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Correzione cinese: prospettive finanziarie nel Regno di mezzo

5 domande e 5 risposte – Negli ultimi due mesi i mercati finanziari cinesi hanno subito forti perdite. Nella sola giornata del 26 luglio lo Shanghai Composite Index è calato del 9%. Tale calo non è che l’ultima di una serie di correzioni dei listini cinesi negli ultimi due mesi. Cosa è successo? 

1) Nell’ultimo mese le borse cinesi sono state estremamente volatili. Cosa è successo?

Dopo un anno di guadagni da record, la bolla finanziaria che si era formata ha cominciato – inevitabilmente – a sgonfiarsi. Alla base della bolla cinese sono da considerarsi due fattori: innanzitutto, la mancanza di metodi di investimento da ritorni significativi per i cittadini cinesi. È bene ricordare che in Cina i tassi d’interesse delle banche sono manipolati dal Governo e i prezzi del real estate sono troppo alti perché il cittadino medio possa investirci. In secondo luogo, l’uso indiscriminato di margin trading, cioè l’utilizzo di piattaforme finanziarie che consentono di prendere in prestito dei soldi per poterli investire e moltiplicare i guadagni o le perdite, da parte di investitori giovani e non finanziariamente educati alla ricerca di guadagni facili sull’onda di un mercato in continuo rialzo. Con lo scoppio della bolla l’effetto del margin trading si è fatto sentire sui circa 90 milioni di cittadini che investivano personalmente i propri beni, erodendo velocemente risparmi di una vita in un’inevitabile crisi “emotiva” dei mercati, catturati tra greed and fear. Ciò ha causato due mesi di estrema incertezza nelle borse di Shanghai, Shenzhen ed Hong Kong. La borsa di Shanghai ha raggiunto il suo valore massimo il 12 giugno, momento dal quale ha iniziato ad affondare nonostante le stringenti regole dei mercati finanziari cinesi: Pechino ha stabilito, infatti, dei limiti piuttosto rigidi sul massimo rialzo e ribasso consentito alle azioni nei suoi listini. Nonostante i 3.900 miliardi di dollari bruciati con il calo del 28% delle scorse settimane, lo Shanghai Stock Exchange Composite Index resta in crescita di circa l’80% rispetto lo scorso anno. Le misure del Governo per arginare lo sgonfiarsi della bolla sembrano avere avuto un effetto anestetizzante solo per le prime settimane, che hanno fatto recuperare il 16%: il 27 di luglio un’ulteriore caduta di circa il 9% per Shanghai, 7% per Shenzhen e 3% per Hong Hong ha riacceso le paure degli investitori.

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Fig. 1 – Vista dello skyline di Shanghai e della replica del famoso toro di Wall Street

2) Dobbiamo aspettarci ulteriori cadute?

Ciò che è avvenuto nei mercati finanziari cinesi è definito correzione, cioè un movimento al ribasso momentaneo rispetto al movimento rialzista del mercato; una correzione del mercato, quindi, non ha il potere di invertire il trend di crescita dominante ma, piuttosto, comporta un riequilibrio di quelle azioni cresciute eccessivamente rispetto ai loro fondamentali. Ed è proprio dei fondamentali che bisogna occuparsi per rispondere alla nostra domanda. A fine maggio del corrente anno non era una sorpresa sentire storie di azioni che nel giro di poche settimane erano cresciute del 500%, senza riguardo alcuno per la dimensione del business o per il valore della Price-Earnings ratio (PE); il rapporto tra prezzo e utili è, infatti, uno degli indicatori principali utilizzato dagli investitori per valutare l’acquisto o meno di un’azione. Mentre un valore normale si aggira intorno a 15, il valore medio del PE nelle borse cinesi era superiore a 60 in precedenza alla prima correzione. L’intervento del Governo non ha permesso un sostanziale riallineamento del rapporto PE, che si è attestato in media tra 20 e 30: un sostanziale miglioramento rispetto alla situazione precedente, ma allo stesso tempo un segnale che le altalene non sono ancora finite.

3) In cosa consiste l’intervento del Governo?

L’intervento del Governo è consistito in una serie di interventi straordinari che hanno sospeso circa 1500 azioni – circa il 50% di quelle quotate – dall’essere scambiate, creato uno speciale fondo, in collaborazione con grandi intermediari finanziari, per acquistare azioni in difficoltà e vietato agli investitori in possesso di una quota superiore del 5% di una società la vendita di azioni della stessa. Inoltre, alle imprese statali è stata vietata la vendita di pacchetti azionari , nonché “consigliato” di acquistare massicciamente per creare un effetto positivo sui mercati.
La notizia ha fatto particolare scalpore in quanto un intervento draconiano di queste dimensioni – pur teso alla protezione dei risparmiatori – fa dubitare dello spirito delle riforme dell’amministrazione Xi. La verità è che il Governo ha preferito intervenire con misure tutt’altro che capitaliste per rassicurare la popolazione: tra le riforme e la legittimità, il partito ha scelto la seconda. Ciò che il Partito comunista cinese deve dimostrare è sia di saper adottare riforme in grado di trasformare l’economia cinese e portare benessere, sia di essere l’unico attore nel panorama politico in grado di adottare tali riforme.
L’intervento del Governo riapre, inoltre, la vecchia battaglia interna al partito tra maoisti e riformatori: mentre i primi sono gli autori di tale intervento in perfetto vecchio stile comunista, tra i secondi serpeggia un malcontento mal celato per la via scelta. Sono in molti nella comunità della finanza internazionale, infatti, a sottolineare come non ci si possa sottrarre alla realtà dei mercati, e che tutti gli interventi in senso contrario sono non solo inutili ma anche dannosi per il futuro dell’economia.

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Fig. 2 – Titoli in caduta il 26 giugno

4) L’economia cinese è salda o ci aspetta una nuova crisi economica?

Mentre l’Europa si concentrava sull’ultimo capitolo della saga del debito greco, molti giornali finanziari hanno insistentemente puntato il dito su quello che stava succedendo in Cina, disegnando un terribile parallelismo tra Atene e Pechino. Il paragone, per quanto temporalmente azzeccato, sembra non cogliere nel segno ciò che sta succedendo in Cina. Mentre la crisi del debito greco ha degli importanti e immediati spillover sull’economia europea, lo sgonfiarsi della bolla – la già citata correzione – sembra non avere alcuna trasmissione nell’economia reale cinese.  Ha questo proposito sono importanti i dati rilasciati solo la scorsa settimana rispetto allo stato dell’economia del Regno di mezzo: le vendite al consumo sono salite del 10,6%, la produzione industriale cresce del 6,8%, il settore real estate sembra essersi raffreddato – evitando così il gonfiarsi di una seconda bolla – e il PIL cresce stabilmente del 7%.
Negli scorsi giorni è stata confermata, inoltre, la notizia che il fondo americano BlackRock ha ottenuto dal Governo cinese l’autorizzazione a raccogliere direttamente fondi dei risparmiatori cinesi senza passare più per intermediari, la Qualified Domestic Limited Partnership. Le implicazioni dell’entrata di BlackRock in Cina sono di notevole importanza in questo momento turbolento per i mercati e i conseguenti dubbi nati dall’intervento del Governo: la strada delle liberalizzazioni è ancora aperta e non ci sarà una marcia indietro.
Come già detto, la correzione al ribasso dei mercati azionari cinesi ha sì bruciato il 30% del suo valore, ma mantenedoli in netto rialzo rispetto l’anno passato. L’episodio probabilmente non resterà isolato, in quanto l’intervento del Governo ha prevenuto il riallineamento dei prezzi con i valori fondamentali, ma i valori non sono al momento troppo distanti. Ciò che conta sottolineare è come la bolla finanziaria non sia – al momento – in grado di trasmettersi all’economia reale, innescando una recessione, o facendo esplodere la ben più pericolosa bolla del debito delle amministrazioni locali di cui avevamo già parlato in passato.

5) È possibile un contagio europeo?

L’Europa è relativamente salda rispetto alla situazione orientale; grazie al ciclo economico positivo e a una relativa disconnessione tra i mercati finanziari delle due regioni, dovuto principalmente all’isolamento cinese, il pericolo maggiore è dato da un possibile indebolimento della domanda cinese per i beni di lusso europeo – eventualità possibile ma ancora non presentatasi.
In generale non ci si aspettano serie conseguenze per l’Occidente, a meno che due eventi distinti non acuiscano la situazione: la trasmissione della crisi all’economia reale e un forte innalzamento dei tassi da parte della FED. La prima eventualità, che la crisi finanziaria venga trasmessa all’economia reale cinese, è la peggiore delle due opzioni. In Cina giganteggia il pericolo dei debiti dell’amministrazione locale che la gestione Xi non è ancora riuscita a limitare. Un’eventuale connessione tra i due problemi – bolla del debito locale e bolla finanziaria – impedirebbe un serio impegno verso le riforme e le liberalizzazioni tanto necessarie, con strascichi per tutto il mondo. La seconda opzione avrebbe effetti soprattutto sui Paesi emergenti, in quanto un aumento dei tassi della FED – che ci si aspetta nei prossimi mesi –  attrarrebbe capitali negli USA a loro discapito, con la potenzialità di riaprire il vortice della crisi non solo in Russia e in Brasile, ma anche nel Regno di mezzo.
Se l’economia cinese sembra reggere bene il colpo, lo stesso non si può dire per i prezzi delle materie prime, ai minimi dal 2007. Con lo scoppio della bolla la speculazione sulle commodities è diminuita, affondando anche le monete di Canada e Australia, le cui economie si basano sull’esportazione di tali prodotti.

Federico G. Barbuto

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Un chicco in più

Se vogliamo tracciare un parallelismo tra questa bolla finanziaria, prima di questo genere in Cina, e le precedenti esperienze nei più maturi mercati americani, la dotcom crisis è il candidato più adatto alla nostra analisi. Come nella crisi del dotcom dei primi anni 2000, infatti, la crisi finanziaria cinese è largamente dovuta alla nuova “moda” di investire i propri guadagni in borsa da parte della classe media senza alcuna istruzione in merito. In entrambi i casi la base della crisi è da identificarsi nella facilità dell’investimento – basta una veloce registrazione su un sito internet o un’app per smartphone – e nel passaparola, in luogo dell’analisi dei fondamentali, come base dell’investimento. Investire diventa una vera e propria moda seguita da tutti, e le storie dei numerosi fallimenti sono eclissate dai pochi ma strabilianti successi. [/box]

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Federico G. Barbuto
Federico G. Barbuto

Laureato in Scienze Politiche alla LUISS di Roma, dove ho anche conseguito un MA in International Relations, mi sono trasferito in Cina nel 2012 dove ho ottenuto un MA in Economics presso la Renmin University of China. Dopo aver lavorato in una compagnia di investimenti mi sono trasferito prima in Colombia e poi in Belgio, dove lavoro nel mondo dell’UE.

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