Caffè Americano – La convention democratica di Philadelphia si è conclusa. Il partito dell’asino ostenta unitĂ , mentre sposta gli equilibri interni decisamente al centro. Unico obiettivo: battere Donald Trump a novembre.
TUTTI AL CENTRO – Virare al centro: questa, la parola d’ordine del Partito democratico, che ha celebrato la propria convention a Philadelphia tra non poche polemiche. Una sterzata moderata, già preavvertita lo scorso venerdì, quando l’ex first lady aveva annunciato la scelta di Tim Kaine come proprio running mate: una figura tendenzialmente centrista e lontana da numerose posizioni tipiche delle ali radicali (dalle questioni economiche alla politica estera). Hillary insomma torna ad essere Hillary. Se i passati mesi di scontro con il rivale socialista, Bernie Sanders, la avevano condotta più di una volta a presentarsi (un po’ artificiosamente) come paladina del fronte liberal, la conquista della nomination le consente ora di tornare alla sua consueta linea politica: moderata, centrista, sostanzialmente destrorsa. La stessa scelta di Kaine (con la conseguente defenestrazione di Elizabeth Warren dal ticket in corsa per la Casa Bianca) mostra una netta porta in faccia nei confronti di una sinistra che si sente ormai non rappresentata e potrebbe proseguire nella sua guerra all’ex first lady. Eh sì: perché nonostante i proclami di fedeltà al partito, pronunciati nel corso della convention da Bernie Sanders e dalla stessa Warren, la base non sembra essere propriamente compatta.
Fig. 1 – Elizabeth Warren
DUBBI E INCONGRUENZE – A dispetto di una unità di facciata, l’asinello lascia Philadelphia profondamente spaccato, diviso tra un’ala moderata e una radicale: un’ala radicale che sembra non volerne sapere di convergere sul nome di Hillary Clinton. E d’altronde ben difficilmente potrebbe essere altrimenti, anche alla luce dei consistenti paradossi che hanno caratterizzato la convention. Innanzitutto, pensiamo al discorso di Bernie Sanders, che dopo mesi passati ad attaccare ferocemente Hillary ha infine invitato a votarla: un invito che a molti non è sembrato il massimo della coerenza (e difatti i fischi non sono mancati). Certo: è vero che tradizionalmente nella politica statunitense i candidati in competizione nel corso delle primarie vanno poi a sostenere il vincitore durante la convention, in nome dell’interesse partitico. Sennonché è altrettanto vero che la candidatura di Sanders ha rappresentato quest’anno forse un unicum nella Storia dello Zio Sam: il senatore del Vermont non si è limitato infatti a una classica proposta programmatica, invocando di contro una decisa palingenesi politica e morale che vedeva – a torto o a ragione – nei Clinton il proprio principale bersaglio polemico.
Fig. 2 – Bernie SandersÂ
Come stupirsi quindi che oggi larghissima parte del suo elettorato non abbia alcuna intenzione di rimanersene zitto, mentre Hillary vira a destra in barba alle promesse fatte negli ultimi mesi alla sinistra del suo partito? In tal senso, anche il discorso tenuto da Barack Obama in favore dell’ex first lady non è parso come il massimo della linearità . E questo non soltanto perché tra i due notoriamente non scorre buon sangue. Ma anche (e soprattutto) perché Obama vinse le primarie del 2008, proponendo una prospettiva liberal decisamente antitetica a quella moderata, incarnata da Hillary. Senza infine dimenticare i dissidi che hanno caratterizzato i due durante il primo mandato dell’amministrazione Obama: appena pochi mesi fa quest’ultimo ha definito l’intervento militare in Libia nel 2011 come l’errore peggiore della propria presidenza. Un intervento che – ricordiamolo – fu fortemente sollecitato da Hillary Clinton, allora Segretario di Stato. Anche in virtù di questo, è ben difficile che l’esortazione di Obama a guardare al centro possa rivelarsi apprezzabile nei confronti di quello stesso elettorato che guardava a lui otto anni fa con speranza di rinnovamento. E quindi alla fine dei giochi la domanda sorge spontanea: quale sarà la strategia di Hillary?
Fig. 3 – La Convention democratica di PhiladelphiaÂ
LA STRATEGIA DI HILLARY – In vista del voto novembrino, la strategia dell’ex first lady appare dunque quella classica: spostarsi al centro e attrarre i voti dei moderati. Nonostante nel discorso di investitura abbia chiamato il partito all’unitĂ , dicendosi pronta a raccogliere l’ereditĂ sandersiana, i fatti mostrano comunque una deciso riposizionamento moderato. Un’impostazione non innovativa, che vorrebbe “giovarsi” della concorrenza a destra di Donald Trump. In sostanza, l’idea sarebbe quella di una santa alleanza tra moderati (democratici e repubblicani) contro il radicalismo incarnato dal miliardario. In tal senso, secondo diversi analisti, il compito di Kaine come vice andrebbe proprio in questa direzione: accattivarsi le simpatie del voto repubblicano anti-Trump. La strategia è dunque abbastanza chiara. Ma non è detto tuttavia si riveli necessariamente efficace. Innanzitutto perchĂ© la quota degli “arrabbiati anti-sistema” in questo 2016 appare elevatissima, a destra come a sinistra. In secondo luogo, perchĂ© non è automatico che Trump non riesca a catturare almeno una parte del voto di centro. Hillary si gioca la carta della filosofia reaganiana: forza, ottimismo, fiducia nel futuro. Ma il problema è che di quella filosofia buona parte dell’elettorato americano oggi non ne vuol piĂą sentir parlare.
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą – Secondo Real Clear Politics, gli ultimi sondaggi nazionali vedono Trump lievemente in testa su Hillary Clinton: 45,6 a 44,7Â [/box]
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