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La nomination democratica tra New Hampshire e Iowa

Sembrava che Hillary Clinton avesse la strada spianata per la nomination democratica. Eppure i sondaggi danno l’ex first lady sempre più in difficoltà negli Stati in cui avranno inizio le primarie: Iowa e New Hampshire. Il suo incubo? Si chiama Bernie Sanders. È un socialista. E anche piuttosto arrabbiato. Ha giurato di farla pagare ai circoli di Wall Street, alle lobby e alla sperequazione finanziaria. Hillary, tradizionalmente centrista e amata dalla finanza che conta, sta provando da mesi a fermarlo, finora senza successo.

IL PARADOSSO DEL NEW HAMPSHIRE – Storicamente, il New Hampshire (noto anche come Granite State) tende a favorire i candidati più moderati, proprio in forza del suo sistema elettorale: quello delle primarie aperte, generalmente attrattive per quote elettorali trasversali e non eccessivamente schierate. Uno Stato che nel corso di quest’estate Hillary ha considerato come suo scontato feudo elettorale. E difatti, in occasione delle primarie democratiche del 2008, vi vinse proprio in forza del suo moderatismo con il 39,1% dei consensi (per quanto non in maniera schiacciante, visto che il liberal Barack Obama arrivò secondo al 36,5%).
Sennonché a partire da settembre le cose sono cambiate: Bernie Sanders (che non è propriamente un centrista) ha iniziato un testa a testa con l’ex segretario di Stato, superandola a più riprese. E oggi, difatti, i sondaggi gli attribuiscono in New Hampshire un consenso che sfiorerebbe il 49%, sopravanzando la rivale di ben sei punti percentuali. Il fatto che Hillary traballi proprio nel Granite State è un campanello d’allarme che evidenzia un pericolo rilevante: è possibile che la strategia sinistrorsa applicata sin ad oggi non solo non abbia convinto gli ambienti più radicali, ma abbia magari anche finito con l’alienarle le simpatie dei democratici moderati.

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Fig. 1 – Quale strategia seguire per scavalcare Sanders? Il dilemma di Hillary

LO SCACCO DELL’IOWA – E anche nell’Hawkeye State l’ex first lady non sembra passarsela benissimo. Bisogna ricordare che qui il sistema elettorale è quello del caucus: l’assemblea chiusa degli attivisti di partito, che tende quindi a favorire i candidati più radicali. E difatti nelle primarie del 2008, fu Obama a imporsi, lasciando Hillary addirittura al terzo posto, dietro John Edwards. Eppure, nonostante ciò, fino a due settimane fa, l’ex first lady conduceva in Iowa abbastanza saldamente. Poi, l’inizio dei guai: Sanders è riuscito ad ascendere in modo sempre più deciso. Tanto che oggi tallona Hillary con una forbice di circa il 4%.

I GUAI DI HILLARY – Ma più in generale, l’ex segretario di Stato è alle prese con diversi grattacapi che potrebbero rivelarsi fatali. Innanzitutto, la composizione del suo elettorato. Recenti sondaggi condotti in Iowa hanno mostrato che Hillary risulterebbe in testa nel voto femminile e in quello degli elettori anziani. Di contro Sanders andrebbe forte su altri due segmenti elettorali: i maschi (per quanto di poco rispetto alla rivale) e i giovani, quota in cui risulterebbe nettamente in vantaggio. Un fattore notevolissimo. Perché sarà anche vero che – come notano diversi analisti – il voto giovanile è incostante. Ma non dimentichiamoci che Obama vinse in Iowa proprio grazie alla mobilitazione massiccia di questa frangia elettorale.
Un altro problema le viene poi dal suo stesso partito. Non soltanto perché l’ala sinistra dell’asinello non ha mai amato l’ex first lady (generalmente considerata da molti alla stregua di una repubblicana mascherata). Ma anche perché molti non ne accettano lo strapotere interno e il fatto stesso che pretenda (proprio come nel 2008) di dover acquisire la nomination quasi per diritto ereditario. E difatti, per quanto il partito ostenti compattezza, la fronda è già in atto. La senatrice radicale, Elizabeth Warren (da sempre paladina anti-Wall Street e nemica giurata della Clinton), non fa mistero di apprezzare il vecchio Bernie. E lo stesso vicepresidente, Joe Biden, ha recentemente rifilato una stoccata a Hillary, affermando che il suo interesse per la riduzione dell’ineguaglianza costituirebbe una novità. E Clinton non l’ha presa bene, affermando di aver sempre avuto a cuore le problematiche di natura sociale.

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Fig. 2 – Non tutto sembra perduto per le chances di nomination di Bernie Sanders. Anzi…

POSSIBILI SCENARI– Come che sia, alla fine è ben difficile vincere la nomination per uno che, come Sanders, si definisce “socialista” (termine che in America equivale ancora più o meno a una parolaccia). E difatti il grande problema di Hillary non è tanto la vittoria quanto semmai come questa (quasi scontata) vittoria possa avvenire. Mentre lei avrebbe difatti bisogno di un trionfo netto in entrambi i primi Stati, per sancire la propria supremazia all’interno del partito, Sanders può benissimo accontentarsi o di vincere in uno dei due o magari anche soltanto di un buon piazzamento. Il punto è difatti che l’arzillo Bernie ha tutta l’intenzione di correre da indipendente: ragion per cui la sua strategia è primariamente quella di logorare l’ex first lady, portandola azzoppata alla corsa per la Casa Bianca, con una compagine spaccata alle spalle. Una general election in cui Hillary dovrebbe guardarsi a destra (dal candidato repubblicano) e a sinistra (da Sanders, che potrebbe seriamente precluderle l’appoggio dei bacini elettorali più radicali). È ancora presto per fare previsioni. Ma lo spettro del 2008 sembra tornare a farsi vivo. E questo Hillary lo sa. Anche perché, storicamente, i candidati dati vincenti nell’autunno precedente alle elezioni, finiscono poi con il naufragare (si pensi a Howard Dean nel 2004 o a Rudolph Giuliani nel 2008). E anche stavolta assistiamo al solito rischio: che chi entra in conclave papa, ne esca alla fine cardinale.

Stefano Graziosi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Il 1 febbraio si terrà il caucus dell’Iowa: il Partito Democratico mette in palio 52 delegati. Il 9 febbraio si terranno le primarie del New Hampshire: qui i delegati saranno 32 [/box]

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Stefano Graziosi
Stefano Graziosi

Nato a Roma nel 1990, mi sono laureato in Filosofia politica con una tesi sul pensiero di Leo Strauss. Collaboro con varie testate, occupandomi prevalentemente di politica americana. In particolare, studio le articolazioni ideologiche in seno al Partito Repubblicano statunitense.

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