Miscela Strategica – Mentre il dialogo tra Kabul e i Taliban è in una fase di stallo, la Cina continua ad essere uno dei principali attori coinvolti nello sforzo di riavvicinare le parti
SICUREZZA E INTERESSI ECONOMICI TRA AF-PAK E XINJIANG – Delle varie aree con cui la Cina confina, importanza cruciale spetta da sempre – e negli ultimi anni sempre di piĂą – all’area AfPak. Questa regione a cavallo tra Afghanistan e Pakistan che condivide i propri confini con la provincia cinese dello Xinjiang ha visto accrescere sempre di piĂą la propria importanza nei calcoli strategici di Pechino in Sud Asia. A partire dagli anni Ottanta – con la guerra sovietico-afghana e l’avvento del terrorismo jihadista – l’area nota come AfPak si è affermata come foriera di instabilitĂ e minaccia alla sicurezza per l’intera regione, ed è appunto tale volatilitĂ a conferirle primo piano nelle scelte geopolitiche (e nelle preoccupazioni) cinesi. Per Pechino, infatti, l’instabilitĂ di un’area che si trova alle proprie porte sudoccidentali rappresenta una duplice minaccia con la quale deve necessariamente fare i conti e di fronte alla quale non può rimandare l’elaborazione di una risposta coerente ed efficace.
In primo luogo c’è la minaccia alla sicurezza nazionale cinese. Questa prende soprattutto la forma dell’influenza che gruppi terroristici afghani e pakistani di ispirazione jihadista esercitano su gruppi estremisti di Uiguri dello Xinjiang, che piĂą volte hanno fatto ricorso al terrorismo come mezzo per esprimere la propria opposizione al Governo di Pechino.
Secondo, la minaccia agli interessi economici. In virtĂą della sua posizione geografica, l’area AfPak gioca un ruolo di primo piano nei rapporti commerciali che la Cina intrattiene con i Paesi dell’Asia centrale da cui importa petrolio e gas, e – piĂą in generale – nell’implementazione del progetto cinese della cosiddetta silk road economic belt, parte di una piĂą ampia strategia volta ad accrescere la cooperazione economica in Eurasia.
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] L’area AfPak in numeri:
- Il gruppo etnico Pashtun è quello maggioritario, formato da 42-50 milioni di persone
- Il 95-99% della popolazione locale è di religione islamica
- Il 33% della produzione afghana di oppio viene contrabbandata attraverso l’area AfPak
- 3 principali gruppi terroristici godono di una solida presenza nell’area: i Talebani, Al Qaeda e l’Haqqani Network [/box]
LA MOSSA CINESE – La stabilitĂ dell’area AfPak è dunque prioritĂ per il Governo cinese per motivazioni sia economiche che di sicurezza. Non a caso, negli ultimi anni, Pechino ha sempre piĂą accresciuto la propria presenza nella gestione delle problematiche dell’area, ed è in particolare in questo contesto che si colloca (e si spiega) la strategia seguita rispetto alla questione del dialogo tra i Talebani e Kabul. Dall’inizio dell’anno scorso, la Cina si è infatti proposta come attore chiave in quel delicato e complesso processo mirante a cercare il negoziato diretto tra Kabul e i Taliban (processo che l’estate scorsa aveva portato ai dialoghi di Murree e che ora appare invece in fase di stallo). Inserendosi nel quadro delle trattative all’interno del cosiddetto “Gruppo dei 4” (formato da Cina, Stati Uniti, Afghanistan e Pakistan), Pechino si è fin dall’inizio affermata come giocatore di primo piano. Nello specifico, il Governo cinese è intervenuto utilizzando la propria influenza su Islamabad, dovuta ai numerosi accordi commerciali e ai programmi di investimento che legano il Pakistan e buona parte della sua crescita economica alla Cina, per convincere i pakistani a rivedere la propria politica estera afghana e a premere in modo serio e disambiguo affinchĂ© i Talebani accettino di sedere al tavolo negoziale.
L’IMPATTO REGIONALE DELL’AFGHAN POLICY CINESE – Tale intervento diretto da parte della Cina è particolarmente significativo in quanto rappresenta una svolta nella politica estera cinese nell’area, capace di dare impulso a nuove e importanti dinamiche. Tradizionalmente restia a nette prese di posizione nello scenario politico-diplomatico del Sud Asia, la Cina si trova ora in una fase di ridefinizione della propria afghan policy: decisa a proteggere i propri interessi economico-commerciali e di sicurezza, Pechino ha elaborato un approccio incentrato su un maggior coinvolgimento politico diretto, pur continuando a escludere ogni possibilitĂ di futuro intervento militare. Questo nuovo approccio da parte cinese ha favorito l’emergere di rinnovate dinamiche nel gioco delle alleanze regionali, con un Afghanistan che con Ghani ha abbandonato la tradizionale linea seguita da Karzai prendendo le distanze dal tradizionale alleato indiano e avvicinandosi invece in modo crescente a Cina e Pakistan. Altrettanto importante da sottolineare, poi, è come la decisione cinese di evitare interventi autonomi e di inserirsi invece nel “Gruppo dei 4” sia segnale di una rinnovata cooperazione tra Cina e Stati Uniti nell’area AfPak. In Afghanistan, del resto, gli interessi strategici di Pechino e Washington appaiono sempre di piĂą muoversi nella stessa direzione e puntare agli stessi obiettivi, con la conseguente apertura di spazi di collaborazione che potrebbero effettivamente esercitare un impatto positivo sulla possibilitĂ di dialogo tra Kabul e i Taliban. Rilevato il nuovo interventismo cinese, resta tuttavia da chiedersi quale sia la sua effettiva possibilitĂ di successo nel favorire negoziati ai quali i Talebani hanno recentemente dichiarato di non essere disposti a “piegarsi”.
L’efficacia della nuova politica afghana implementata dalla Cina dipenderà da una serie di fattori:
- Il rapporto tra Cina e Stati Uniti. Come già visto, più i due Paesi saranno in grado di sfruttare il loro comune interesse per una stabilizzazione dell’area AfPak e sulla base di tali interessi creare spazi di cooperazione, e più la Cina avrà in mano le carte giuste per dare un contributo positivo allo svolgimento dei negoziati;
- Il rapporto tra Cina e Pakistan. il ruolo della Cina dipenderà soprattutto dalla sua capacità di usare la propria pressione politica e ancor più economica affinché Islamabad moderi la propria politica estera afghana (tradizionalmente basata sull’appoggio ai Talebani in chiave anti-India) e spinga i Talebani a dialogare.
- La compattezza del fronte Talebano. Dall’estate scorsa, quando vi è stata la conferma della morte del Mullah Omar e la nomina di Mullah Mansour a nuovo leader dei Taliban, il fronte talebano è internamente frammentato, e tale frammentazione rappresenta il principale ostacolo per lo svolgimento dei dialoghi. Il successo della negoziazione dipenderĂ infatti dalla capacitĂ del Gruppo dei 4 – di cui la Cina è parte – di individuare interlocutori affidabili e dotati di sufficiente legittimitĂ .
Infine, è necessario considerare quelli che sono i possibili rischi insiti nell’interventismo cinese:
- Il rischio principale risiede nel fatto che un eccessivo coinvolgimento diretto della Cina nel suo sostegno a Kabul e nella nella più ampia questione della soppressione del terrorismo regionale potrebbe arrivare ad esasperare ancor più le tensioni interne allo Xinjiang e rafforzare l’ostilità uigura verso Pechino.
- In aggiunta, intervenendo sempre di più nella questione, la Cina rischia di inimicarsi molti dei Paesi della Shangahi Cooperation Organization, ognuno dei quali ha in Afghanistan propri interessi economici e politici che è pronto a difendere. Tra tali Paesi la questione afghana è da sempre fonte di tensioni, e l’intervento cinese potrebbe acuire differenze e diffidenze e ostacolare la cooperazione anche su altri fronti e in altri scenari.
- Infine, è da considerare l’elemento della presenza di USA e NATO in Afghanistan. PiĂą la presenza delle forze americane ed europee viene ridimensionata (sia in termini numerici che in termini di missioni e obiettivi), piĂą la Cina – in virtĂą della sua nuova posizione di primo piano – rischia di trovarsi esposta a pressione per quanto riguarda la prospettiva di un futuro intervento on the ground. La credibilitĂ di Pechino come attore regionale potrebbe allora rischiare di essere compromessa se la Cina non si dimostrasse capace di trovare un coerente equilibrio tra la volontĂ di stabilizzare la regione e il rifiuto per un intervento militare.
Marta Furlan
Foto: preston.rhea