Il gigante sudamericano sembra avere tutte le carte in regola per essere un grande protagonista del 2010 sulla scena economica globale. Ecco come il governo di Lula è riuscito a compiere un vero e proprio successo
SETTE ANNI DOPO – Non era la prima volta che ci provava Luiz Inácio da Silva, soprannominato “Lula”, a diventare presidente del Brasile. Nel 1989, infatti, era stato sconfitto dal rivale di centrodestra Fernando Collor de Mello e nel 1994 e 1998 dovette cedere il passo a Fernando Cardoso, il primo a gettare le basi per l’attuale sviluppo del Paese. Nel 2002, però, il quarto tentativo fu quello giusto: contro José Serra, candidato del Partito Socialdemocratico, la coalizione di Lula, guidata dal suo Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori), ebbe finalmente la meglio con il 62% dei voti. Il successo dell’ex operaio e sindacalista aveva allarmato un po’tutti, dentro e fuori il Brasile: innanzitutto per i dubbi in merito alla sua preparazione culturale (Lula possiede soltanto la licenza elementare e un diploma di istruzione tecnica), poi per i timori che l’orientamento di sinistra del nuovo Presidente provocasse una sterzata simile a quella avuta tre anni prima dal Venezuela, quando era salito al potere Hugo Chávez. Invece, non si verificò nulla di tutto questo e sette anni dopo il Brasile è l’ottava economia mondiale ed una potenza in continua crescita.
LE RAGIONI DEL “BOOM” – Come è stato possibile un simile successo? La soluzione risiede nel pragmatismo utilizzato dall’amministrazione Lula nei suoi due mandati. Ben lungi dal farsi tentare dalle “sirene” del populismo di sinistra che ha preso piede in America Latina a partire dall’avvento del regime chavista, il leader brasiliano ha adottato politiche macroeconomiche sagge ed equilibrate, senza rinnegare gli assunti del capitalismo, affiancando ad esse politiche sociali volte a redistribuire il reddito e a combattere la povertà di cui soffriva ancora una percentuale vastissima della popolazione. Lula non ha fatto altro che sfruttare nel modo giusto le enormi potenzialità di cui è donato il Brasile: dal punto di vista delle materie prime e dello sviluppo industriale, dove al rafforzamento di veri e propri protagonisti globali come Embraer (aeronautica), Petrobras (idrocarburi) e Vale (estrazione mineraria) è stato affiancato un sistema di piccole e medie imprese sull’esempio di quanto già sperimentato in Europa. Lo Stato ha usato la crescente disponibilità di risorse per varare due importanti progetti, Bolsa Familia e Fome Zero, che hanno consentito a più di dieci milioni di famiglie di migliorare le loro condizioni economiche e sociali, potendo accedere con più facilità ai servizi sanitari ed educativi. Per la prima volta, dunque, la “forbice” tra ricchi e poveri si è ristretta anziché allargarsi e, anche se si attesta su livelli ancora molto alti di disuguaglianza, l’indice di GINI è sceso dallo 0,637 del 2001 allo 0,594 del 2008.Lula ha consentito al Brasile di crescere con moderazione ma continuità, a tassi di aumento del PIL del 3-4% annuo: niente a che vedere con il 10% del Venezuela o l’8% dell’Argentina, ma mentre questi ultimi termineranno il 2009 in recessione per effetto della crisi globale, il primo registrerà ugualmente una crescita superiore al 2%. Il segreto? Non aver fondato il proprio modello di sviluppo solo sullo sfruttamento delle materie prime, esposte alla volatilità dei prezzi internazionali, ma anche e soprattutto sulla diversificazione delle attività produttive e sull’ampliamento della domanda interna attraverso l’aumento del reddito di decine di milioni di cittadini. Non va infatti trascurato che il Brasile ha risentito solo in maniera marginale della crisi globale potendo vantare un mercato interno enorme (190 milioni di abitanti e potenziali consumatori) e in continua espansione proprio per il reddito pro capite in costante e reale aumento, nel senso che la bassa inflazione consente ai cittadini brasiliani di vedere aumentare concretamente il proprio potere d’acquisto (mentre a Caracas prezzi un aumento annuo dei prezzi del 30% vanifica totalmente il saggio di crescita del PIL avuto in questi anni).
IL FUTURO – Sembra essere roseo per il Brasile, che dagli analisti viene riconosciuto pressoché all’unanimità come uno dei principali protagonisti del prossimo decennio sulla scena globale. Nel 2010 la macchina economica nazionale dovrebbe viaggiare col vento in poppa, in quanto la CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi, agenzia dell’ONU) prevede una crescita del PIL superiore al 5%. In più, l’assegnazione di mondiali di calcio (nel 2014) e di Olimpiadi (nel 2016) rappresenta un’occasione di sviluppo irripetibile in termini di infrastrutture e di creazione di nuovi posti di lavoro.Attenzione però ad alcune criticità in ambito economico e politico. Non va dimenticato che milioni di cittadini brasiliani vivono ancora in condizioni di povertà estrema, alla quale si collegano problemi di malessere sociale e di insicurezza dovuta alla forte criminalità. Inoltre, la persistenza di alti tassi di interesse (superiori da anni al 15%), che da una parte hanno potuto contenere l’inflazione attraverso politiche monetarie restrittive, potrebbero frenare gli investimenti necessari proprio per realizzare gli ambiziosi progetti di cui si è accennato sopra. Dal punto di vista politico, infine, il 2010 sarà un anno cruciale perché ad ottobre si svolgeranno le elezioni presidenziali. Secondo la Costituzione, Lula dovrà farsi da parte avendo esaurito i due mandati: in pole position c’è il redivivo José Serra, candidato dell’opposizione, che si vedrà con l’attuale ministro della Casa Civil Dilma Rousseff. Chiunque vincerà, non potrà uscire dal solco tracciato in questi dieci anni: un ritorno al liberismo estremo, così come una sterzata verso lo statalismo e il nazionalismo economico si rivelerebbero deleterie per un Paese che ha finalmente imboccato la strada giusta.
Davide Tentori 30 dicembre 2009 [email protected]