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Tribù yemenite: parte del problema o della soluzione?

 Attori importanti dello scenario yemenita, le tribù sono raramente considerate a livello internazionale come elementi di stabilizzazione. Ciò è dovuto a un’immagine negativa legata alla loro responsabilità nei rapimenti di stranieri o nelle sporadiche ribellioni. La situazione attuale impone però di uscire da questa visione parziale e tenere presente il loro ruolo.

ARRETRATEZZA E TRIBÙ: SINONIMI? – Lo Yemen è presentato spesso come un Paese arretrato a causa dello strapotere di tribù perennemente in lotta tra loro. La loro presenza, secondo alcuni, impedisce lo sviluppo di una società moderna. Questo giudizio indica una mancanza di comprensione della lunga e complessa storia yemenita e ha indotto a commettere errori tattici non da poco. Ad esempio, la politica degli attacchi dei drones in zone tribali ha portato diversi potenti clan a tollerare la presenza di AQAP (Al-Qaeda nella Penisola Arabica) invece di combatterla.
Dopo la distruzione dei regni pre-islamici, lo Yemen non ha più conosciuto una vera e propria stabilità. Come prima conseguenza, le tribù sono divenute la base della società. Erano loro che assicuravano i confini, le risorse e salvaguardavano la solidarietà tra i membri. Non è un caso che anche oggi ad Aden, dove la famiglia nucleare ha occupato il posto della tribù, la povertà sia maggiore rispetto ad altre regioni del Paese. Il sistema tribale, con differenze secondo la provincia, si fonda sulla condivisione della genealogia e sui concetti di onore e vergogna. Attorno a questi principi si è sviluppata una struttura molto complessa basata su pesi e contrappesi e che ha come ragione ultima il mantenimento della pace sociale. Secondo alcuni dati, infatti, ben il 90% di faide e problemi sono risolti attraverso arbitrati tribali. La cosiddetta (e apparente) “anarchia tribale” è, almeno nel caso yemenita, un apparato piuttosto raffinato e complesso.

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Fig.1 – Leader tribali con la loro scorta armata nelle vie di Sana’a

LE CONFEDERAZIONI – Le tribù yemenite si riuniscono in confederazioni a livello nazionale: le più importanti sono quelle degli Hashid (nel governatorato nord-orientale e di cui fa parte il clan del ex-presidente Saleh i Sanhan), dei Bakil (si concentra a nord di Sana’a ed è la più numerosa), e dei Madhaj (più dispersa geograficamente ma principalmente posizionata nella parte centrale del Paese.) Nel Sud le tribù sono ancora presenti, ma hanno perso buona parte del loro potere e identità nel periodo della Repubblica Democratica Popolare. La più potente di queste confederazioni, e la più attiva a livello politico, è quella degli Hashid guidata dagli Ahmar, ex-alleati di Saleh. A questa famiglia si può anche ricondurre l’Islah, partito di ispirazione islamica apertamente filo-saudita: dopo la presa della loro roccaforte di Amran nel luglio dell’anno scorso e l’arrivo degli Houthi nella capitale, il capo della famiglia, Hamid al-Ahmar, si è rifugiato in Arabia Saudita e da lì ha sostenuto l’intervento militare di Riyad.

SHAYKH – Nonostante la presenza all’interno delle confederazioni di famiglie di prestigio, è errato affermare che la carica di shaykh (anziano o capo) sia ereditaria. Egli è semplicemente un membro eletto per risolvere i problemi del suo clan: è un primus inter pares che costruisce la propria fama grazie alla bravura nel tessere accordi (in particolare attraverso l’istituto dell’arbitrato). Nel momento in cui fallisce o dimostra di aver abusato della fiducia affidatagli, è rimosso. Conquistare o pagare uno shaykh ha ben poco valore se questi non ha lealtà della sua gente. Questo è stato dimostrato appunto dalla caduta degli Ahmar: l’arroganza del clan, unita a una certa abilità diplomatica degli Houthi, ha indotto alcune tribù a parteggiare per questi ultimi attraverso quello che nel mondo Occidentale sarebbe stato un voto di sfiducia.

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Fig.2 – Combattenti della tribù dei Bakil in rivista

PROBLEMATICHE ATTUALI: DEBOLEZZE… – Negli ultimi decenni il potere delle tribù è stato seriamente indebolito da una politica clientelare condotta sia dal Governo centrale sia dall’Arabia Saudita. I membri più importanti delle tribù erano stipendiati per comprarne la lealtà a discapito della popolazione locale. Questo ha provocato l’erosione di norme del sistema consuetudinario e un indebolimento dell’autorità dei mashayikh (plurale di shaykh). Questo sgretolamento di valori tribali e di rispetto ha indotto le generazioni più giovani a macchiarsi di crimini (come omicidi, rapimenti, violenza sulle donne e sui bambini) riconducibili alla definizione di “vergogna nera”, e che avrebbero condotto alla morte o all’esilio fino a poco tempo fa. L’indebolimento tribale, dunque, non ha rafforzato in alcun modo il Governo, ma ha moltiplicato il disordine e la delinquenza nel Paese favorendo l’avanzata di gruppi come AQAP, che promettono di ristabilire l’ordine.

…E PUNTI DI FORZA – Nonostante tutto, il sistema tribale rimane fondamentale per coprire tutte quelle mancanze di cui il Governo non può o non vuole occuparsi. Negli ultimi tempi un insieme di responsabilità è ricaduto sulle spalle delle tribù: dal sostegno degli indigenti alla sicurezza delle strade e al controllo del territorio. Questa è una prova che le tribù non sono la causa dell’instabilità yemenita: lo studioso Daniel Corstange ha scritto che le tribù sono «il miglior sostituto per uno Stato debole o assente». Lungi dall’essere il problema, nel caso yemenita esse rappresentano il tentativo di risolvere questioni nazionali da parte un sistema informale. I detrattori delle tribù non hanno mai riconosciuto loro questi meriti, mettendo in luce solo le caratteristiche che le etichettano come infide e pronte a cambiare bandiera alla presenza di un accordo migliore. Quest’idea ha indotto tutti i governi successivi all’Imamato a trattarle come male necessario, da controllare con pagamenti o minacciare con interventi militari. Mai vi è stato un vero tentativo di integrarle nonostante il loro ruolo e l’importanza che il loro corpus di leggi (‘urf) ha ancora oggi.

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Fig.3 – Lo sceicco filo-saudita Sadiq al-Ahmar ad una riunione con gli altri capi tribali

SOLUZIONE: L’INTEGRAZIONE – Affrontare le problematiche sociali ed economiche dei territori tribali e farne parte integrante dello Stato è possibile, come dimostrato dalle azioni portate avanti nel vicino Oman – il cui tessuto sociale è per diversi tratti simile a quello yemenita. In Oman, con una calcolata politica di unità, la regione del Dhofar, fonte di ribellione tribale, è divenuta parte vitale del Paese. Una politica simile potrebbe essere condotta anche in Yemen coinvolgendo le confederazioni nel Dialogo Nazionale durante i colloqui di Ginevra e riconoscendo in tal modo l’importanza delle tribù. Dopo tutto, un proverbio locale suggerisce: lo Yemen è le sue tribù e le tribù sono lo Yemen. Cercare di creare un nuovo Governo senza considerarle significa dirigersi verso un nuovo fallimento che lo Yemen non può permettersi.

Veronica Murzio

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Un chicco in più

Secondo lo Yemen Times circa il 90% delle controversie è risolto attraverso l’uso dell’arbitrato e del diritto tribale (‘urf). Per una spiegazione sul concetto è utile consultare Il ruolo dell’arbitrato nello Yemen zaidita. Dialettica tra società tribale e casta dei Sadah a cura dell’autrice per Archivi di studi Indo mediterranei.
Per chi volesse approfondire l’utilizzo di costumi tribali al giorno d’oggi si suggerisce un interessante articolo di Mikael Strandberg sull’argomento. [/box]

Foto: richard.mcmanus. http://gty.im/153537493

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Veronica Murzio
Veronica Murzio

Sono nata nel 1979 e mi sono laureata presso l’Università di Padova con una tesi sui rapporti tra il tribalismo e l’Imamato nello Yemen contemporaneo. Ho vissuto lì per sette mesi studiando l’arabo e la cultura locale dopo la laurea. Partire e lasciarlo mi ha spezzato il cuore nonostante sia uno dei Paesi più problematici dell’area.Ho lavorato come traduttrice letteraria al mio rientro in Italia prima di completare i miei studi con un Master in Studi Mediterranei presso l’Università di Firenze dove ho approfondito la Geopolitica della regione MENA e mi sono addentrata nello studio della Legge Islamica. Ora lavoro per i Musei della mia città, Vicenza.

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