Seconda parte dell'analisi dedicata alla nascita dell'Unione eurasiatica che dovrebbe concretizzarsi entro il 2015. Alcuni stati ne entreranno a pieno titolo, altri invece tentennano, come l'Ucraina o peggio rimangono ostili, come la Georgia. Perché dal Cremlino tanta attrazione per le due? E quali prospettive per l'integrazione, alla luce delle imminenti elezioni parlamentari ucraine e del recente scossone politico georgiano?
(Segue. Rileggi qui la prima parte)
L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI UCRAINA – L'ingresso di Kiev nell'Unione eurasiatica risulta nodale per soddisfare le brame di Mosca. Come per la Bielorussia, gli interessi che muovono il Cremlino sono non solo di carattere politico ma anche di tipo culturale, economico e militare. Legata a Mosca dalla presenza di una consistente minoranza russa, l'Ucraina la scorsa estate ha accorciato le distanze, rendendo il russo lingua ufficiale in 13 regioni dello Stato. Il legame tra le due ex sovietiche, risulta ancor più rafforzato dai rapporti commerciali tra Ucraina e numerosi oligarchi russi e dalla dipendenza energetica di Kiev che, nell'eventualità di tensioni con Mosca, rischia la chiusura dei rubinetti, come accaduto nel gennaio 2009. Inoltre, l'influenza della Russia si fa sentire anche nell'ambito della sicurezza e della difesa, grazie alla collaborazione dell'intelligence russo-ucraina e alla presenza della Flotta del Mar Nero, fino al 2042, nel porto di Sebastopoli.
IMMENSAMENTE JULIJA – Il versante politico, più controverso di quello bielorusso, è cruciale per i piani del Cremlino. Dopo lo spauracchio europeo, agitato dall'ex presidente Viktor Yuschenko e dall'ex primo ministro Julija Timoshenko, la barra dell'Ucraina orientata ad ovest ha subito una brusca virata. In favore di Mosca sono arrivate l'elezione nel 2010 del presidente filo-russo Viktor Yanukovich, il no del parlamento ucraino all'ingresso di Kiev nella Nato e la giustizia settaria del Paese ai danni della Timoshenko, accusata d'aver stretto con il Cremlino un accordo sul prezzo del gas svantaggioso per l'Ucraina.
La condanna della Timoshenko per abuso di potere ha portato allo stallo dei negoziati tra Ue e Kiev, ma non ha ammorbidito la linea di Mosca, conscia d'avere la situazione in pugno. Yanukovich ha subito lo scotto della sentenza incartandosi praticamente su se stesso. Da Bruxelles porte sbarrate e da Mosca, al momento, nessun accordo per un prezzo del gas più favorevole. All'Ucraina probabilmente, per ottenere condizioni commerciali più vantaggiose, non resta che pensare seriamente all'integrazione nell'Unione eurasiatica. E le elezioni parlamentari del 28 ottobre, nonostante le esortazioni della Timoshenko alla ribellione, non prospettano particolari mutamenti politici in grado di rimescolare le carte.
IL PESO GEOPOLITICO DELLA GEORGIA – Calato il gelo tra Russia e Georgia dopo la guerra lampo dell'agosto 2008, che vide in campo le truppe russe a sostegno delle autoproclamate repubbliche di Abkhazia e Ossezia del Sud, a partire da novembre dello scorso anno, per volere del presidente georgiano Michail Saakashvili, ci sono stati i primi segnali di distensione. Segnali che però non bastano ad acquietare l'insofferenza di Mosca verso una Georgia sempre più filo-occidentale. Infatti, per Putin rimane impensabile che Tiblisi, posizionata in una regione geopoliticamente strategica come quella del Caucaso – storicamente caratterizzata dall'influenza moscovita e militarmente compresa nella Csto – possa finire sotto l'egida occidentale della Nato. Inoltre, la Georgia, riveste un ruolo importante nello sfruttamento delle risorse del Mar Caspio grazie alla gestione, congiuntamente a Turchia e Azerbaijan, dell’oleodotto BTC e del gasdotto South Caucasus Pipeline.
SOGNO O SON DESTO – Intanto Saakashvili, con le elezioni parlamentari dello scorso primo ottobre, ha segnato un clamoroso autogoal. Infatti, la vittoria è andata a Sogno georgiano, il partito del magnate filo-russo Bidzina Ivanishvili, con il 55 per cento dei voti, contro il 40,3 del Movimento nazionale unito guidato dal presidente. Il parlamento, controllato dalla coalizione di Ivanishvili, eleggerà il primo ministro che grazie alla riforma costituzionale, a partire dal 2013, deterrà molti dei poteri oggi affidati al capo dello Stato. Saakashvili, che tra un anno dovrà abbandonare la poltrona da presidente perché al suo secondo mandato, sperava in una staffetta "alla Putin". Ma evidentemente i suoi piani sono stati stravolti, prospettando così per Mosca uno scenario sicuramente più favorevole. Maria Paterno [email protected]