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La Cina nella finanza globale

Comprendere la CinaCon questo articolo si apre una serie di interventi finalizzati ad analizzare il nuovo ruolo della Cina nella finanza globale. Cominciamo parlando del ruolo dello yuan/renminbi, moneta sempre più importante nelle transazioni globali.

LO YUAN/RENMINBI, NUOVA MONETA INTERNAZIONALE? – Nel 2016 il dollaro statunitense rimane la moneta di riserva dominante a livello mondiale, alla guida della finanza globale; tuttavia, con l’introduzione dell’Euro a partire dal 2001 e, più recentemente, l’ascesa dello yuan cinese al rango di moneta di riserva internazionale, il dollaro ha cominciato a perdere quote di mercato. Alcuni esperti hanno pronosticato che in tempi non troppo lunghi lo yuan rimpiazzerà il dollaro come principale moneta di riserva mondiale. E’ allora lecito chiedersi quali condizioni debbano realizzarsi perché ciò avvenga e che impatto potrebbe avere sulla configurazione del potere politico ed economico. Prima di provare a rispondere a queste domande, spieghiamo brevemente cosa è successo, in modo da poter prevedere con maggiore accuratezza i possibili sviluppi.

LE RAGIONI CINESI PER INTERNAZIONALIZZARE LO YUAN – A seguito della crisi europea, pochi anni dopo la crisi finanziaria statunitense del 2008, l’Euro ha cominciato a perdere la sua iniziale forza attrattiva. In una situazione caratterizzata da crescita stagnante e salvataggi pubblici, l’opinione pubblica ha cominciato a considerare seriamente la possibilità del disfacimento dell’Euro. I cinesi, possessori di grandi quantità di debito denominato in dollari ed euro, sono divenuti sempre più preoccupati di possedere valute potenzialmente fragili, soprattutto a causa della natura delle politiche a supporto dell’Euro, nonché dell’incompetenza percepita e i conflitti di interessi che pervadono le politiche monetarie degli Stati Uniti. Con più di 3 trilioni di riserve, la Cina soffrirebbe un’enorme perdita finanziaria se l’Euro si dissolvesse e/o se la Federal Reserve decidesse di dichiarare il fallimento su tutti i suoi debiti pendenti. Negli anni della crisi entrambi gli scenari sembravano spaventosamente reali. In risposta a ciò e per salvaguardarsi, i politici cinesi hanno deciso di fare un ulteriore sforzo per aumentare l’uso dello yuan tra i maggiori partner commerciali al livello internazionale. In termini logici, questi sforzi erano più che ragionevoli. In primo luogo la Cina è la prima potenza commerciale al mondo, ma poiché non aveva, almeno fino a poco tempo fa, una moneta di riserva, era costretta a condurre il suo commercio usando il dollaro statunitense o l’Euro, anche se gli Stati Uniti o un membro dell’Euro non erano parte dello scambio. Tale situazione creava costi elevati. Per esempio: quando la Cina comprava petrolio dalla Russia e vendeva manufatti, le transazioni erano prezzate in dollari statunitensi. Sia la Cina che la Russia dovevano pagare commissioni per la transazione in valuta estera al fine di convertire yuan in dollari e poi in rubli e viceversa. Poiché la Cina pagava queste commissioni a soggetti terzi, tali commissioni crescevano in maniera consistente. Sarebbe stato molto più sensato se la Cina avesse potuto convincere i suoi partner commerciali ad usare lo yuan cinese, cosa che sta puntualmente avvenendo, per ridurre i costi delle transazioni internazionali per tutte le parti coinvolte.

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Fig. 1 – Il renminbi sta accrescendo la sua presenza nelle transazioni internazionali

In secondo luogo, la Cina avrebbe dovuto lasciare fluttuare lo yuan liberamente per evitare di essere etichettata “manipolatore di moneta”, scongiurando però la possibilità da parte degli speculatori occidentali di danneggiare l’economia cinese. Per far ciò era necessario acquisire lo status di moneta di riserva. Se fino a oggi è stato estremamente oneroso per la Cina sostenere commissioni continue per operare scambi commerciali, la situazione sarebbe stata peggiore se avesse subito la volatilità dei cambi. Siccome i prezzi di cambio fluttuano costantemente, ed ancor di più da quando gli Stati Uniti hanno posto termine alla convertibilità del dollaro in oro nel 1971, le parti che conducono commerci transfrontalieri devono spesso pagare grandi istituzioni finanziarie per comprare contratti finanziari in grado di garantire un certo prezzo nelle transazioni in valuta straniera. Grandi e redditizie multinazionali possono permettersi di pagare questi contratti per assicurarsi la stabilità dei prezzi, ma la maggior parte delle piccole e medie imprese non possono, specialmente su base continuativa. Poiché la Cina era ed è tuttora un Paese in via di sviluppo, la maggior parte delle sue imprese non ha i mezzi finanziari per comprare tali contratti dalle banche di investimento occidentali. Per questo motivo i politici cinesi hanno deciso di eliminare questo costo aggiuntivo tenendosi ancorati al dollaro USA, cosa che avrebbe consentito a più imprese di condurre transazioni transfrontaliere. La loro politica, come era prevedibile, ha portato ad una veloce e netta crescita economica della Cina in quanto i suoi imprenditori sono stati messi nelle condizioni di fare affari col resto del mondo in condizioni di cambio più stabili. La crescita cinese ha rispecchiato la crescita di Germania e Giappone subito dopo la Seconda Guerra Mondiale quando fu costituito il sistema di Bretton Woods e fu stipulato che tutte le monete straniere fossero agganciate al dollaro e il dollaro fosse agganciato a un prezzo stabilito in oro. Come conseguenza della crescita economica della Cina, molti altri mercati emergenti ne hanno beneficiato.

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Fig. 2 – L’internazionalizzazione del renminbi è funzionale allo sviluppo economico interno

RENMINBI E DOLLARO – La decisione della Cina di agganciarsi al dollaro è permessa dalle regole dell’IMF, ed è semplicemente collegata al modello che fu creato a Bretton Woods per evitare le condizioni economiche che portarono alla Seconda Guerra Mondiale. Ma nonostante la sua legalità e il suo sostegno dato alle piccole e medie imprese di qualsiasi paese coinvolto nel commercio con la Cina, i politici occidentali ancora biasimano la Cina per il fatto di tenere il cambio artificialmente basso per esportare di più a spese dell’export statunitense. Tale argomentazione è imprecisa su più livelli. Innanzitutto i salari medi della Cina sono cresciuti costantemente ogni anno, il che ha avuto lo stesso effetto di un apprezzamento della moneta, giacché il costo generalizzato degli input è cresciuto. Per di più molti altri fattori, come tasse, regolamenti, efficienza produttiva e corruzione, influenzano il commercio. Per di più, ciò che rende debole la retorica politica occidentale è dimostrato dall’esperienza del Giappone. Sotto la cosiddetta “Abenomics” (la politica economica di Shinzo Abe), il Giappone ha svalutato la sua moneta di più del 60% contro i suoi partner commerciali. Tuttavia, a seguito di questa importante svalutazione, il Giappone non ha accresciuto affatto il suo export, a riprova che avere un cambio artificialmente basso non si traduce necessariamente in un maggior export.
Ovviamente, se la Cina lasciasse la sua moneta fluttuare liberamente sul mercato monetario, questo comporterebbe molta più incertezza per tutti i suoi partner commerciali, inclusi gli Stati Uniti. Questo avrebbe un effetto spaventoso sul commercio. Raggiungendo lo status di riserva internazionale per la propria moneta, la Cina potrà compensare e limitare questa incertezza consentendo alla sua banca centrale di fare interventi monetari come quelli fatti dalla Federal Reserve senza subire le ripercussioni che normalmente si hanno nelle nazioni impegnate in tali manipolazioni.

Ann Lee (traduzione di Fabio Massimo Parenti)

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Un chicco in più

La Professoressa Ann Lee insegna Economia e Finanza alla New York University è una esperta riconosciuta a livello mondiale sulle relazioni economiche  internazionali della Cina. L’analisi è frutto della lunga esperienza dell’autrice nel mondo degli affari finanziari e dell’insegnamento universitario. Parte delle informazioni menzionate provengono da conversazioni avute con vari rappresentanti del mondo della finanza e della politica sia occidentale che cinese. Una lista di fonti a supporto delle argomentazioni fornite sarà pubblicata più avanti.

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Fabio Massimo Parenti
Fabio Massimo Parenti

Ho avuto la fortuna di nascere a Roma, dove vivo da quasi 40 anni. Nel corso del tempo l’amore per la mia città si è esteso ad altri luoghi e paesi, come il Vietnam e la Cina. L’impegno e la passione costante per lo studio – insieme al fondamentale sostegno della mia compagna Ferdinanda e, più recentemente, dei nostri meravigliosi figli, Priscilla e Diego – mi hanno sempre accompagnato nel percorso scientifico-professionale. Oggi Professore associato in Geografia, sono laureato in Geografia all’Università la “Sapienza”, ho acquisito i titoli di Dottore di ricerca in Geopolitica e Geoeconomia all’Università di Trieste, di cultore della materia in Geografia Politica all’Università del Molise e di Affiliate Lecturer al Marist College di New York.

Attualmente insegno The Global Political Economy, Globalization, Global Financial Markets, China’s Development e War and Media presso l’Italian International Institute “Lorenzo de ‘Medici” e tengo lezioni e seminari presso varie sedi accademiche e istituzionali. Infine, borse di studio post-laurea e progetti di ricerca nazionali hanno arricchito le mie esperienze di ricerca su tematiche di geografia economico-politica e geopolitica.

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