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Rimandato… a novembre (II)

Un Caffè Americano – Prosegue il nostro viaggio verso le elezioni USA. Eccovi la seconda parte dell’articolo sulle politiche economiche di Obama

 

(Segue. Rileggi qui la prima parte)

 

OCCUPAZIONE – Sul piano dell’occupazione, il programma elettorale del 2008 prometteva anche 150 miliardi di dollari in investimenti per la creazione di business (e posti di lavoro) verdi. Gli interventi portati a termine dal governo Obama includono investimenti in energie pulite, lo sviluppo di mezzi di trasporti a basso impatto ambientale e iniziative per aumentare l’efficienza energetica, quali l’ammodernamento della rete elettrica nazionale. Tuttavia, secondo Environment America, una coalizione di gruppi ambientalisti, dall’inizio del 2009 gli investimenti totali in “green economy” hanno raggiunto 78,61 miliardi di dollari, una cifra ben lontana dalla promessa iniziale. Gli impegni elettorali sono stati invece mantenuti con riguardo agli assegni di disoccupazione per il 2009, che sono stati parzialmente detassati e la cui durata è stata estesa negli stati con piĂą alti tassi di disoccupazione. Oggi, tuttavia, i tassi di disoccupazione restano alti (7.8% a ottobre 2012, dopo aver toccato un picco del 10% a ottobre 2009) e molti si domandano se livelli di spesa pubblica come quelli previsti dall’“American Recovery and Reinvestment Act” (831 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2019) siano sostenibili senza una ripresa piĂą incisiva. Gli oltre 230.000 posti di lavoro creati sin dal 2009 nel comparto auto, un’industria resuscitata grazie ad una serie di prestiti governativi quando Mitt Romney, dalle pagine del New York Times gridava di lasciarla fallire, potrebbero non bastare come simbolo della validitĂ  della politica economica di Obama.

 

ISTRUZIONE – Nella campagna elettorale 2008, la scuola occupava un posto d’onore. E l’istruzione è la sfera in cui Obama ha mantenuto il maggior numero di promesse. Nell’ambito dello stimolo economico, l’amministrazione in carica ha istituito un sistema di prestiti agli stati che riformano il sistema educativo, ad esempio rimuovendo di ostacoli per la fondazione di “charter schools” (istituti pubblici d’istruzione primaria e secondaria che grazie all’autonomia operativa garantiscono risultati pari a quelli delle scuole private, senza imporre rette annuali  che normalmente ammontano a decine di migliaia di dollari). Il fondo a favore delle riforme per la scuola, per il quale il Congresso ha stanziato piĂą di 5 miliardi di dollari, ha supportato anche programmi di “mentorship” insegnante-alunno per ridurre il tasso di abbandono scolastico e l’assunzione di nuovi insegnanti di matematica e di scienze per favorire la diffusione di curricula ingegneristici e tecnologici. Per gli studenti universitari, invece, il bilancio degli interventi Ă« meno definitivo. Se inizialmente i democratici avevano promesso la detraibilitĂ  di 4.000 dollari per ogni studente al college, vincoli di budget non hanno concesso di salire oltre i 2.500 dollari, appena 700 dollari in piĂą dell’era Bush. Inoltre, sebbene studi suggeriscano che la percentuale di studenti che si iscrive al college dopo il diploma di scuola media superiore Ă« cresciuta dal 34,9% nel 2005 al 41,4% nel 2009, è incerto se l’effetto possa essere attribuito alle iniziative del governo democratico. E’ probabile, infatti, che i risultati di questi interventi si vedano nei prossimi anni. Certo è che, eliminando nel 2010 i contributi alle finanziarie private, che speculavano sui fondi pubblici proponendo a studenti sprovveduti prestiti universitari a tassi quasi predatori, Obama ha liberato fondi che hanno consentito di aumentare i prestiti e i sussidi federali per aiutare le famiglie a pagare le altissime rette dei college americani.

 

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IMMIGRAZIONE – In ambito sociale, uno dei principali talloni d’Achille di Obama è la mancata riforma della legge sull’immigrazione. La comunitĂ  ispanica, che negli Stati Uniti rappresenta il gruppo etnico a maggior crescita demografica (il tasso di crescita dal 2000 al 2010 Ă« stato del 43% quattro volte superiore alla media nazionale del 9,7%), accusa Obama di non aver mantenuto le promesse, soprattutto per quel che riguarda l’approvazione del “Dream Act”, la legge che consentirebbe agli immigrati clandestini di ottenere un permesso di soggiorno permanente (la green card), purchĂ© abbiano meno di 35 anni, non abbiano precedenti penali, siano entrati illegalmente negli Stati Uniti da minori, e abbiano conseguito un diploma di scuola superiore. Messo alle strette durante un’intervista su Univision, il principale canale ispano-americano, poche settimane fa Obama si è scusato con la comunitĂ  latina, attribuendo l’impossibilitĂ  di approvare una riforma completa sull’immigrazione alla drammatica crisi economica che ha segnato gran parte del suo mandato, ma anche al mancato appoggio dei Repubblicani, in particolare del suo ex avversario presidenziale John McCain, che in precedenza aveva sostenuto il “Dream Act”. Nonostante l’insoddisfazione espressa verso la politica sull’immigrazione, il voto della comunitĂ  ispanica a Romney appare improbabile. Dopo tutto, Romney ha appoggiato il governatore repubblicano dell’Arizona quando questi, nell’agosto scorso, si è rifiutato di fornire documenti ai giovani che si qualificavano per il “Dream Deferred Action”, una versione ridotta del DREAM ACT che si estende ai giovani fino ai 31 anni e che consente loro di ottenere un permesso di lavoro (ma non la green card).

 

CONCLUSIONI – Agli occhi dei suoi sostenitori, Obama ha fatto ciò che era possibile dato lo scenario economico in cui si è trovato a operare e che è il risultato di anni di deregolamentazione dei mercati portata avanti dai Repubblicani. Secondo i suoi critici, la politica economica di Obama, fondata su ampi interventi di spesa pubblica di stampo Keynesiano, è destinata a fallire perchĂ© va contro i principi di libertĂ  individuale e auto-realizzazione che permeano il tessuto sociale ed economico americano e porta a un aumento del debito pubblico. Resta da vedere da che parte stia la maggioranza degli elettori.

 

Esther Leibel

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