questa sera, pronunciare la fatidica formula quando Sebastian Coe, presidente del Comitato organizzatore dei Giochi di Londra 2012, le darà la parola. Cosi come fece il padre nel 1948, e ancor prima il nonno nel 1908, la regina dichiarerà ufficialmente aperta la XXX edizione della rassegna olimpica. Quando accadrà, il mondo sarà già sfilato sotto i suoi occhi, pronto ad essere ridisegnato. A questo servono i Giochi, a ridisegnare gli equilibri e i confini, a rivoluzionare le gerarchie. La natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che il più debole ha forza sufficiente per sconfiggere il più forte. Se ciò è vero, tale assunto nello sport assume il rango di legge. Cosi capita che un velocista di un’isola caraibica si faccia beffe delle grandi potenze. Prova a prendermi se ci riesci. Avere una moneta forte in pista non conta. Lo sport ha altri padroni. Nuove gerarchie. Chissà se le palestre londinesi confermeranno le teorie di coloro i quali sostengono che il secolo in corso sarà il secolo cinese. Se ad Atene e Pechino gli Stati Uniti vagliarono le credenziali di peer competitor della potenza sportiva cinese, a Londra cercheranno di ristabilire il loro ruolo egemonico, ben consci che la sfida allo Zio Sam è stata già lanciata. Se politicamente il baricentro strategico statunitense ha tempo per perpetuare la traslazione verso l’Asia, come preannunciato dalla strategic-guidance emessa dal pentagono nel 2012, sportivamente il dragone rappresenta un avversario reale. Non bastano ricchezze e risorse, ai giochi il terzo mondo si prende belle rivincite. I giganti spesso hanno i piedi di argilla. L’OLIMPIADE AI TEMPI DELLO SPREAD – Anche i più forti hanno paura di perdere. Così, mentre i Capi di Stato si concentrano su Londra, capita che la quarta economia mondiale (fosse una competizione olimpica non sarebbe da medaglia), quella tedesca, si interroghi sul futuro. “Anche noi rischiamo il contagio. Che la cancelliera agisca in fretta”. Il monito giunge da Wolfgang Franz, presidente del Consiglio dei Cinque Saggi, massimo organo di consulenza economica per il governo tedesco. La Grecia, che 2800 anni fa trascinò il mondo nell’utopia olimpica e che, come da tradizione, questa sera guiderà il corteo degli atleti, rischia ora di trascinare l’Europa nel baratro. L’Europa appunto, in quanto entità politica, sarà la grande assente a Londra 2012. Non sfilerà tra poche ore sulla pista dello Stadio Olimpico, ora che è il cerchio debole del mondo. Dura la vita olimpica ai tempi del tanto temuto spread e della speculazione finanziaria. Lo sa bene la Gran Bretagna, la padrona di casa. I dati sono impietosi: recessione. Per il secondo trimestre consecutivo, il Regno Unito ha registrato una crescita negativa del PIL, confermando che la vigilia olimpica rappresenta il periodo più buio degli ultimi 50 anni. 

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LE ISOLE DELLA MERAVIGLIA – Se nel 2008 la maestosa cerimonia d’apertura della rassegna del dragone (furono investiti complessivamente 40 miliardi di dollari) sublimò l’arrembante avanzata di un capitalismo senza frontiere, la cerimonia che questa sera darà il via alla kermesse londinese è figlia della crisi. 27 milioni di sterline, questo il costo della cerimonia diretta dal regista Danny Boyle. L’evento avrà inizio con il suono della campana più grande d’Europa, costruita dalla fonderia Whitechapel. E poi, via con il ripasso di storia. Lo Stadio Olimpico prenderà la forma della campagna inglese. Il Regno Unito, del resto, nostalgico per cultura, ama il proprio passato e non vuole dimenticare le origini. Verranno omaggiati la “creatività e il genio” del popolo britannico, rammentando che sino all’edizione del 1948, fu Londra la capitale del mondo. Rapido viaggio nel XVIII secolo: siamo stati noi i primi protagonisti della rivoluzione industriale. Ma le Olimpiadi sono la dimora dei sogni. Basta con la storia, divertiamoci. Secondo il Sunday Times, il regista di Trainspotting attingerà ai tradizionali personaggi che da generazioni popolano il mondo della letteratura per bambini. Da Mary Poppins ad Harry Potter, da Capitano Uncino a Peter Pan. La Londra olimpica vola all’isola che non c’è. Del resto le Olimpiadi raccontano l’impossibile. REDIMERE IL PASSATO – Quelle di Londra racconteranno, ne siamo certi, storie meravigliose. Lo faranno a partire da questa sera. Tutto è pronto per la parata degli atleti. Le nazioni si preparano a mostrare il loro lato nuovo, migliore. Quale palcoscenico potrebbe dare al Sudafrica, un tempo ultima nella classifica dei diritti civili, la possibilità di redimere definitivamente le nefandezze del passato facendo correre un uomo con doppia protesi (Oscar Pistorius) e concedendo l’onore di portare la propria bandiera ad un ermafrodita (Caster Semenya), se non l’Olimpiade. Si, Robben Island appartiene al passato. Eppure qualcosa manca. DI OLIMPIADI SI MUORE – L’Olimpiade ha memoria, ma non il tempo per ricordare. Salvo grosse sorprese, non verranno ricordati gli 11 atleti israeliani che 40 anni or sono persero la vita (foto sopra) a causa dell’attentato terroristico dei fedayn di Settembre nero. Jacques Rogge, presidente del Comitato Olimpico, ha opposto un incontrovertibile veto alle richieste israeliane. Nemmeno l’intervento di Hilary Clinton, desiderosa di un “appropriato evento commemorativo”, ha smosso la situazione. Eppure quei morti ancora smuovono le coscienze. In quella notte, sepolta da quarant’anni di eventi, i giochi persero innocenza, sacralità. La stessa innocenza che Danny Boyle proporrà al mondo questa sera. Londra conosce bene la strada per l’isola che non c’è. La stessa isola in cui da 2800 anni alberga il sogno olimpico. È il luogo dei sogni, l’Olimpiade. Tutto diventa possibile, anche correre 100 metri in 9 secondi 58 centesimi. Un‘isola in cui una piccola ginnasta rumena ha la possibilità di sfidare le leggi della fisica e prendersi gioco della tecnologia, impreparata a cogliere la sua perfezione. Il tutto accadrà mentre la Siria esplode, la moneta unica traballa e la speculazione finanziaria impazza. Che dire, non ci resta che sedere in poltrona e goderci lo spettacolo, sperando che i potenti della terra, finita la cerimonia, non restino a divertirsi con Capitan Uncino e compagnia. Saremo 4 miliardi questa sera, tutti catturati dallo spettacolo imbastito dal premio Oscar Danny Boyle, impazienti che la regina Elisabetta II pronunci la fatidica formula: che abbia inizio la XXX edizione dei Giochi Olimpici. La storia olimpica ci ha insegnato che anche nelle palestre si può scrivere il futuro. Gustiamoci lo show. Simone Grassi [email protected]

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Simone Grassi
Simone Grassi

Fiero membro della cosiddetta generazione Erasmus, ho studiato in  Italia e in Francia. Laureato magistrale in Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Milano),  frequento  ora un Master di ricerca in Economia Politica all’Università di Bristol. Convinto europeista, sono stato stagista alla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Oltre all’economia e alla politica internazionale, mi affascina il mondo della cooperazione allo sviluppo, un mondo che ho maggiormente scoperto durante un tirocinio in UNICEF.

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