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Patrice Talon: il ‘Re del cotone’ è il nuovo Presidente del Benin

Contraddicendo ogni previsione, il magnate dell’industria del cotone Talon ha battuto il primo ministro Zinsou, vincendo le elezioni presidenziali in Benin. La “rottura” con il passato si gioca su due grandi temi: riforma costituzionale e diversificazione dell’economia. La sua influenza economica e politica sarà il “talon” d’Achille dell’immobilismo del Paese?

CITIZEN TALON – Il 20 marzo 2016 il Benin, piccolissima Repubblica presidenziale dell’Africa occidentale, salutava con entusiasmo il Presidente neoeletto Patrice Talon. Con il 65,3% dei voti Talon ha sbaragliato i pronostici che davano per favorito il Primo ministro uscente Lionel Zinsou, che ha ottenuto solo il 34, 61%. Una vittoria che in apparenza potrebbe sembrare inaspettata – Talon non ha mai ricoperto incarichi politici prima d’ora – è in realtà il risultato di anni di dedizione e lavoro: in trent’anni il Re del Cotone è stato capace di costruire una complessa rete di interessi e contatti, che l’hanno reso uno delle personalità più influenti del Paese.

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Fig.1 – Patrice Talon

LA COSTRUZIONE DI UN IMPERO − Nato ad Abomey, ex capitale del Regno del Dahomey, Talon è figlio di un semplice ferroviere. Dopo aver tentato senza successo la carriera di pilota, si dedica al commercio di prodotti agricoli industriali, fondando nel 1985 la Societè de distribution internationale (SDI). L’impresa si apre presto ai grandi mercati grazie al decisivo appoggio della Società Nazionale per la Promozione Agricola (Sonapra). Negli anni Novanta comincia a delinearsi il profilo dell’attuale magnate: di fronte a questa lenta, ma inesorabile ascesa nulla possono i detrattori, come lo storico leader marxista-leninista Mathieu Kerekou, che non vede di buon occhio l’ingresso di Talon in politica e cerca di ostacolarne l’ascesa. Nel corso del tempo, però, anche grazie al finanziamento di molte campagne elettorali – come quella di Nicephore Soglo – Talon colleziona amicizie potenti, diventando indispensabile per gli equilibri del Paese.

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Fig. 2 – Fila a un seggio elettorale per le presidenziali del 20 marzo 2016 in Benin

ODI ET AMO, BONI YAYI − Pochi mesi prima delle elezioni presidenziali del 2006, Talon fa la conoscenza del candidato Thomas Boni Yayi e ne diventa uno dei più convinti sostenitori. Riesce a farlo eleggere, mentre estende il proprio controllo sull’economia del Paese, aggiudicandosi l’appalto per la privatizzazione del settore cotoniero. Alla fine dei primi anni Duemila la sua fortuna è stimata a diverse centinaia di milioni di euro. Un giro di affari che si estende a Burkina Faso, Senegal e Costa d’Avorio. Nel 2011 recupera il Programma di Verifica delle Importazioni del porto di Cotonou, assicurandosi il monopolio pressoché completo dell’industria cotoniera. Talon finanzia anche la campagna elettorale di Boni Yayi per il secondo mandato. Nel 2012, tuttavia, Talon è accusato di tentato avvelenamento ai danni del Presidente, un’imputazione che insieme alle accuse di furto di denaro pubblico (per un totale di 20 milioni di euro), concussione, corruzione, associazione per delinquere e falsificazione di permessi, lo costringe a espatriare in Francia. Nel 2014 il Presidente Yayi lo riabilita pubblicamente, consentendogli di rientrare in patria. Talon decide così di concorrere alla Presidenza. Dopo anni di lavoro in sordina, si è reso forse conto che l’ingresso in politica può proteggere il suo milionario giro di affari dalle vulnerabilità del mercato e delle leggi finanziarie.

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Fig. 3 – L’ex Presidente del Beni Boni Yayi

BUSINESSMAN IN POLITICA – Le presidenziali del 2016 in Benin si sono distinte per la presenza di molti banchieri, uomini d’affari ed economisti tra i candidati. Le 36 candidature sono riconducibili alla perdita di vitalità dei partiti politici tradizionali e al fallimento della politica di Boni Yayi, il cui unico obiettivo nell’ultimo decennio è stato accentrare quanto più potere possibile nelle sue mani. La volontà di rompere col passato ha portato molti candidati esclusi al primo turno ad appoggiare Talon, assicurandogli la vittoria al secondo: Sébastien Ajavon (22,07% dei voti al primo turno), Abdoulaye Bio-Tchané (8,29%) e Pascal Irénée Koupaki (5,60%) oltre a una sfilza di personalità politiche un tempo alleate di Boni Yayi. Talon incarna la figura del self-made man, capace di costruire un impero dal nulla, poco avvezzo al linguaggio macchinoso della politica, più propenso a ragionare con la razionalità di un manager. Una prospettiva che soprattutto i giovani beninesi sembrano apprezzare particolarmente.
Il successo di Talon è merito soprattutto del suo programma elettorale: riformare le istituzioni limitando il numero dei mandati presidenziali (ha promesso di abbandonare il potere alla fine del primo mandato, nel 2021) ed eliminare la carica di Primo ministro sono solo i primi repentini cambiamenti introdotti dal nuovo Presidente.

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Caterina Pucci

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più 

Secondo Transparency International, nel 2015 il Benin si collocava 83° su 168 Paesi per livello di corruzione. Tra i primi ad avviare un processo di trasformazione politica agli inizi degli anni Novanta, il Benin resta ancora oggi uno degli Stati in cui la transizione democratica sembra aver attecchito meglio. La scelta di Boni Yayi di non prolungare il suo impegno per un terzo mandato – rispettando la Costituzione e contravvenendo a una prassi diffusa tra i leader del continente – e la promessa di Talon di abbandonare la guida del Paese dopo un mandato fanno del Benin un minuscolo, ma incoraggiante esempio nel triste panorama delle dittature e dei sistemi autoritari africani. Tuttavia, una povertà spaventosa – la Deutsche Welle ha recentemente dichiarato il Benin uno dei Paesi più poveri al mondo – rischia di minacciare lo straordinario avanzamento del processo democratico. L’economia beninese fa principalmente affidamento sull’esportazione del cotone, delle arachidi e dell’olio. Pur controllando quasi completamente il mercato del cotone, Talon dovrà riuscire a promuovere la diversificazione dell’economia per far sì che progresso politico, economico e sociale procedano di pari passo.[/box]

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Caterina Pucci
Caterina Pucci

Nata nel 1990, il giornalismo è una vocazione che ho cominciato a coltivare sin dall’adolescenza. All’università, ho scelto di assecondare l’interesse per le lingue straniere, specializzandomi in inglese e arabo. Intanto, scrivevo per una rivista della mia città, Altamura. Nel 2013, il grande passo: mi sono trasferita a Milano per studiare Relazioni Internazionali. Sacrificando l’estate del 2014, ho trascorso un mese a Rabat per seguire un corso intensivo di lingua araba. L’ultimo semestre della mia vita accademica l’ho passato a Gent, in Belgio. Nel 2015, mi sono laureata con una tesi in Storia dell’Asia Islamica sul pensiero di Ali Shariati e la rivoluzione iraniana. Ho cominciato a lavorare come Assistente alla Comunicazione per l’Istituto di Cooperazione Economica Internazionale (ICEI) di Milano. In quel periodo, ho cominciato a scrivere per Il Caffè Geopolitico e ad ottobre 2016 sono diventata Responsabile del desk Africa. Continuo a occuparmene con passione da allora, mentre nella vita lavoro come redattrice. Continuando a perseguire il sogno di diventare una brava giornalista.

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