In 3 sorsi – La campagna elettorale americana sta terminando e dopo l’8 novembre ne conosceremo gli esiti che produrranno, nel nostro mondo globalizzato, un’onda lunga che toccherĂ anche l’altra riva del Pacifico, dove sia il liberismo clintoniano che l’isolazionismo trumpista suscitano sentimenti contrastanti e ansiogeni
1. INCOGNITA CINA – Le elezioni americane sono in dirittura d’arrivo con una nuova caratteristica: entrambi i candidati hanno dato spazio al “problema Cina”: la Clinton ha riaffermato la strategia pivot to Asia, che ha spostato l’asse della politica estera americana dal Medio Oriente al Sud-est asiatico per contrastare la crescente influenza cinese, mentre il suo vice, Tim Kaine, forte dei trascorsi gesuitici, ha cercato di riequilibrare le posizioni, evidenziando la necessitĂ di cooperazione anche nei contesti di maggior tensione. Trump, chiamato dai cinesi “Chuanpu”, a sua volta, ha proclamato a gran voce di voler rendere di nuovo grande l’America (Make America Great Again), proponendo una nuova forma di delocalizzazione del lavoro, questa volta dall’Oriente verso gli USA, per arginare gli effetti dell’ingresso della Cina nel WTO causa, secondo i piĂą, della fine dell’industria manifatturiera americana. Il candidato repubblicano ha inserito nel suo programma elettorale un innalzamento delle tariffe sull’import cinese e una sostanziale interruzione del trasferimento tecnologico verso la Cina, imposto alle aziende locali partner di quelle cinesi, giĂ vessate dalle disparitĂ delle norme relative agli standard ambientali e di tutela del lavoro. Le conseguenze di un ritorno al protezionismo, secondo il Peterson Institute di Washington, potrebbero spaventare gli stessi elettori repubblicani, nonostante l’autorevolezza del vice Mike Pence, considerato dall’US China Business Council, che rappresenta le aziende americane che investono e commerciano con la Cina, un politico che oscilla da posizioni assertive ad altre piĂą ragionevoli, soprattutto nei confronti della RPC, in favore di una politica poco interventista, che consentirebbe alla RPC di rafforzare notevolmente le proprie posizioni.
Fig. 1 – Donald Trump in Ottumwa, Iowa
2. REALITY SHOW – Nel corso dell’ultimo scorcio di campagna elettorale è sceso in campo anche l’ex ambasciatore in Cina, Stapleton Roy, chiedendo un superamento delle obsolete strategie che potrebbero produrre pericolosi passi falsi in Asia orientale, come sottolineato anche dai media cinesi. In realtà da oriente si stigmatizza il conflitto tra la Cina in ascesa e gli USA in declino, che si riflette anche sui reciproci alleati, in particolare nei settori chiave delle armi nucleari, delle basi militari e della difesa missilistica, fino alle operazioni spaziali e informatiche, per proteggere interessi nazionali vitali per tutti. I leader cinesi non hanno finora manifestato preferenze tra i due candidati, i cui proclami non sembrano forieri di eccessivi cambiamenti. A fronte del protezionismo evocato da Trump, la Cina sa di possedere troppi titoli di stato americani insieme alla possibilità di bloccare le esportazioni di prodotti agricoli e di creare seri problemi ad aziende di punta (tra le quali l’Apple).
Fig. 2 – J. Stapleton Roy, ex ambasciatore in Cina
3. DEMOCRACY IS A JOKE – Molti cinesi, riferisce il Global Times, credono che vincerà Trump, stereotipo di occidentale decadente, ma anche uomo d’affari di successo e nuovo volto di una politica che la stampa e le televisioni cinesi stanno tentando di rappresentare nel peggior modo possibile, stigmatizzando i comportamenti di entrambi i candidati, a parte le definizioni affibbiate a Trump, quali narcisista o pagliaccio, assimilato a recenti dittatori, ma anche a Mao stesso. Una paziente e ramificata propaganda è in fondo finalizzata a scoraggiare ogni richiesta democratica da parte della popolazione cinese, alla quale sono stati presentati in prima pagina sesso e scandali, operazione in realtà molto facile dato il livello della campagna elettorale, con l’intento di veicolarne i dibattiti attribuendoli ad un sistema, ormai obsoleto e corrotto, che può solamente produrre distorsioni. La democrazia viene così rappresentata come fonte di malgoverno e malcostume, che mette a repentaglio la stessa sicurezza nazionale.
Fig. 3 – Una maschera di Donald Trump per la festa di Halloween
Gli ultimi faccia a faccia tra i candidati e tra i vice non sono stati trasmessi in streaming integralmente nĂ© da Caixin online nĂ© da NetEase ma solo postati su Sina Weibo, con il fine, nemmeno troppo sottaciuto, di oscurarne i contenuti in caso di necessitĂ , stigmatizzando la futilitĂ di questi dibattiti e cercando di distogliere una popolazione attonita, che filtra la realtĂ da“House of Cards” e poi posta 40.000 likes, 15.000 condivisioni e 13.000 commenti ai dibattiti. Non sappiamo ad oggi cosa accadrĂ l’8 novembre e come si muoverĂ nel mondo il vincitore, ma sappiamo che mai prima d’ora un miliardo e trecento milioni di cinesi avevano avuto occasione di intravedere, nel bene e nel male, una diversa forma di Stato, la democrazia, giĂ infiltratasi in qualche modo nella Regione speciale di Hong Kong (HKSAR). L’arresto, avvenuto nei giorni scorsi da parte del compiacente governo thailandese, di Joshua Wong, uno dei protagonisti dell’Umbrella Revolution, fondatore di Demosisto, partito ispirato all’antichitĂ greca classica, nella quale affondano le radici democratiche, costituisce un serio monito per la sete di libertĂ che da Hong Kong si sta diffondendo in tutto il continente, ma potrebbe diventare un boomerang per un Governo che tenta di dimostrare che la democrazia è un gioco per cui, però, ci si può giocare tutto, anche la vita.
Elisabetta Esposito Martino
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Â Un chicco in piĂą
Il paragone tra Trump e Mao costituisce un azzardato confronto tra due personaggi molto diversi, ma accomunati da un innegabile talento politico, da un’eccessiva tendenza alla polemica e da forme di paranoia xenofoba. In particolare ci si riferisce al discorso tenuto nel 1957 “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, considerato un caposaldo della visione politica del Grande Timoniere per la distinzione operata tra le contraddizioni antagonistiche (quelle che si creano con i nemici del popolo, i controrivoluzionari che si oppongono alla rivoluzione socialista, tentando di sabotarla) e quelle non antagonistiche (che si verificano in mezzo al popolo tra la classe operaia, i contadini, gli intellettuali, la borghesia nazionale; tra gli interessi collettivi da una parte e gli interessi individuali dall’altra; tra democrazia e centralismo). Le ultime possono essere risolte attraverso metodi democratici come il dibattito, la critica, la persuasione e l’educazione. Per le contraddizioni “tra noi e i nostri nemici”, si utilizza la dittatura prefigurando in questo modo la “Dittatura democratica popolare”: democrazia per il popolo e dittatura per i reazionari. Questo discorso può dare un’idea della profonda diversitĂ tra l’idea di democrazia occidentale e quella cinese che, se si colloca nel tentativo di ritornare allo spirito confuciano dell’antichitĂ classica cinese, come vagheggiato nel nuovo millennio, rende ancora piĂą radicale la differenza.[/box]
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