In 3 sorsi – Il piano presentato dal Presidente statunitense Donald Trump per la cessazione del conflitto a Gaza ha posto Israele e Hamas dinanzi alle proprie responsabilità. Entrambe le parti hanno mostrato una disponibilità a trattare su basi ben definite.
1. IN COSA CONSISTE IL PIANO TRUMP E QUALI OBIETTIVI NE SONO ALLA BASE
Presentato al pubblico in occasione dell’incontro con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, il 29 settembre 2025, il piano di Pace del Presidente Trump si caratterizza per due risultati da conseguire nell’immediato e un orizzonte di obiettivi da raggiungere in maniera progressiva. Innanzitutto, rappresenta il frutto di un’attività diplomatica in piedi da svariati mesi, con l’ex Primo Ministro britannico Tony Blair intento a rappresentarne uno dei principali architetti. Le finalità immediate sono quelle di porre fine ai combattimenti a Gaza, che hanno causato la morte di oltre 67mila palestinesi, e consentire l’immediato rilascio degli ostaggi ancora vivi e dei corpi di coloro che sono deceduti a Gaza dal sequestro di Hamas del 7 ottobre. In questa fase, l’amministrazione civile della Striscia verrebbe affidata a una commissione di tecnocrati palestinesi – supervisionata da un “Board of Pace” guidato dallo stesso Trump – che avrebbe il duplice compito di impegnarsi per la ricostruzione di Gaza e l’attuazione di un piano di riforme in linea con le richieste provenienti dalla comunità internazionale. A garantire il mantenimento della stabilità interna alla Strisciasarebbe una International Stabilization Force (ISF), guidata dagli Stati arabi e musulmani.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Presidente Trump parla ai vertici militari presso la Base dei Marines di Quantico, 30 settembre 2025
2. LA REAZIONE DI ISRAELE E HAMAS: UN IMPERATIVO CHE UNISCE LE DUE STRATEGIE
La linea comunicativa di Netanyahu, in risposta al piano di Trump, è di natura duale. Se da un lato, infatti, ha accolto con favore la proposta al momento delle dichiarazioni congiunte con il tycoon, dall’altro si è assistito a un linguaggio di tipo diverso nel suo successivo discorso alla nazione. In questo contesto, il Primo Ministro israeliano ha dichiarato che “il piano non contempla il ritiro delle IDF da Gaza“, condizione invece ritenuta essenziale da Hamas e dal mondo arabo per concepire una reale cessazione delle ostilità. Un differente codice comunicativo, quello del Capo di Governo israeliano, che si spiega con la sua volontà di non perdere il sostegno dei partiti di estrema destra. Su queste basi, Netanyahu ha dovuto fare i conti il comunicato con cui Hamas ha manifestato la propria disponibilità ad attuare il piano di Trump, in prima battuta nella parte in cui prevede il rilascio immediato degli ostaggi (di cui non si siano perse le tracce in questi anni) come base per procedere alla cessazione delle ostilità. La scelta del movimento palestinese è stata chiara: evitare di manifestare un’opposizione che avrebbe potuto spingere il tycoon americano a dare il via libera alla continuazione delle operazioni israeliane a Gaza City.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump saluta il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu al suo arrivo alla Casa Bianca, 29 settembre 2025, a Washington, D.C.
3. LO SCENARIO FUTURO: DA UN FATTORE DIPENDERÀ LA SOLUZIONE EFFETTIVA DEL CONFLITTO
Il disegno di Trump non si limita all’immediato futuro, con la fine delle ostilità e il rilascio degli ostaggi, ma mira all’ambizioso risultato di garantire una sicurezza a lungo termine – per israeliani e palestinesi – come presupposto ineludibile per il raggiungimento di una pace complessiva nella regione mediorientale.
Alla convinzione di una necessaria convergenza dell’agenda israeliana e di quella palestinese non segue, da parte del Presidente, la disponibilità a riconoscere uno Stato palestinese come culmine di un tale processo. È qui che si consuma una rottura tra gli Stati Uniti e la grande maggioranza degli alleati occidentali che hanno deciso di procedere a un tale riconoscimento nonostante la contrarietà di Israele. Ed è sempre su questo campo che si viene ad alimentare la speranza di Netanyahu di continuare ad effettuare concessioni formali, non sostanziali, per tenere unita la sua maggioranza. Un’agenda che, se ha effettivamente funzionato finora, potrebbe però cadere sotto i colpi di una rinnovata consapevolezza di Trump di poter trovare una soluzione a un conflitto che dilania da decenni la regione mediorientale. I prossimi mesi potranno essere decisivi per comprendere se una tale svolta sia realmente possibile o meno.
Michele Maresca
“Donald J. Trump at Marriott Marquis NYC September 7th 2016” by Michael Vadon is licensed under CC BY


