Il Giro del Mondo in 30 Caffè 2017 – Seguendo le orme del padre Jomo, nel 2013 Uhuru Kenyatta è diventato Presidente della Repubblica del Kenya. I successi ottenuti in questi quattro anni basteranno per essere confermato alla prossima tornata elettorale in programma ad agosto di quest’anno?
CHI È UHURU KENYATTA? – Uhuru Kenyatta, nato nel 1961 a Nairobi, è il quarto Presidente della Repubblica del Kenya, figlio del noto Mzee Jomo Kenyatta, primo Presidente nonché padre fondatore del Kenya indipendente. La carriera politica dell’attuale Presidente è cominciata nel 1990, all’interno del Kenya African National Union (KANU), il partito in cui aveva militato anche il padre. La vera e propria svolta arrivò tra il 2001 e il 2002 quando Kenyatta divenne prima parlamentare, poi Ministro degli Affari locali e infine candidato alle elezioni presidenziali del 2002. Alcuni membri del partito, contrari alla sua candidatura, si allearono con Kibati, il candidato dell’opposizione che vinse. La sconfitta però non compromise l’ascesa di Kenyatta nell’agone politico: nel 2005 venne nominato al vertice del KANU, e nel biennio 2008 – 2009 ottenne la nomina sia di vice primo ministro che di Ministro delle Finanze. Il governo a cui Kenyatta prese parte era stato creato ad hoc per ristabilire l’ordine e l’unità nazionale dopo che le contestazioni per i risultati delle elezioni presidenziali del 2007 si erano tramutate in atti di vera e propria violenza. Inoltre gli scontri di quei giorni, che causarono 1000 morti e 350.000 feriti, rischiarono di affossare la carriera politica di Kenyatta: nel 2010, infatti, la Corte Penale Internazionale lo accusò di crimini contro l’umanità; in particolare per aver supportato economicamente i Mungiki, una banda criminale di etnia Kikuyu – la stessa dell’attuale Presidente – che si era macchiata di diversi delitti contro il popolo keniota.
Fig.1 – Un uomo legge un giornale che celebra la vittoria di Kenyatta nel 2013
Kenyatta negò qualsiasi coinvolgimento e dopo aver presentato le dimissioni da ministro nel 2012, puntò alle elezioni presidenziali dell’anno successivo fondando un nuovo partito chiamato The National Alliance, e mostrandosi al proprio elettorato come un uomo ingiustamente perseguitato da un tribunale colonialista europeo. Per una campagna elettorale ancora più vincente il figlio di Jomo Kenyatta decise poi di allearsi con il rivale William Ruto, anch’egli indagato dalla Corte Penale Internazionale, dando vita alla coalizione Jubilee Alliance. L’alleanza si rivelò una mossa così decisiva che il duo Kenyatta – Ruto sconfisse al primo turno Raila Odinga, leader dell’Orange Democratic Movement.
QUATTRO ANNI DI PRESIDENZA – Nelle questioni di politica interna, Kenyatta ha voluto consolidare e fortificare un’economia tra le più forti nell’Africa Orientale, che secondo le stime della World Bank crescerà del 6% nel 2017. Ciò è stato reso possibile dalle riforme avvenute in settori nevralgici come quello delle infrastrutture e quello energetico. Sarà a breve inaugurato uno dei progetti infrastrutturali più costosi nella storia del Kenya, cioè la linea ferroviaria che collega il porto di Mombasa a Nairobi, mentre è già stato completato il nuovo terminal dell’aeroporto di Nairobi che porterà a raddoppiare il numero dei passeggeri in transito. Nel settore energetico, l’obiettivo di lungo periodo è quello di investire nelle fonti di energia rinnovabili al fine di diminuire sempre più la dipendenza dai combustibili fossili. In quest’ottica uno dei primi risultati raggiunti è stato l’aumento della produzione di energia geotermica che ha permesso di abbattere del 30% la spesa destinata alle forniture elettriche; inoltre nel 2017 verrà inaugurato, in prossimità del lago Turkana, il più grande parco eolico costruito in Africa che sarà in grado di soddisfare il 18% del fabbisogno di elettricità del Paese. Proprio quest’ultimo progetto è stato portato avanti grazie anche a investimenti stranieri che in generale negli ultimi anni sono aumentati. Il governo keniota si è impegnato a semplificare le procedure burocratiche per favorire la creazione di aziende private e e l’apertura di diversi settori, in precedenza ad appannaggio esclusivo dello stato, agli investimenti stranieri: oltre al già citato settore dell’energia, il settore bancario e quello del turismo hanno attratto un considerevole numero di investitori esteri.
Fig.2 – Il Presidente degli Stati Uniti Obama insieme al Presidente Kenyatta durante la visita in Kenya avvenuta nel luglio del 2015
I problemi della società keniota rimangono ben evidenti e l’opposizione imputa a Kenyatta di non aver affrontato diverse problematiche, in primis quella della sicurezza: esemplare l’attentato all’Università di Garissa, episodio ancora ben impresso nella memoria della popolazione; a seguire la disoccupazione, con particolare riferimento a quella giovanile che non è diminuita, com’era stato promesso durante la campagna elettorale del 2013, e infine il fenomeno della corruzione, piaga sociale che alimenta il malcontento della cittadinanza. In politica estera, Kenyatta si è speso particolarmente per presentare il Kenya come un affidabile partner economico e fedele alleato – come dimostrato nella missione AMISOM in Somalia – dotato di una leadership autorevole in grado di ricoprire un ruolo di guida sia nella dimensione regionale che in quella continentale. Lo attestano le visite effettuate nel 2016 da ben 50 capi di Stato, capi di governo e leader mondiali e dai cento viaggi istituzionali intrapresi da Kenyatta durante il suo mandato. Con le due visite in quattro anni del Segretario di Stato Kerry e con il viaggio di Obama nel 2014, Kenyatta si è guadagnato l’endorsement di partner strategico dagli Stati Uniti che hanno lodato il paese africano per l’impegnativo incarico svolto dall’esercito keniota contro i terroristi di Al-Shabaab in Somalia. Il Kenya, comunque, ha rivolto le sue attenzioni non soltanto ai Paesi occidentali ma ha continuato a tessere relazioni con l’Oriente e soprattutto con la Cina che sta investendo ingenti somme di denaro in infrastrutture, costruzioni e telecomunicazioni.
IL 2017 E LA SFIDA ELETTORALE – Per il 2017 Kenyatta si pone come obiettivo primario la riconferma a Capo dello Stato e la vittoria alle prossime elezioni, che si terranno in agosto, passa attraverso tre punti fondamentali. Il primo riguarda il mantenimento dell’alleanza con il Vice Presidente Ruto così da garantirsi i voti dei cittadini di etnia Luo rappresentati dal Deputy President, indispensabili per la riconferma. A favorire il perseguimento del progetto politico di Kenyatta potrebbe aver influito anche “l’odiata” Corte Penale Internazionale che nell’aprile del 2016 ha scagionato Ruto da tutte le accuse; proprio come accadde al Presidente nel 2014, la mancanza di prove ha portato il Procuratore Generale a non poter procedere penalmente, rimettendo in gioco, al momento opportuno, l’utile alleato per la delicata campagna elettorale. Se a ciò si unisce la promessa fatta dal Capo dello Stato stesso di supportare la candidatura di Ruto alle elezioni del 2021, il proseguo del rapporto fino a qui proficuo per entrambi i contraenti, non sembrerebbe in discussione.
Fig.3 – I festeggiamenti del Presidente Kenyatta insieme al suo vice Ruto, dopo che quest’ultimo è stato prosciolto dalle accuse della Corte Penale Internazionale
La seconda questione riguarda il fronte sicurezza in quanto i cittadini non si sentono adeguatamente protetti dalle continue incursioni attuate da Al-Shabaab all’interno del territorio nazionale e la risposta del governo non può esaurirsi unicamente nella costruzione di una barriera al confine con lo Somalia né nella chiusura del campo dei rifugiati di Dadaab, ammesso che la comunità internazionale glielo permetta. In ultima analisi, Kenyatta dovrà evitare di usare le forze di sicurezza nazionale per schiacciare l’opposizione e, per il bene della Nazione, dovrà insieme all’avversario Odinga abbassare i toni dello scontro tra i due schieramenti politici poiché un nuovo scoppio delle tensioni interne non solo danneggerebbe irrimediabilmente entrambi i contendenti, ma getterebbe, come nel 2007, il Kenya di nuovo nel caos.
Giulio Giomi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
La Corte Penale Internazionale ha sede all’Aja nei Paesi Bassi e giudica individui che hanno commesso crimini di guerra, genocidio e altri crimini contro l’umanità sia in qualità di organo statale sia come privati cittadini. Lo Statuto di Roma, entrato in vigore nel 2002, è il trattato costitutivo della Corte ed è stato ratificato da 124 paesi. Recentemente, il Kenya ha definito la Corte Penale Internazionale irrispettosa verso la sovranità nazionale del Paese e non ha escluso di recedere dallo Statuto di Roma. Tale iniziativa è stata già intrapresa dal Sud Africa, Gambia e Burundi.[/box]
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