Le recenti dichiarazioni rilasciate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) pongono le basi per future rivoluzioni del panorama monetario mondiale. Dopo un lungo periodo di trattative, la valuta cinese è entrata di diritto a far parte del paniere di monete impiegate per la definizione del valore dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Si tratta della prima modifica nella composizione di tale paniere da oltre 15 anni. Un evento che apre la strada a scenari inediti e dall’esito incerto.
NASCITA DEI DSP – A seguito del comunicato rilasciato lo scorso 30 novembre dal Comitato esecutivo del FMI, si è stabilito che verrà ufficialmente modificata la composizione del paniere di monete in base al quale è fissato il valore dei DSP. Dal 1 ottobre 2016, infatti, il renminbi andrà ad aggiungersi a quelle che sono considerate, a oggi, valute liberamente utilizzabili: dollaro statunitense, euro, yen giapponese e sterlina britannica. Anche se fu il 1999 l’anno in cui venne attuata la prima modifica del paniere per mezzo della sostituzione di marco tedesco e franco francese a seguito dell’introduzione dell’euro, la creazione dei DSP come strumento di riserva internazionale risale agli accordi della Giamaica del 28 luglio 1969. I DSP vennero ideati con il fine ultimo di agire, oltre che da unità di conto, come strumenti di riserva complementare rispetto alle riserve ufficiali già detenute dai Paesi membri del FMI. In un sistema fondato su tassi di cambio fissi tra le valute, come quello ideato a Bretton Woods nel 1944, in cui tutte le monete erano agganciate al dollaro e la valuta americana garantiva piena convertibilità aurea, divenne presto evidente come, visto il notevole sviluppo dei flussi di natura commerciale e finanziaria, la limitata disponibilità di questi due unici strumenti di riserva (dollaro e oro) non permetteva di mantenere stabile il sistema monetario così ideato. Per sopperire a questa mancanza vennero ideati i DSP, il cui impiego fu tuttavia limitato, in quanto il sistema a tassi di cambio fissi venne destituito nel 1973 a favore dell’introduzione di un sistema monetario a tassi di cambio variabili.
Fig. 1 – Christine Lagarde, Managing Director del FMI, con Xi Jinping
FONDAMENTA DI UNA RIVOLUZIONE – I DSP non sono una moneta. Rappresentano piuttosto un titolo che è possibile scambiare contro una o più valute liberamente utilizzabili, e vengono allocati dal FMI ai Paesi membri in base alla quota di partecipazione sottoscritta dagli stessi al Fondo (articoli XV, sezione 1, e XVIII presenti nel trattato istitutivo). I DSP possono essere impiegati per l’ottenimento di valuta liberamente utilizzabile, ossia liquidità , in due modi:
- Tramite un accordo bilaterale, contattando la Banca centrale di un Paese membro e scambiando DSP contro riserve ufficiali detenute dalla stessa (swap agreement);
- Oppure tramite la designazione, da parte del FMI, di un Paese membro con forte posizione esterna che, intervenendo, si fa carico dello scambio di valuta contro DSP offerti dal Paese con posizione esterna debole.
In entrambi i casi, il Paese cedente DSP in cambio di liquiditĂ dovrĂ corrispondere un interesse sull’operazione, a beneficio del Paese offerente valuta liberamente utilizzabile. Nonostante l’impiego dei DSP sia stato limitato nel corso della loro breve esistenza, questo strumento ha dimostrato, recentemente, una certa utilitĂ . Nel 2009, a seguito dello scoppio della crisi economico-finanziaria, i DSP vennero impiegati – per un valore di 182.6 miliardi – al fine di fornire liquiditĂ ai Paesi membri del FMI in un momento di grande difficoltĂ per l’economia globale. Un ammontare comunque esiguo se rapportato alle riserve monetarie mondiali. Tuttavia questa scintilla bastò per riaccendere la fiamma del dibattito internazionale. Nel pieno della crisi economico-finanziaria, l’allora governatore della People’s Bank of China (PBOC) dichiarò, in data 23 marzo 2009, attraverso un comunicato ufficiale, che «l’incremento di frequenza e intensitĂ delle crisi finanziarie seguite al collasso del sistema di Bretton Woods» suggeriva che «i costi di un sistema a tassi di cambio variabili sembra[va]no aver superato i benefici» portati dallo stesso a favore del mondo intero. Zhou Xiaochuan auspicava apertamente, quindi, una «riforma del sistema monetario internazionale» proponendo la costituzione di una «valuta di riserva [sovranazionale] che fosse in grado di rimanere maggiormente stabile nel lungo periodo, rimuovendo così i problemi derivanti dall’utilizzo di monete nazionali». Da allora il Governo cinese ha iniziato ad esercitare pressione politica sulle istituzioni internazionali affinchĂ© il renminbi, oggi moneta della seconda economia mondiale, venisse accettato all’interno del paniere sulla base del quale si definisce il valore dei DSP.
Fig. 2 – Il renmimbi è una moneta sempre piĂą internazionale
DUE CONDIZIONI – Il processo di internazionalizzazione della moneta, intrapreso dalle autorità nel 2009, va quindi letto anche in quest’ottica. Perché una valuta possa essere inclusa nel paniere dei DSP, secondo quanto stabilito dal FMI, devono essere rispettate due condizioni:
- Il Paese emittente moneta deve possedere grande capacità di esportazione;
- la moneta di riferimento deve essere liberamente utilizzabile.
Mentre il primo punto è stato ormai ampiamente raggiunto grazie agli enormi surplus di parte corrente fatti registrare dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel corso del recente passato, si dovranno attendere ulteriori processi di riforma del sistema finanziario cinese perché la seconda condizione possa considerarsi pienamente veificata. Di certo, oggi, il renminbi non appartiene al club delle altre quattro valute facenti parte dei DSP. La piena convertibilità della moneta cinese, così come il suo impiego per transazioni finanziarie a livello internazionale, sono infatti ancora frenate da quella che è solo una limitata apertura del conto capitale. Il mercato finanziario della RPC si configura come ancora ampiamente sottosviluppato se confrontato a quello delle altre maggiori economie le cui monete sono comprese nei DSP.
Le recenti dichiarazioni di Christine Lagarde testimoniano, infatti, come l’inclusione del renminbi nei DSP sia stata posta in essere come un «riconoscimento degli sforzi operati dall’élite politica cinese nel processo di riforma che ha coinvolto il sistema monetario e finanziario della RPC nel corso degli ultimi anni». In aggiunta a ciò, il direttore operativo del FMI ha comunicato di aspettarsi «un ampliamento di tale processo in modo tale da garantire maggior stabilità al sistema monetario e finanziario mondiale». Il tutto dovrebbe tramutarsi in «crescita e stabilità tanto per la Cina quanto per l’economia globale».
Fig. 3 – Zhou Xiaochuan, governatore della People’s Bank of China
LA CORSA PROSEGUE – L’inclusione del renminbi nel paniere dei DSP si deve soprattutto alla capacità dell’élite politica cinese di operare pressioni sulla comunità internazionale attraverso il sapiente utilizzo degli strumenti economici a sua disposizione. Il deprezzamento del renminbi operato nei mesi scorsi da parte della PBOC nei confronti del dollaro americano è stato accolto con cauto ottimismo dal FMI. Il fine ultimo di questa operazione è stato identificato dallo stesso fondo non tanto nel dare nuovo slancio alle esportazioni attraverso una svalutazione competitiva, quanto piuttosto nella volontà del politburo di garantire alle forze di mercato la possibilità di giocare, almeno nel prossimo futuro, un ruolo sempre più considerevole nella definizione del tasso di cambio del renminbi. La valuta cinese sembra dunque ormai destinata a percorrere una strada ricca di riforme che vanno dall’emissione di titoli obbligazionari denominati in valuta cinese sul mercato di Londra, alla creazione di piattaforme preposte allo scambio del renminbi in numerosi centri finanziari europei.
CONCLUSIONI – Nonostante nel 2014 il renminbi si classificasse settimo per ammontare di riserve ufficiali detenute dagli istituti bancari centrali, ottavo per quanto concerne l’emissione di obbligazioni destinate al mercato internazionale e undicesimo nel commercio di valuta a livello globale, a partire dal prossimo ottobre diverrà una delle cinque monete in grado di definire il valore dei DSP. Il peso occupato dalle valute all’interno del paniere sarà il seguente: 41.73% dollaro americano, 30.93% euro, 10.92% renminbi cinese, 8.33% yen giapponese e 8.09% sterlina britannica. Se da un lato questa operazione dovrebbe aumentare la capacità attrattiva dei DSP come strumento di riserva, ora certamente più rappresentativi dell’andamento dell’economia mondiale, dall’altro potrebbe aprire scenari inediti a livello politico. Lungi dall’essere una valuta pienamente internazionalizzata, il renminbi entrerà comunque a far parte dei DSP. Sulla scorta dell’azione cinese, questa riforma potrebbe portare altre grandi economie mondiali ad agire tramite pressione politica nei confronti del FMI al fine di garantire alla propria moneta lo stesso status raggiunto dal renminbi, aggiungendo tensione ad un già complicato scenario internazionale.
Andrea Braga
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
Polvere e Storia – Seppur con declinazioni proprie della nostra epoca, la storia sembra ripetersi. Similmente a quanto fece seguito al crollo di Bretton Woods, il sacco di Costantinopoli del 1204 portò alla progressiva caduta del sistema monetario romano, aprendo così la strada a sei secoli di tassi di cambio variabili. Nel corso dei seicento anni che precedettero l’ascesa della sterlina britannica prima e del dollaro americano poi, vi furono numerose alternanze di monete dominanti. Il fiorino di Firenze, il ducato d’oro di Venezia, il real spagnolo e il fiorino olandese si contesero a lungo lo scettro di “dollars of the Middle Ages”. Oggi, in un mondo sempre più multipolare, aumenta la necessità di poter disporre di valuta dal valore stabile e maggiormente rappresentativo dell’andamento dell’economia mondiale. Il dibattito sui DSP è acceso. Tuttavia, perché questi possano essere considerati una vera moneta, sarà necessario un lungo processo di riforma che possa definire la nascita di un vero e proprio mercato privato dei DSP, portandoli a svolgere le funzioni di mezzo di pagamento comunemente accettato ed unità di conto oltre che di strumento di riserva.
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Foto: Alex Segre