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Genocidio?

La Camera dei Rappresentanti statunitense ha votato una risoluzione che definisce “genocidio” i massacri dei Turchi sugli Armeni nel 1915. Per Ankara è inaccettabile e la politica mediorientale di Obama potrebbe subirne le conseguenze in modo non trascurabile.

LA VOTAZIONE – Soffiano di nuovo venti di bufera sui rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e la Turchia, dopo che la settimana scorsa la Commissione per gli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti statunitense ha votato una risoluzione che definisce le uccisioni avvenute a margine della Prima Guerra Mondiale di centinaia di migliaia di Armeni da parte delle forze turche dell’allora Impero Ottomano, come “genocidio”. La questione è molto controversa e determina da sempre i cattivi rapporti (anzi, ufficialmente nulli) tra la Repubblica di Armenia e la Turchia e da sempre la posizione di Washington al riguardo è vista come un barometro per giudicare lo stato delle relazioni tra Ankara e l’alleato d’oltreoceano. La risoluzione non vuol dire automaticamente che anche il Congresso statunitense ufficialmente arriverà a dichiarare i fatti del 1915 come “genocidio armeno”, ma rappresenta un primo passo in questa direzione. Del resto, già nel 2000 e nel 2007 vi era stata una votazione simile , senza che poi gli Stati Uniti arrivassero ad adottare ufficialmente tale posizione nei riguardi della questione. Lo stesso Presidente Obama, insieme al Segretario di Stato Hillary Clinton, hanno dichiarato di essere stati contrati alla risoluzione, nel tentativo di smorzare i toni della reazione turca alla decisione della Camera dei Rappresentanti.

LE CONSEGUENZE IN MEDIO ORIENTE – Cosa vorrebbe dire, infatti, una reazione dura da parte di Ankara? In primo luogo vi è da considerare il fatto che la Turchia è uno dei maggiori alleati e più affidabili dal secondo dopo-guerra ad oggi degli Stati Uniti nella regione mediorientale. Soprattutto in questo momento di tensioni tra Ankara e Israele da un lato e, dall’altro, tra la stessa Amministrazione Obama e il governo israeliano guidato da Netanyahu, mantenere buoni rapporti con la Turchia è una questione di primaria importanza per Washington. Ankara, che tramite le parole del Ministro degli Affari Esteri Ahmet Davutolgu ha già duramente attaccato gli Stati Uniti per la decisione circa il cosiddetto genocidio armeno e che ha momentaneamente richiamato il proprio ambasciatore a Washington per delle “consultazioni urgenti”, potrebbe avviare una campagna di boicottaggio delle politiche statunitensi molto nociva. Prima di tutto, infatti, potrebbe arrivare, come ha già fatto nel 2003 alla vigilia dell’intervento armato statunitense in Iraq, a negare agli Stati Uniti l’accesso alla propria base aerea di Incirlik, fondamentale per le operazioni nell’Iraq del Nord, quello curdo, ancora così incerto circa il suo futuro e da cui potrebbe partire, nel medio termine, una nuova ondata di instabilità nelle regione per via delle controversie sulla città di Kirkuk e sui diritti petroliferi della regione irachena del Kurdistan autonomo.

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IL NODO IRAN – In secondo luogo, la Turchia sta giocando un ruolo importante anche per ciò che riguarda la situazione in Afghanistan e, più in generale, per i rapporti tra gli Stati Uniti e le altre Repubbliche dell’Asia Centrale, importanti nella definizione strategica della regione asiatica e mediorientale. Infine, non è da dimenticare il fatto che la Turchia sieda attualmente al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite come membro non permanente. Ciò vuol dire che Ankara avrà diritto di voto su qualsiasi decisione si debba prendere in quell’ambito circa eventuali sanzioni o provvedimenti nei confronti dell’Iran come conseguenza del programma nucleare portato avanti da quest’ultimo. Teheran è in rapporti diplomatici, politici ed economici abbastanza buoni con la Turchia e, se si dovessero aggiungere anche i dissidi tra Washington e Ankara circa la questione armena, sembra abbastanza scontato che la Turchia non appoggerà alcuna azione di ritorsione nei confronti dell’Iran, mettendo potenzialmente in difficoltà maggiore il fronte anti-iraniano capeggiato dagli Stati Uniti.

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