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Ciad, le battute finali del processo contro Habré

Lo scorso febbraio le parti in causa nel processo contro Hissène Habré, ex Presidente ciadiano, hanno presentato i loro argomenti di chiusura di fronte alle Camere Straordinarie, il tribunale ad hoc istituito dall’Unione Africana per giudicare i reati commessi in Ciad dal 1982 al 1990. Habré è accusato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e torture ai danni della popolazione civile e degli avversari politici

VERSO IL PROCESSO – Il processo contro l’ex dittatore ciadiano Hissène Habré rappresenta un evento fondamentale nella storia del continente: è la prima volta che l’Unione Africana istituisce un tribunale ad hoc per giudicare i crimini di un capo di Stato africano ed è la prima volta, in Africa, che i tribunali di un Paese giudicano i crimini commessi in un altro Paese. Habré, infatti, era fuggito in Senegal nel 1990 all’indomani del golpe organizzato dal suo ex assistente militare, nonché attuale Presidente del Ciad, Idriss Déby. Qui era stato posto agli arresti domiciliari dal 2005 al 2013: fino al 2012 il Senegal si era sempre rifiutato di giudicare Habré nonostante le insistenze e le condanne della Corte internazionale di giustizia. Con l’elezione alla presidenza di Macky Sall, il Governo di Dakar ha introdotto nel proprio ordinamento il principio di giurisdizione universale e avviato la collaborazione con l’Unione Africana per l’istituzione delle Camere Straordinarie, inaugurate nel febbraio 2013 con lo scopo di perseguire la persona o le persone responsabili di crimini internazionali commessi in Ciad tra il 1982 e il 1990. Il processo ha esaminato vari momenti della storia ciadiana sotto Habré: gli attacchi contro i gruppi etnici hadjerai e zaghawa, l’arresto degli oppositori e il trattamento dei prigionieri di guerra. Habré ha rifiutato fin da subito di riconoscere l’autorità del tribunale: dopo che i suoi avvocati non si sono presentati all’apertura del processo nel luglio scorso, il giudice ha nominato tre avvocati senegalesi per difenderlo e rinviato il processo di 45 giorni per permettere ai nuovi difensori di familiarizzare con il caso. Il processo è poi ripreso il 7 settembre: Habré è stato condotto di fronte alle Camere con la forza e nelle sessioni successive è stato portato in aula prima che le porte venissero aperte al pubblico. È sempre rimasto in silenzio, come suo diritto, anche quando il Pubblico ministero ha cercato di interrogarlo, ma ha definito il tribunale uno strumento «imperialista». I suoi avvocati non hanno contestato apertamente l’accusa di attività criminale, ma hanno cercato di dimostrare che Habré non fosse coinvolto in prima persona nei fatti contestati, nonostante decine di testimoni abbiano sostenuto di aver incontrato lo stesso Habré in prigione o di essere stati mandati in carcere personalmente da lui. Gli avvocati d’ufficio hanno messo in discussione la credibilità di un certo numero di testimoni: sono arrivati a definire «ninfomani prostitute» alcune donne che avevano raccontato di essere state violentate dall’ex Presidente ciadiano.

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Fig. 1 – Il processo era stato inaugurato nel luglio scorso: a causa degli insulti che Habré ha riservato alla Corte e all’assenza dei suoi avvocati, è stato rimandato di 45 giorni

OLTRE DIECIMILA VITTIME DI ABUSI − Negli anni del suo regime, dal 1982 al 1990, Habré aveva creato la Direzione di documentazione e di sicurezza (DDS), un corpo di polizia politica che si macchiò di feroci crimini. L’organizzazione internazionale Human Rights Watch ha recuperato nel 2001, negli uffici abbandonati del DDS, ciò che restava dei documenti della polizia politica: elenchi dei prigionieri e certificati di morte, rapporti degli interrogatori e carte d’identità. Il materiale riguarderebbe 12.321 vittime di abusi, con 1.208 prigionieri morti. C’erano anche copie di 1.265 comunicazioni dirette a Habré sullo stato di 898 detenuti: ciò proverebbe che Habré era a conoscenza dei crimini commessi nelle carceri della capitale e delle province.

LA VOCE DELLE VITTIME – Durante il mese di dicembre sono state ascoltate le ultime deposizioni, che hanno chiuso la prima fase del processo davanti alla Corte (dal 7 settembre al 15 dicembre 2015). In totale, le udienze sono state 55, mentre tra testimoni e vittime sono state ascoltate 98 persone. I sopravvissuti hanno raccontato dei diversi strumenti di tortura usati dai soldati di Habré, come la baguette (due pezzi di legno posti sopra le tempie del prigioniero e stretti gradualmente) o l’arbatachar, che consiste nel legare tutti e quattro gli arti di un prigioniero dietro la schiena per interrompere il flusso sanguigno e indurre rapidamente la paralisi.
Quattro donne mandate in un campo militare nel deserto del Ciad settentrionale, nel 1988, hanno testimoniato di essere state usate come schiave sessuali dai soldati dell’esercito e riportato di ripetuti stupri da parte dei militari. Due di queste donne avevano meno di 15 anni all’epoca. Altre hanno raccontato di essere state torturate e sottoposte a scosse elettriche al momento dell’arresto. Molti degli interpellati hanno dichiarato che lo stupro delle donne detenute fosse una pratica frequente nel carcere di N’Djamena, la capitale del Ciad. I sopravvissuti hanno raccontato che sui muri del carcere della capitale c’era un quadro con raffigurate tre scimmie: una con le mani sugli occhi, una con le mani sulla bocca e un’altra con le mani sulle orecchie. I detenuti venivano costretti a giurare di fronte al quadro e sul Corano che non avrebbero fatto parola con nessuno di ciò che accadeva all’interno della prigione. La DDS ha anche svolto un ruolo importante negli episodi di pulizia etnica contro hadjerai e zaghawa, nel Sud del Ciad. I testimoni hanno spiegato che il metodo usato fosse sempre lo stesso: prima il regime prendeva di mira i leader delle diverse comunità e poi l’intera popolazione, compiendo dei veri e propri massacri.

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Fig. 2 – Mostra a Dakar sugli anni di Habré. Una delle immagini sul pannello mostra la tortura dell’arbatachar

LA DIFESA DI HABRÉ – I difensori di Habré hanno attaccato il tribunale definendolo uno strumento politico nato con un accordo tra Idriss Déby, attuale Presidente del Ciad, le potenze straniere e le ONG internazionali. Il Governo del Ciad ha contribuito per il 35% al bilancio della Corte e ha autorizzato le indagini in loco, ma si è rifiutato di consegnare cinque imputati incriminati dalla Corte (ex alti funzionari del regime di Habré), impedendo a diversi testimoni di recarsi a Dakar. Lo stesso Presidente ciadiano Déby, che era a capo dell’esercito di Habré negli anni del suo regime, è stato lasciato indisturbato, così come nulla sarebbe stato detto sul ruolo della Francia e degli Stati Uniti, che avrebbero sostenuto il regime di Habré per arginare il potere della Libia di Gheddafi. Human Rights Watch ha presentato uno studio sulla base dei documenti della DDS, concludendo che il tasso di mortalità nelle carceri di Habré fosse centinaia di volte superiore a quello degli uomini adulti in Ciad durante lo stesso periodo – dati addirittura più elevati rispetto ad alcuni dei peggiori contesti del XX secolo, come i campi sovietici per i prigionieri di guerra tedeschi o quelli giapponesi per i militari statunitensi.

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Fig. 3 – Habré si è rifiutato di riconoscere l’autorità delle Camere Straordinarie: le ha definite uno strumento politico e non ha risposto a nessuna delle domande che gli sono state poste durante il processo

LA VITTORIA DELLE VITTIME – L’accusa ha chiesto l’ergastolo per l’ex dittatore africano, ma il verdetto finale non sarà reso noto prima del prossimo maggio: entrambe le parti avranno 15 giorni di tempo per presentare ricorso, quindi si aprirà una seconda fase di audizione per i danni civili. Il processo è sicuramente una vittoria per le vittime, come ha testimoniato anche Reed Brody, consulente legale di Human Rights Watch che ha sostenuto e lavorato con i sopravvissuti fin dal 1999: «Il processo Hissène Habré – ha dichiarato Brody – è stato il risultato di 25 anni di determinazione implacabile delle vittime ed è una pietra miliare nella lotta per ottenere giustizia contro i peggiori crimini che vengono commessi ai danni della popolazione civile». Inoltre, l’atto d’accusa contro Habré non comprende i danni per stupro, schiavitù sessuale e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità, pertanto gli avvocati delle vittime hanno chiesto che si aggiungessero anche queste accuse ai capi di imputazione, ponendo l’accendo su crimini molto comuni ai danni delle donne, ma spesso trascurati nei processi.

Irene Dell’Omo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Due link ad opera dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch per approfondire il caso Habré, uno dedicato al ruolo delle Camere Straordinarie Africane e uno alle testimonianze delle vittime dell’ex dittatore. [/box]

 

Foto: FIDH – International Federation for Human Rights

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Irene Dell'Omo
Irene Dell'Omo

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo Cooperazione internazionale, con una tesi sulla cooperazione tra Unione europea e Paesi del Maghreb per le risorse energetiche rinnovabili. Vivo a Roma, dove lavoro in un’organizzazione umanitaria nell’area marketing e comunicazione. Le mie passioni: scoprire posti e cose nuove, viaggiare, leggere (soprattutto romanzi a sfondo storico e di attualità) e scrivere.

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