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Tensioni Niger-Benin: il petrolio nigerino non scorre ancora verso l’Atlantico

In 3 sorsi L’oleodotto più lungo del continente africano, che collega i giacimenti di Agadem con il porto di Sèmè, resta inutilizzato a causa delle tensioni diplomatiche tra Niger e Benin: nonostante l’abrogazione delle sanzioni, la frontiera rimane chiusa.

1. SANZIONI REVOCATE, MA FRONTIERE SEMPRE CHIUSE

Benché l’inaugurazione risalga a novembre 2023, finora i 1.930 chilometri di oleodotto che collegano i pozzi di Agadem – nella regione nigerina orientale di Diffa – con il porto beninese di Sèmè-Kpodji sono stati attraversati solo da un carico di petrolio grezzo, salpato dalle coste Benin lo scorso 19 maggio. La ragione della paralisi dell’attività di questa infrastruttura è da ricercare nelle recenti tensioni diplomatiche che coinvolgono Niger e Benin. Nonostante la proattiva mediazione della China National Petroleum Corporation (CNPC), la compagnia pubblica di Pechino che gestisce l’estrazione del petrolio ad Agadem e che si è anche occupata della costruzione della pipeline, la frontiera comune tra i due Paesi rimane infatti inesorabilmente chiusa. All’origine delle tensioni le sanzioni imposte dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) in reazione al colpo di Stato militare che ha rovesciato il Presidente nigerino Mohamed Bazoum, il 26 luglio 2023. Benché la costruzione dell’oleodotto non sia stata legalmente ostacolata dalle relazioni politiche tra i due Paesi, la sua messa in attività ha invece risentito della decisione di Niamey di mantenere la frontiera chiusa anche dopo la revoca delle sanzioni da parte della CEDEAO, lo scorso febbraio. Per giustificarsi, la giunta del generale golpista Tiani ha invocato ragioni di natura securitaria, accusando il Governo di Patrice Talon di aver autorizzato “lo stazionamento di mercenari e materiali da guerra nella prospettiva di un’aggressione [del Niger] voluta dalla Francia”. Nel frattempo, non solo Porto-Novo sembra ferma nel condizionare il passaggio del petrolio all’apertura totale del confine, ma la scorsa settimana la giustizia beninese ha anche condannato a 18 mesi di prigione tre cittadini nigerini che si erano introdotti nel porto di Sèmè-Kpodji mostrando dei badge falsi della West African Oil Pipeline Company-Niger (WAPCO-Niger), la filiale nigerina della CNPC.

Fig. 1 – Un’immagine dal porto di Sèmè il 19 maggio, giorno della partenza dell’unico carico di petrolio nigerino arrivato in Benin | Visite Sèmè-20 | PrĂ©sidence de la RĂ©publique du BĂ©nin | Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)

2. UN INVESTIMENTO ANDATO MALE?

L’escalation della tensione tra Niger e Benin non può che nuocere alla Cina, la cui mediazione era inizialmente riuscita ad autorizzare il passaggio di un primo carico di petrolio grezzo, lo scorso maggio. La CNPC, che attualmente gestisce quattordici progetti in sei diversi Paesi africani (di cui quattro in Niger), ha iniziato a estrarre petrolio ad Agadem nel 2011 e nel 2013 ha investito 150 milioni di euro in infrastrutture stradali per permettere il collegamento tra la città nigerina di Zinder, dove il greggio veniva raffinato, e il porto camerunese di Kribi, passando attraverso il Ciad. Nel 2018 l’opzione del corridoio beninese, ritenuta più sicura, ha comportato il raggiungimento di un accordo per la costruzione di un oleodotto di quasi 2mila chilometri da Agadem al porto di Sèmè-Kpodji, dove la CNPC gestisce l’esportazione del petrolio grezzo via nave. La compagnia ha così accettato di investire 4 miliardi di dollari per lo sviluppo del campo petrolifero di Agadem e altri 2,3 per l’apertura del cantiere della pipeline, in cambio dei tre quarti della futura produzione. Gli investimenti per l’apertura di 109 nuovi pozzi ad Agadem e la costruzione del nuovo oleodotto hanno portato la produzione petrolifera di Niamey a 110mila barili al giorno e ne permetterebbero la commercializzazione sul mercato internazionale. Secondo stime effettuate nel 2022 dalle Aautorità nigerine e dalla Banca Mondiale, le esportazioni avrebbero dovuto generare un quarto del PIL del Paese e farlo crescere del 6% nel corso del 2023. Tuttavia, la pandemia prima, e l’imposizione delle sanzioni poi, hanno ritardato la costruzione dell’oleodotto, la cui attività è stata ulteriormente ostacolata dopo il colpo di Stato di Tiani. Lo scorso aprile la WAPCO-Niger ha cercato di stabilizzare il proprio investimento concedendo alla giunta militare, in difficoltà a causa delle sanzioni della CEDEAO, un prestito di 400 milioni di dollari con tasso di interesse annuo del 7% su quella che si sperava essere l’imminente commercializzazione del petrolio nigerino. Le tuttora inattese speranze cinesi costano alla WAPCO circa 7,2 milioni di dollari al giorno.

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Fig. 2 – Il Presidente del Benin, Patrice Talon

3. COME AGGIRARE PORTO-NOVO

La crisi attuale tra Niger e Benin sembra ancora stagnare lontana da una possibile soluzione. Per risolverla la mediazione cinese dovrebbe provare ad appoggiarsi anche sui buoni uffici di alleati del Niger quali Burkina Faso e Nigeria, ma nel frattempo la Società nigerina del petrolio (SONIDEP) ha dato il via alle proprie operazioni di esplorazione e sfruttamento ad Agadem e ora il Governo non esclude la costruzione di un nuovo oleodotto che passi attraverso il Ciad. Rimane da vedere se la CNPC sia disposta a finanziare un’altra pipeline sotto richiesta del Niger, nuovo “vicino” di estrazione ad Agadem e per il quale ha già sborsato diversi miliardi.

Giulia Trombelli

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Perchè è importante

  • La China National Petroleum Corporation, che estrae il petrolio in Niger e ha finanziato la costruzione dell’oleodotto, ha cercato di mediare tra i due Paesi subsahariani, per ora invano.

    • La chiusura della frontiera tra Niger e Benin, conseguenza delle sanzioni della CEDEAO e poi di apparenti ragioni securitarie, non permette il trasporto del petrolio nigerino verso il porto beninese che ne assicurerebbe la commercializzazione sul mercato internazionale.

  • La China National Petroleum Corporation, che estrae il petrolio in Niger e ha finanziato la costruzione dell’oleodotto, ha cercato di mediare tra i due Paesi subsahariani, per ora invano.

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Giulia Trombelli
Giulia Trombelli
Emiliana dal 2000, sono laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’UniversitĂ  di Trieste con una tesi sull’evoluzione della presenza francese in Africa subsahariana dagli anni 1960 al 2014, il cui obiettivo era indagare come l’influenza di Parigi ha condizionato lo sviluppo politico e sociale degli Stati francofoni dopo l’indipendenza. Attualmente vivo a Parigi, dove frequento il Master di International security presso Sciences Po Paris (PSIA), con una specializzazione in Studi africani. Nel corso del mio percorso accademico e professionale, ho collaborato con diversi progetti editoriali, trattando principalmente di Sahel e questioni strategico-militari. Mi diverte andare alla ricerca dei piccoli dettagli inutili che si nascondono dietro a ogni storia. Sfortunatamente, sono allergica ai gatti.

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