Se dovessimo sintetizzare l’Afghanistan in una frase, mi verrebbero in mente due cose. La prima, una frase che nel 2009 disse l’allora Rappresentante EU a Kabul Ettore Sequi: “Bisogna parlare al cuore e alla mente degli afgani, ma anche allo stomaco”, mutuandola da quella detta dal Generale Dalla Chiesa. Il riferimento era al fatto che gli Afgani che vivono nei villaggi sperduti delle periferie del paese spesso sentono come giusta la ‘giustizia’ dei talebani perchĂ© permette loro di mangiare, e sentono molto lontano il governo di Kabul. La seconda cosa è la lettura di un libro: “The Fragmentation of Afghanistan”, del Professor Barnett R.Rubin, sulla formazione dello stato e il collasso del sistema internazionale nel paese.
Libro che ben spiega che non c’è un Afghanistan, ma tanti sotto lo stesso nome, con esigenze e problemi molto differenti tra loro. In questo paese sfortunato, da dove le forze dell’Isaf dovrebbero ritirarsi nel 2014, non si ha alcuna certezza. Il paese sarĂ stabile e sicuro per allora?
Nel 2014 gli anni di guerra saranno tredici. Ma per chi viaggia in Afghanistan la parola ‘sicurezza’ è ancora una chimera. In questo articolo vi raccontiamo come e dove opera il nostro contingente. L’Italia infatti è tra i paesi che fanno parte dell‘ISAF, International Security Assistance Force, missione di supporto al governo dell’Afghanistan che opera sulla base di una risoluzione dell’ONU. La principale minaccia per i nostri soldati è la presenza di ordigni improvvisati (IED).
In uno speciale sull’Afghanistan che prossimamente vedrete sul nostro sito, parleremo dei civili, in particolare donne e bambini.
Dove è stanziato il nostro contingente?
Se si guarda la cartina dell’Afghanistan, per capire dove sono gli italiani bisogna guardare ad ovest, al confine con l’Iran. L’Italia ha la responsabilitĂ di 4 province: Herat, Farah, Bagdhis e Ghor. Gli italiani sono 3900 e operano su un territorio molto vasto. 150.000 kmq, un’area pari all’Italia settentrionale e a parte dell’Italia centrale. A settembre la Brigata Bersaglieri Garibaldi ha lasciato il terreno agli alpini della Taurinense. Con altri 9 paesi contributori l’Italia forma il Regional Command West (RCW) nell’ambito dell’operazione Isaf. Il compito principale del contingente italiano è quello di sostenere il governo afgano nella ricostruzione del paese, affinchĂ© l’Afghanistan possa essere indipendente.
Quali le caratteristiche del territorio afgano in cui gli italiani operano?
E’ un territorio insidioso. Una curva stretta, un saliscendi, una strettoia, rappresentano una possibile minaccia: il mezzo militare afgano è costretto a rallentare e gli insorti possono centrare meglio il loro obiettivo. Quando c’è la necessitĂ di verificare la presenza di ordigni, per esempio, entra in gioco l’unitĂ cinofila. Sono operatori cosiddetti IEDD, ovvero una squadra che si occupa della ricerca e neutralizzazione degli ordigni improvvisati. I nostri genieri sono i migliori al mondo, primato che purtroppo è legato al fatto che l’Italia è stata tra i principali produttori di mine. In Afghanistan hanno battuto le strade con risultati eccezionali, tantissimi i kilometri percorsi a passo d’uomo davanti al convoglio, per cercare un ordigno. L’Arma del genio ha avuto uno sviluppo rapido, legato alla mobilitĂ del conflitto, e ora è in prima linea. Finora ha svolto un lavoro molto utile ai fini dello sminamento in Afghanistan.
Come avviene lo sminamento?
Il primo binomio importante parte dall’affiatamento uomo-animale. Il cane indossa un collare particolare ed è stato addestrato: sa che quando indossa quel collare dovrĂ cercare l’esplosivo. Dopo aver trovato l’esplosivo deve sedersi e non continuare a scavare. Confermata la presenza dell’esplosivo entra in scena il Cougar, apparecchiatura da 600 mila euro che spara acqua sulle componenti elettriche dell’ordigno per disattivarle. L’obiettivo è capire la tipologia dell’Ied e il procedimento usato dal nemico, non distruggere l’ordigno. Gli insorti inoltre potrebbero lasciare delle impronte e queste verrebbero puntualmente verificate nell’archivio biometrico. Arriviamo cosi’ all’uomo che sfida le bombe e si misura in primis con l’ordigno, rischiando la pelle. I compagni lo aiutano a indossare la tuta anti-esplosiva di 40 kg. Spesso la minaccia non è rappresentata dall’ordigno ma anche da chi, quando i nostri militari si avvicinano all’esplosivo, è pronto per un’imboscata e osserva, a distanza, le mosse di approccio alla bomba.
Qual è il principale compito degli italiani?
In una parola il supporto. Supporto alle forze militari afgane che vengono formate dagli italiani affinchè possano gestire da sole la difficile situazione sul fronte sicurezza. Su questo territorio operano circa 32.000 tra militari dell’ANA, Afghan National Army, e poliziotti afghani che hanno acquisito una buona capacitĂ di pianificare e condurre operazioni in piena autonomia. Un altro punto importante è proprio la reintegrazione degli afgani. Un processo che ha visto fino all’ottobre dello scorso anno 2042 reintegrati nel RCW, su un totale di circa 5000 in tutto l’Afghanistan, così suddivisi nelle quattro province: 438 a Herat, 1287 a Bagdhis, 173 a Farah e 144 a Ghor. In particolare, nell’area a responsabilitĂ italiana opera il 207° Corpo d’Armata afgano. Il reintegrato in buona sostanza è un ex-insurgent che abbandona le armi e accetta il programma di reintegrazione. Il programma prevede un breve periodo di formazione, il rilevamento dei dati biometrici e una cerimonia pubblica trasmessa per televisione, durante la quale il soggetto presta giuramento sul Corano. Inoltre, per agevolare il suo ingresso in societĂ gli viene offerto un lavoro. Esiste anche un Police Advisor Team costituito dai carabinieri la cui missione è l’attivitĂ di advising a favore del Comando regionale e Provinciale dell’Afghan Uniform Police di Herat. Episodi recenti raccontano di finti reintegrati che si introducono all’interno delle forze occidentali per guardarle dall’interno, o per effettuare attentati suicidi, come purtroppo è successo sia a Kabul sia al sud del paese. Interrogati su questo, gli italiani rispondono che sono episodi molto sporadici.
Qual è in questo momento il problema principale degli afgani?
Abbiamo parlato con alcuni di loro a sud di Bakwah, distretto di responsabilitĂ italiana non lontano dall’Helmand. Il problema principale, ci raccontano, è legato alla sicurezza. “Che qui ci sia anche la polizia afgana è un fattore positivo – ci racconta un abitante di un villaggio.
– ma se rimanessero gli italiani sarebbe meglio. Siamo molto grati al vostro esercito. Sono brave persone… non ci sono mai vittime o feriti tra i locali. Non sentiamo spari in continuazione… con gli americani prima era peggio”.
“La sicurezza è il nostro problema principale – ci racconta il capo villaggio – Nessuno può andare da chi governa a chiedere aiuto perchĂ© se i talebani lo scoprissero lo ucciderebbero. E qui come vede non c’è nulla, figurarsi un mercato,è necessario spostarsi in un altro villaggio per comprare le cose. Ma le strade non ci sono e nel terreno c’è sempre la trappola degli ordigni per cui è molto pericoloso spostarsi”.
E ancora. “Gli italiani hanno portato una maggiore sicurezza. Non uccidono i civili. Molti prima lasciavano quest’area e andavano via. La sicurezza è migliorata. La polizia afgana è un esempio, ai tempi degli americani non c’era. Sono gli italiani ad averla portata qui”.
I principali problemi in Afghanistan, ci raccontano queste persone, sono la sicurezza, le condotte per il trasporto dell’acqua e il supporto per le esigenze primarie che il villaggio necessita.
Ad oggi circa l’80% circa dei distretti dell’area di responsabilita’ italiana hanno avviato il processo di transizione alle forze afgane, a partire dalla difficilissima area del Gulistan e di Bakwah. Nel 2012 l’Italia ha stabilito circa 2000 check point lungo le principali vie di comunicazione, con 17.000 veicoli controllati, 5000 pattuglie condotte in tutti i distretti e oltre 170.000 persone controllate.