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Rapporti di buon vicinato (?)

Si conclude il focus dedicato alla nascita dell’Unione eurasiatica. In quest’ultima parte cerchiamo di capire in che modo l’integrazione di Russia, Bielorussia e Kazakistan costituirà un vantaggio per l’Unione Europea senza però trascurarne gli eventuali rischi e problematiche

 

UN’OPPORTUNITÀ PER L’EUROPA – Già da anni interessata ai rapporti di “buon vicinato” con i cugini dell’est, prima grazie alla PEV (Politica europea di vicinato) e poi attraverso il Partenariato Orientale (PO), l’Unione europea potrebbe intercettare le opportunità veicolate dalla neo integrazione eurasiatica. Infatti, l’intento dell’Unione eurasiatica è quello di porsi come organizzazione in grado di interagire con altri partner, europei e non, per la creazione di un ampio spazio economico, dall’Atlantico al Pacifico, grazie alla sua posizione geograficamente strategica. Ma quali potrebbero essere i benefici per il Vecchio Continente? Il vantaggio più evidente consiste nella possibilità di poter esportare verso un’area di libero scambio che costituisce circa l’80% del potenziale economico dell’ex URSS, con un PIL pari a 2 miliardi di dollari, caratterizzata da maggiore efficienza e trasparenza doganale ed abitata da circa 180 milioni di persone. Ulteriore convenienza è rappresentata dal costo ridotto dell’energia che rende possibile un abbattimento delle spese per investitori ed imprese. E l’energia è senza ombra di dubbio la chiave di volta delle partnership economiche nell’area eurasiatica, motivo d’attrazione per investimenti esteri tra cui figurano anche quelli d’Italia, Francia e Germania. Altro aspetto da considerare è quello della sicurezza. Infatti, secondo le parole dell’ambasciatore kazako Yelemessov, dal punto di vista geopolitico l’Unione eurasiatica potrebbe rivestire un ruolo di bilanciamento – nell’ambito dell’assetto mondiale – grazie ad una rete di alleanze tra paesi dell’area euro-atlantica e paesi dell’area asiatica.

 

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NON È TUTTO ORO CIÒ CHE LUCCICA – Certo è che se da un lato ci sono prospettive allettanti, specie economiche, dall’altro bisogna considerare i pericoli che potrebbero scaturire da alleanze energetiche, commerciali e politiche con le tre ex repubbliche sovietiche. La medaglia ha sempre una doppia faccia e nel caso dell’Unione eurasiatica si tratta di una faccia particolarmente inquietante. Uno dei principali problemi riguarda la dipendenza energetica che non lascia ampi spazi di manovra e si ripercuote inevitabilmente sui rapporti diplomatici. E’ lampante il fatto che la “questione gas” resti ancora un rompicapo per l’Europa che rischia di rimanere asservita a Mosca, Astana e Minsk per il timore di ritrovarsi con produzioni industriali bloccate e cittadini al freddo. Oltretutto, le alleanze con la neo Unione eurasiatica, figlia di Putin, potrebbero far storcere il naso a quelle nazioni europee che non guardano il Cremlino di buon occhio, vedi i Paesi baltici e la Polonia, creando eventuali spaccature in seno alla stessa Unione europea.  Non di poco conto inoltre le divergenze in materia di diritti umani, pace e democratizzazione, in particolar modo di Bielorussia e Kazakistan. Potrebbe apparire stridente un’alleanza tra l’attuale Premio Nobel per la pace e Capi di Stato come Putin, Nazarbayev e Lukashenko, finiti spesso sotto accusa per aver violato i diritti civili del proprio popolo o per aver fomentato guerre in casa, emblematici i fatti di Cecenia e Daghestan.

 

AMICI MA NON TROPPO – Alla luce di quanto detto i rapporti con l’Unione eurasiatica risultano, ciò nonostante, tanto importanti quanto inevitabili, sia per gli indiscussi vantaggi commerciali che ne potrebbero scaturire, sia per la rilevanza geopolitica ed economica dell’area. Questo però non esclude il fatto che l’Unione Europea possa lavorare alla creazione di relazioni più equilibrate. Se per alcuni il bilanciamento potrebbe generarsi grazie ad una maggiore influenza di Bruxelles in merito alla revisione di strutture politiche e sociali, per altri l’unico modo che l’Europa ha per mirare a relazioni paritarie è quello di ripensare – dopo il fallimento del progetto Nabucco – all’indipendenza energetica attraverso la costruzione di una nuova pipeline contrapposta al gasdotto South Stream.

 

Maria Paterno

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Maria Paterno
Maria Paterno

Pugliese doc, classe 1985, alla veneranda età di 25 anni approda nuovamente all’ università, dopo numerose peripezie tra Bari e Roma, ed oggi sta per laurearsi in Scienze della Comunicazione con una tesi sul fallimento dell’Unione per il Mediterraneo. Si avvicina al mondo del giornalismo scrivendo per un quotidiano on line dell’area barese ma i suoi più grandi amori sono però la storia e la geopolitica, con particolare interesse alle vicende dell’area post sovietica e mediorientale. Per il “Caffè Geopolitico” si occupa di Russia ed Eurasia

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