Situazione sempre più intricata in Palestina: una frase di Hillary Clinton scatena il putiferio, con Abu Mazen che annuncia di non volersi ricandidare, minacciando le dimissioni. E le elezioni appena fissate per gennaio rischiano già di saltare
NON SI RICANDIDA – L’ultimo aggiornamento sulla situazione interna palestinese (Cfr. L’ora dell’appello) raccontava della mossa a sorpresa del Presidente palestinese Abu Mazen, leader di Fatah, che ha deciso di indire unilateralmente le elezioni parlamentari e presidenziali per il prossimo 24 Gennaio, senza attendere un accordo con la controparte Hamas. Sembrava che la mossa seguente toccasse proprio a questi ultimi, invece il nuovo colpo a sorpresa è stata ancora di Abu Mazen, che il 7 Novembre ha annunciato la sua volontà di non ricandidarsi alle elezioni di gennaio. Perché questa scelta? Il quadro si schiarisce un po’ andando a leggere le dichiarazioni rilasciate tre giorni prima A Gerusalemme da Hillary Clinton, Segretario di Stato Usa: “Il congelamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania non è una pre-condizione per il riavvio dei negoziati tra le parti”.
HILLARY SHOCK – Per i Palestinesi, una simile frase ha l’effetto di un pugno in faccia, e di quelli forti. E poco importa che due giorni dopo la Clinton in Marocco provi a metterci una pezza, dichiarando che gli Usa continuano a opporsi alla politica israeliana in merito. Di fatto, in questi primi nove mesi di amministrazione Obama, gli Usa sono sempre rimasti fermi nel chiedere a Israele il congelamento totale degli insediamenti, come pre-condizione per ricominciare i negoziati, così come chiedevano i Palestinesi (e come previsto dalla Road Map siglata dal Quartetto Onu-Usa-Russia-Ue nel 2003). A settembre un accordo in merito sembrava imminente, poi il Governo Netanyahu ha tenuto duro, ottenendo che a Washington si parli ora di contenimento degli insediamenti, e non di congelamento. E nonostante l’incontro di questa settimana tra Netanyahu e Obama non sia stato certo tra i più positivi, è un dato di fatto che in Palestina tali dichiarazioni sono state viste come l’ennesimo appiattimento americano sulle politiche israeliane. Nessun nuovo corso, dunque, con Obama Presidente: tutte le speranze dei primi mesi sembrano svanite, e tra i Palestinesi vi è ora grande sfiducia sulla possibilità che Obama possa cambiare le cose. Anche l’appoggio a Israele contro il Rapporto Goldstone (che condanna come crimini di guerra le azioni israeliane compiute durante il conflitto a Gaza dello scorso inverno) ha stroncato sul nascere l’ipotesi ventilata di una sorta di scambio: mutare politica nei Territori palestinesi in cambio dell’insabbiamento del rapporto.
E LE ELEZIONI? – In tale situazione, Abu Mazen (nella foto) ha deciso di “metterci la faccia”, dicendo: a queste condizioni, non ci sto più. Il Presidente palestinese ha infatti detto di trovarsi in un vicolo cieco: o tornare alla resistenza e all’unità nazionale, in una sorta di nuova Intifada, sprecando qualsiasi spiraglio di pace (opzione che Abu Mazen certamente non predilige, oltre che essere di fatto impraticabile per mancanza di organizzazione e di una benchè minima coesione nazionale), oppure proseguire negoziati sterili e infruttuosi, accettando le condizioni israeliane e, in pratica, andando incontro ad un vero e proprio suicidio politico. In poche parole, Abu Mazen lancia il guanto di sfida, mettendo pressione soprattutto sugli Usa, affinchè non cedano alle condizioni israeliane e pongano le condizioni per superare lo stallo del processo di pace, ufficialmente sospeso nel gennaio scorso in seguito all’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Difficilmente, però, questa mossa sarà sufficiente ad uscire da un’impasse che, intanto, cresce sempre più. Alla luce delle divisioni inter-palestinesi e del mancato raggiungimento di un accordo nazionale, appare difficile che le elezioni di gennaio possano svolgersi. E proprio oggi, la Commissione elettorale dell’Autorità Palestinese ha dichiarato che le elezioni devono essere rinviate, poiché non vi sono le condizioni per garantire un corretto svolgimento delle stesse. Sul voto di gennaio pesa infatti l’opposizione di Hamas, che ha già minacciato di vietare la consultazione all’interno della Striscia di Gaza.
TUNNEL SENZA FINE? – La palla torna ora ad Abu Mazen, che deve decidere se rinviare o meno le elezioni. Comunque vada, il quadro è sempre più ingarbugliato. Se le elezioni saranno effettivamente rinviate, vi saranno altri mesi di stallo politico, a meno che Hamas decida di firmare l’accordo di unità nazionale. Se le elezioni si svolgeranno in questo clima di incertezza, è in ogni caso difficile prevedere una svolta politica in assenza di negoziati. Qualunque Presidente palestinese non potrebbe accettare le condizioni israeliane che Abu Mazen rifiuta. E nello stesso tempo, se quest’ultimo si rimangiasse la parola, ricandidandosi in assenza di sviluppi sui negoziati, perderebbe la faccia davanti ai suoi elettori. Difficile, in questo momento, vedere un po’ di luce in fondo a questo tunnel, ogni giorno più intricato.
Alberto Rossi [email protected]