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Algeria: giochi di potere e crisi economica

Il tumultuoso caos generato dalle Primavere arabe nella sponda sud del Mediterraneo ha lambito l’Algeria, ma non ne ha intaccato la relativa stabilità. Almeno finora. Non pochi osservatori internazionali hanno infatti lanciato negli ultimi mesi grida d’allarme sul futuro prossimo dell’Algeria. Gli algerini potrebbero presto aprire la loro Primavera

PARALISI POLITICA E SOCIALE – Il Paese è notoriamente afflitto da uno dei più alti livelli di corruzione al mondo, da nepotismo, crisi economica, paralisi sociale, stallo legislativo. Se questo è il quadro viene da chiedersi perché l’Algeria finora non è esplosa. Due i fattori che hanno arginato il contagio dei Paesi vicini: le risorse energetiche e il trauma del “Decennio nero”.
Le prime, di cui il Paese è riccamente dotato (gas e petrolio rappresentano il 95% dell’export), hanno sussidiato la vita degli algerini e comprato la pace sociale, reso sconveniente il dissenso, comprato i nemici e accontentato gli amici. Paradossalmente il problema dell’Algeria, oggi, è proprio il petrolio, con le sue quotazioni in caduta libera che hanno ridotto di circa il 50%  i proventi della vendita di idrocarburi.

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Fig. 1 – Il Presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, protagonista assoluto della vita politica del suo Paese dalla fine degli anni Novanta

Nel 1991 il Fronte Islamico di Salvezza vinse le prime elezioni libere del Paese dopo l’indipendenza. Il colpo di Stato militare che ne è seguito (“necessario per evitare la deriva islamica del Paese”) ha causato oltre 200 mila morti, 15 mila “dispersi” e la decretazione dello Stato d’emergenza rimosso solo nel 2011.
In nome del pericolo jihadista l’Algeria si è trasformata in una democrazia autoritaria nelle mani del pouvoir. Un vero e proprio Stato nello Stato, il pouvoir è una rete oscura e impenetrabile di connivenze, connessioni, fedeltà claniche fra mondo militare e mondo politico, monopolizzata dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), che in nome della continuità storica e della narrazione pubblica ufficiale ha conservato invariato il suo nome dai tempi della guerra di indipendenza.

IL CASO TOUFIK – Nell’assoluta opacità delle manovre (serratissime) che, dietro le quinte, stanno preparando l’inevitabile successione a Abdelaziz Bouteflika (in carica dal 1999), si è consumato un altro coup de théatre nel più grande Paese del continente africano. A fine 2015 Bouteflika, per mano del potente fratello Siad, ha eseguito in grande rapidità un’operazione apertamente autoritaria.
Ha infatti chiuso definitivamente il DRS, il Dipartimento delle Informazioni e della Sicurezza (organismo semi indipendente dal potere politico e  braccio armato della repressione anti-islamista degli anni Novanta), e destituito quello che fino a quel momento era il suo direttore, il potentissimo Mohamed  Mediène, meglio noto come Toufik. Al posto del DRS, Bouteflika ha creato la DSS, la Direzione dei Servizi di Sicurezza, un misto di intelligence e potere militari al servizio esclusivo della Presidenza della Repubblica. E alla guida di tale nuova struttura ha messo il generale Athman Tartag, esperto di azioni contro i gruppi armati e precedente consigliere dello stesso Presidente per la sicurezza nazionale.

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Fig. 2 – I giornali algerini danno notizia della destituzione di Mohamed Mediène, direttore del Dipartimento delle Informazioni e della Sicurezza (DRS), decisa dal Presidente Bouteflika a fine 2015

Non c’è dubbio alcuno che la mossa di Bouteflika non possa essere classificata come una semplice operazione di make-up istituzionale, un fisiologico rinnovamento generazionale alla guida di organismi chiave per la sicurezza e la stabilità del Paese. È  stata, più autenticamente, un mini colpo di Stato, una mossa che cambia gli equilibri di potere e del pouvoir all’interno del Paese.
Secondo alcuni osservatori (anche algerini) l’allontanamento di Toufik sarebbe la fine della funzione politica del DRS; la sua rimozione sposterebbe l’asse della bilancia a favore del potere politico ridimensionando il peso dei militari, che secondo l’establishment presidenziale non avrebbero mai smesso di governare.

MILITARI RIDIMENSIONATI? – In Algeria, diversamente che in Egitto, il potere militare non ha mai governato ufficialmente, è sempre stato il braccio operativo della politica, salvo sostituirla all’occorrenza (e in sua assenza) come nel 1992, quando i militari hanno preso il potere per sottrarlo al Fronte Islamico di Salvezza, vincitore delle elezioni.
Toufik è stato uno dei personaggi di primo piano di questa operazione, l’eminenza grigia dell’Algeria per 25 anni, la mente della strategia della tensione che ha prima insanguinato, poi “narcotizzato” il Paese per oltre un decennio. Un personaggio di notevolissimo peso la cui rimozione non può conseguentemente essere considerata di minore importanza. La sua caduta, inoltre, ha trascinato con sé quella dei ministri di Difesa, Interni, Giustizia e Affari Esteri ritenuto troppo vicini all’ex capo dell’ intelligence.

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Fig. 3 – Soldati algerini sfilano a Parigi durante le annuali celebrazioni per la presa della Bastiglia, luglio 2014

Bouteflika dal canto suo ha rivendicato orgogliosamente l’importanza della sua manovra sostenendo di aver finalmente ridotto l’influenza dei militari nella vita politica del Paese. In definitiva, avrebbe posto fine alle rivalità e alle lotte intestine per il potere compiendo un grande passo verso la normalizzazione della società algerina.
Secondo gli osservatori  più “maliziosi” Bouteflika avrebbe fatto la “guerra ai generali” per semplice spirito di vendetta. Si sarebbe vendicato di Toufik, presunto responsabile della fuga di notizie alla base dello scandalo tangenti per 200 milioni di euro pagate dall’italiana ENI ad intermediari algerini (e attraverso loro a Said Bouteflika, fratello del Presidente) in cambio di appalti da 11 miliardi di euro. Lo scandalo, esploso a poche settimane dalle presidenziali del 2014, è stato visto come una spallata di Toufik a Bouteflika.
Stante l’opacità del sistema politica algerino non è dato sapere né capire realmente la vera finalità dell’operazione di Bouteflika sui servizi segreti. Che si tratti di una mossa volta a garantire una successione al potere in continuità, cioè una nuova leadership comunque ancorata al pouvoir, o di una onesta, seppur modesta, apertura alla società civile (magari nel tentativo di contenerne le istanze) è presto per dirlo.
Smantellando il DRS Bouteflika ha eliminato gli uomini che lo hanno messo e mantenuto al potere. Appare tuttavia poco immaginabile uno scenario in cui il potere militare (sebbene l’ultima riforma costituzionale ne limiti le funzioni alla sola difesa nazionale e integrità territoriale) cessi di essere quello che è sempre stato nella storia dell’Algeria post-coloniale, ovvero la struttura portante del potere politico. Il potente apparato militare algerino è fondamentale per la sicurezza del Paese; i servizi dell’intelligence si sono rivelati moto abili nel combattere il terrorismo di matrice islamista, e nell’impedire la diffusione della filiale maghrebina di Al-Qaeda (AQMI). È questo fa dell’Algeria un partner molto importante dell’Occidente nella lotta al terrorismo integralista.

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Fig. 4 – Operatori sanitari protestano ad Algeri per il congelamento dei loro salari, giugno 2015. La situazione economica dell’Algeria è sempre più difficile

UN FUTURO INCERTO – La situazione in Algeria è molto instabile. Il Paese è entrato in una difficilissima situazione economica. Nell’imminente futuro il Governo sarà molto probabilmente costretto a tagliare molti dei sussidi in vigore. Con la conseguenza che sarà sempre più difficile tenere lontane le istanze sociali dalla vita politica.
Estremismo jihadista lungo i confini e disoccupazione giovanile al 30% (con punte del 75% per quasi 40 milioni di algerini sotto i 35 anni) sono una miscela molto esplosiva. Anche per un Paese refrattario a ogni sommovimento suscettibile di mettere in crisi una “normalità” faticosamente costruita dopo le tragedie della Dirty War.
La successione di Toufik e quella imminente di Bouteflika segnano comunque la fine di un regno, il tramonto della gerontocrazia militare che ha forgiato l’identità nazionale dopo la guerra d’indipendenza. I successori sapranno “proteggere” gli algerini dalle buriane regionali?

Mariangela Matonte

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Formalmente l’Algeria è una democrazia multipartitica. In realtà  l’attività legislativa è ridotta al minimo perché l’assemblea parlamentare, bicamerale, è paralizzata dalla maggioranza tra Fronte di Liberazione Nazionale e Raggruppamento Nazionale Democratico.

Il fronte dell’opposizione politica è alquanto debole e frammentato al suo interno. Recentemente, sotto la guida dell’ex Premier Ali Benflis, si è formato il Coordinamento Nazionale per le Libertà e la Transizione Democratica, rappresentativo sia di forze laiche (il Rassemblement pour la Culture et la Démocratie) che islamiste (Mouvement Social pour la Paix e il Front pour la Justice e le Développement), che ha tentato invano di boicottare le elezioni presidenziali del 2014.  [/box]

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Mariangela Matonte
Mariangela Matonte

Laurea in scienze politiche internazionali, scuola diplomatica MAE, analista politico, appassionata da sempre di relazioni internazionali e di politica. Molti viaggi, tante esperienze lavorative. Il tutto sempre con vocazione internazionale. Relazioni transatlantiche, Mediterraneo e Medio Oriente principali focus di interesse.

Curatrice del blog Geomovies, che si occupa del rapporto tra cinema e politica internazionale.

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