Il 2016 ha visto la ripresa, a ritmo serrato, dei negoziati sul TTIP: la volontà è di chiudere l’accordo entro la fine dell’anno, nonostante scadenze elettorali imminenti e opposizioni politiche. E, soprattutto, nonostante un movimento di protesta sempre più determinato e attivo
IL CONTESTO – Lo svolgimento di due round negoziali in quattro mesi sembra confermare la volontà di UE e USA di raggiungere un accordo sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP) entro la fine dell’anno. Troppe le incognite all’orizzonte: dalla fine del mandato dell’amministrazione Obama a novembre 2016, alle elezioni politiche in Germania e Francia nel 2017 e in Italia nel 2018 (salvo colpi di scena), senza dimenticare il referendum sulla Brexit. D’altra parte, Stati Uniti e Unione Europea non devono fare i conti solo con le scadenze elettorali. Negli ultimi mesi il movimento di protesta che si oppone alla stipula del trattato ha intensificato la sua attività, riuscendo a coinvolgere l’opinione pubblica di Paesi rimasti finora ai margini del dibattito.
LE ORIGINI – Fulcro e punto di aggregazione della contestazione a livello europeo è il movimento Stop TTIP, un’“alleanza” costituita da più di 500 organizzazioni della società civile, enti no profit, sindacati e partiti politici di tutta Europa. La protesta è entrata nel vivo dopo qualche mese dall’inizio dei negoziati, a luglio 2014, con la domanda di registrazione presso la Commissione dell’Iniziativa dei cittadini europei “STOP TTIP” (European Citizens’ Initiative, ECI). La richiesta rivolta alle istituzioni europee è stata molto chiara: revoca del mandato negoziale per il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti e rinuncia alla conclusione dell’Accordo economico e commerciale globale (CETA). La decisione della Commissione di rigettare l’ECI del 10 settembre 2014 è stata contestata dal movimento, che ha deciso di ricorrere al giudizio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di Lussemburgo (il verdetto non è stato ancora emesso). Ma le “contromisure” non si sono limitate solo a questo: pochi giorni dopo, l’alleanza STOP TTIP ha inaugurato una nuova Iniziativa dei cittadini europei, questa volta auto-organizzata (Self-organised European Citizens’ Initiative). A molti non è sfuggito l’intento politico dell’azione: cercare di indebolire l’operato della Commissione, accusata di prodigarsi solo per gli interessi delle grandi multinazionali, attraverso la contrapposizione di un’iniziativa nata “dal basso” ad opera di rappresentanti della società civile. Il movimento di protesta ha inoltre confermato la sua volontà di soddisfare comunque i requisiti previsti per una classica ECI, manifestando così l’intento di ricercare legittimazione alla sua azione attraverso il rispetto delle procedure legislative europee.
Fig. 1 – Attivisti di Greenpeace durante la manifestazione tenutasi a Berlino in occasione del Global Day of Action del 18 aprile 2015
PARTECIPAZIONE ALTALENANTE – La raccolta firme online inaugurata con l’iniziativa auto-organizzata ha avuto un successo sorprendente sin dall’inizio: dopo soli due mesi dal lancio, le firme registrate sono state un milione. Nel corso del 2015, invece, la protesta si è spostata dal web alle piazze. Il primo vero evento globale, il Global Day of Action, è stato lanciato il 18 aprile con lo svolgimento di manifestazioni di protesta in 704 città nel mondo. Nella sola Germania sono stati organizzati 200 eventi che hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone. All’iperattivismo tedesco ha fatto però da contraltare, in particolare nel primo periodo dei negoziati, la staticità di altri Paesi dell’Unione, soprattutto quelli orientali. Corporate Europe Observatory ha fatto notare come questi Stati, che si sono dimostrati meno sensibili all’argomento, siano gli stessi che potenzialmente potrebbero sostenere i costi più alti in termini economici e sociali in caso di conclusione dell’accordo.
E L’ITALIA? (FORSE) S’È DESTA – L’Italia merita un discorso a parte. Fino a diversi mesi fa l’argomento è stato trattato solo negli ambienti ristretti degli addetti ai lavori. Durante la campagna elettorale per le elezioni europee del 2014, con i negoziati ampiamente avviati, le uniche forze politiche a citare il TTIP nei loro programmi sono stati il Movimento 5 Stelle e la lista L’Altra Europa con Tsipras. La copertura mediatica del tema è stata pressoché nulla. Basti pensare che nel nostro Paese le firme raccolte al 6 ottobre 2015 per l’ECI auto-organizzata sono state appena 72.238, valore di poco superiore al quorum richiesto di 54.750. Si tratta di cifre quasi ridicole se paragonate al milione e mezzo di firme raccolte in Germania (principale Paese promotore) o alle circa 360.000 e 500.000 adesioni registrate rispettivamente in Francia e Gran Bretagna. In Italia il punto di svolta si è avuto lo scorso 7 maggio, con l’organizzazione a Roma della prima manifestazione nazionale contro il TTIP. L’evento è stato indetto dalla piattaforma Stop TTIP Italia, nata a febbraio 2014 e tra le realtà più attive nell’azione di contrasto all’accordo commerciale USA-UE. La partecipazione alla manifestazione – le presenze stimate sono state circa 25.000 – è stata trasversale (partiti politici, sindacati, ONG, associazioni dei consumatori), segno che la consapevolezza sull’importanza della posta in gioco sta crescendo anche nel nostro Paese.
Fig. 2 – Un momento della manifestazione nazionale contro il TTIP del 7 maggio 2016 a Roma
TRASPARENZA – Oltre che sul merito delle varie questioni trattate, il movimento STOP TTIP ha focalizzato la sua attenzione anche sul metodo utilizzato dalle due controparti durante le negoziazioni. In particolare, quello che è stato sempre contestato è la totale mancanza di trasparenza nelle discussioni e l’estrema difficoltà di accesso agli atti ufficiali. La decisione presa dagli Stai membri dell’UE di desegretare ad ottobre 2014 il mandato negoziale del TTIP è stata giudicata solo un diversivo per tenere buona l’opinione pubblica europea. Questa ipotesi ha trovato diverse conferme poco tempo fa, quando Greenpeace ha reso pubbliche circa 240 pagine di 16 documenti riservati sul negoziato transatlantico che hanno fatto emergere chiaramente le pressioni esercitate dagli USA sull’Unione Europea per quanto riguarda la definizione degli standard di qualità e di tutela previsti in numerosi settori dell’industria (primo tra tutti quello agroalimentare). Per quanto concerne la difficoltà di accesso agli atti, è stata paradigmatica a riguardo la testimonianza rilasciata ad agosto dello scorso anno al The Guardian dal parlamentare europeo Sven Giegold (Alleanza ‘90/I Verdi) che ha spiegato nel dettaglio tutte le restrizioni previste per la consultazione dei documenti: dal divieto assoluto di ricopiare il testo originale e di richiedere l’accesso nella sala di consultazione dello staff dei parlamentari, alla difficoltà di traduzione dall’inglese di termini altamente tecnici e al poco tempo concesso per la lettura. Poche settimane fa il ministro dello Sviluppo Economico – nonché responsabile per le negoziazioni del TTIP per l’Italia – Carlo Calenda ha deciso l’apertura di una sala di lettura sui documenti negoziali anche per i parlamentari italiani. Al momento per la visione dei testi, soprattutto alla luce della “fuga di notizie” ad opera di Greenpeace a cui si è accennato, sono state adottate sostanzialmente le stesse rigide regole imposte in ambito sovranazionale, regole cui hanno dovuto conformarsi i primi deputati che hanno fatto accesso alla sala, e che hanno raccontato la loro esperienza in alcune interviste.
PROSSIME MOSSE – L’Iniziativa dei cittadini europei auto-organizzata è stata chiusa il 6 ottobre 2015. Il numero totale di firme raccolte grazie al sostegno di circa 515 organizzazioni in tutti e 28 gli Stati membri è stato di 3.284.289. In attesa del verdetto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul ricorso presentato dal movimento sulla prima ECI, le firme sono state consegnate alla Commissione, con la richiesta di ottenere una risposta ufficiale sulla questione e un’udienza pubblica di fronte al Parlamento Europeo. Il movimento STOP TTIP, nel frattempo, sta continuando ad aggiornare periodicamente il suo sito, pubblicando le date di tutti gli eventi in programma, e a raccogliere le adesioni contro il trattato con l’intento di mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema, approfittando anche del clima politico ostile a livello europeo nei confronti dell’accordo di libero scambio. L’ultima grande manifestazione dello scorso aprile che si è svolta ad Hannover in occasione della visita di Obama in Germania ha confermato l’unità e la maturità del movimento di protesta; gli eventi politici dei prossimi mesi saranno anche in grado di misurarne il grado di efficacia.
Daniele Pericoli
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Diritto d’iniziativa dei cittadini europei (European Citizens’ Initiative, ECI) è un istituto legislativo europeo previsto dal regolamento (UE) n. 211/2011; consente ai cittadini europei «di prendere direttamente parte all’elaborazione delle politiche dell’UE, invitando la Commissione europea a presentare una proposta legislativa». L’iniziativa deve essere registrata sul sito della Commissione e sostenuta, entro un anno dal lancio, da almeno un milione di cittadini europei di almeno 7 dei 28 Stati membri dell’Unione. La Commissione non è obbligata a dare seguito alle iniziative registrate. [/box]
Foto: Mehr Demokratie e.V.,