Il recente viaggio di Ahmadinejad in Sudamerica conferma le partnership con i “vecchi” amici Chávez e Morales e un po’a sorpresa rivela la nuova sintonia con il Brasile. A che gioco sta giocando Lula?
IL VIAGGIO – Tra Iran e America del Sud c’è una singolare sintonia da alcuni anni a questa parte, almeno da quando a Teheran governa Ahmadinejad e in Venezuela Hugo Chávez ha fondato il “socialismo del XXI secolo”. Una simile alleanza non avrebbe ragion d’essere al di fuori di pochi punti fondamentali: la comune avversione contro il “grande Satana” statunitense e interessi economici condivisi nel campo dell’energia, riguardanti il petrolio e il nucleare (il Venezuela ha l’uranio mentre l’Iran ne ha bisogno per portare avanti il proprio progetto). L’ultimo viaggio del presidente persiano Mahmud Ahmadinejad in terra latina dunque non dovrebbe destare uno scalpore particolare: il leader islamico si è recato dapprima in Brasile, poi in Bolivia da Evo Morales e infine a Caracas per incontrare l’amico Hugo. È stata la prima tappa del viaggio tuttavia a riservare alcune sorprese: quelle che sono emerse dall’incontro tra Ahmadinejad e Lula.
APPOGGIO A TEHERAN – Se ci si attendeva una posizione conciliante ma ferma nei confronti dell’Iran è stato necessario ricredersi. Infatti, oltre alla firma di una serie di accordi bilaterali in campo energetico, scientifico, tecnologico e commerciale, il presidente brasiliano ha sostenuto le ragioni di Teheran nel proseguire sulla strada del progetto nucleare, nonostante l’Iran abbia dimostrato nelle ultime settimane di non avere una reale volontà collaborativa con l’AIEA e il gruppo dei “5+1”. Lula ha sottolineato il diritto di ogni nazione a sviluppare una propria energia nucleare per scopi civili e ha citato come esempio virtuoso proprio quello del Brasile, dove sono attive due centrali e dal 2007 sono ripresi i lavori per la conclusione della terza, denominata “Angra III”. Non sono mancate critiche da parte di manifestanti che hanno espresso il loro dissenso al di fuori del palazzo presidenziale a Brasilia e da parte del candidato dell’opposizione alle prossime elezioni, José Serra del Partito Socialdemocratico, il quale ha sottolineato l’inopportunità di stipulare accordi con l’esponente di un regime autoritario irrispettoso dei diritti umani.
LE IMPLICAZIONI – L’orientamento di Lula nelle ultime settimane in tema di politica estera ha leggermente virato da quello mantenuto fino a qualche tempo fa, caratterizzato da una grande apertura verso gli Stati Uniti e le nazioni più ricche. Il presidente brasiliano ha espresso critiche nei confronti di Obama per non aver mantenuto – almeno fino a questo momento – la promessa di tornare ad interessarsi con forza delle questioni emisferiche e sta adottando un atteggiamento poco chiaro relativamente alla questione Battisti, molto importante per l’Italia (anche se non tanto da compromettere le solide e irrinunciabili relazioni economiche con il Brasile). Cosa c’è sotto a questo comportamento? Ambiguità? Ostilità nei confronti dell’Occidente? Molto probabilmente niente di tutto questo. In realtà, la politica estera brasiliana è attualmente improntata sul pragmatismo, al di là di qualsiasi connotazione ideologica. Il Brasile sa che, per ottenere realmente un peso fondamentale a livello globale, non può appiattirsi sulle posizioni di Washington o Bruxelles ma, in quanto protagonista all’interno del gruppo delle potenze emergenti, deve farsi portavoce di una via autonoma e alternativa, senza per questo dover seguire dinamiche antisistema come il Venezuela. In questo modo Brasilia può davvero aumentare il proprio potere contrattuale e diventare una potenza determinante, una sorta di “trait d’union” tra le nazioni più sviluppate e quelle emergenti. Dietro agli abbracci e ai sorrisi riservati ad Ahmadinejad, dunque, si nascondono le ambizioni di una nazione di duecento milioni di abitanti che vuole contare non solo a livello economico, ma anche politico.
Davide Tentori 27 novembre 2009 [email protected]