In 3 sorsi – Il summit tra Trump e Xi Jinping della settimana scorsa sembra aver aperto la strada verso un mondo trilaterale, in cui la Cina è chiamata ad aggiungere alle speranze di giustizia e di pace l’anelito all’armonia
1. IL PRIMO INCONTRO TRA I DUE GRANDI – Il summit tra Donald Trump e Xi Jinping si è tenuto il 6 e 7 aprile a Mar-a-Lago, vicino Palm Beach, tradizionale residenza estiva dei Presidenti americani acquistata negli anni ’80 da un miliardario che, ironia della sorte, sarebbe diventato, a sua volta, Presidente. Il confronto tra The Donald e il Figlio del Cielo capitalcomunista, che da Davos sostiene il libero commercio e la globalizzazione, ma coerentemente al ruolo di “Paese in via di sviluppo responsabile”, viene incentrato sui problemi bilaterali, destinati a riflettersi sia sugli spazi regionali che sugli orizzonti globali. Due Presidenti potenti e lontani, avvicinati da interessi divergenti per scelta, ma convergenti per necessità.
La prima discussione si è aperta sugli accordi di libero scambio, declinati da un’economia dirigista, condotta oggi dal XIII Piano quinquennale, un tema “caldo”, reso rovente dalle minacce protezionistiche, paventate durate la campagna elettorale americana, aggravate da accuse riguardanti i giochi finanziari messi in campo utilizzando lo yuan come propulsore dell’export cinese. L’economia rimane sul tappeto e se ne riparlerà in Cina, quando il leader cinese accoglierà il tycoon statunitense.
Il secondo argomento di conversazione sul taccuino della Casa Bianca ha avuto per oggetto Taiwan, senza mettere in discussione la politica dell’unica Cina, conditio sine qua non per mantenere rapporti diplomatici con Pechino. L’establishment a stelle e strisce (con i suggerimenti di Henry Levice, un consulente dell’Albright Stonebridge Group) ha sicuramente rappresentato al neo-Presidente USA le circostanze diplomatiche, politiche e soprattutto storiche che fanno della Cina, da millenni, un continuum unitario, ed il neo-eletto è stato in poco tempo convinto a tornare sui suoi passi, anzi sulle sue telefonate.
La Corea del Nord ha rappresentato un argomento ancora più scottante sul tavolo dei due grandi, per il programma nucleare di Kim Jong-Un e i periodici lanci di missili balistici che minacciano tutto il Pacifico, a partire dai confini segnati dal ponte sul fiume Yalu fino probabilmente alle più remote coste americane, e che stanno esaurendo la pazienza strategica americana. Le decise affermazioni di Trump, diffuse dai twitter e soprattutto dal Financial Times, con cui si prende in considerazione un risolutivo intervento militare, sono per ora sostenute dallo schieramento, nel sud della penisola, del sistema anti-missilistico THAAD, prodromo di ulteriori soluzioni, veicolate come radicali dal Segretario di Stato Rex Tillerson. Non è facile trovare delle modalità di approccio che soddisfino da parte cinese la necessità di porre un freno serio e sostanziale all’arroganza del regime nordcoreano, non dimenticando completamente il ruolo di paladina dei Paesi poveri, di cui la Corea rappresenta un esempio tanto più drammatico quanto dimenticato, unico Paese artificialmente diviso da logiche spartitorie ed espansionistiche, coniugate con interessi economici e intrecciate con la storia di un Paese per secoli vassallo dell’Impero Celeste, la cui stabilità è funzionale all’equilibrio politico ed economico della RPC. D’altra parte il Governo di Pechino si presenta come l’unico in grado di far ragionare i nordcoreani, riducendo le esportazioni di carbone e altri tipi di sostegno economico, per una posta in palio molto alta: un ammorbidimento sul fronte commerciale in cambio di un irrigidimento su quello nucleare.
In questo quadrante si gioca poi anche la partita del Mar Cinese Meridionale, in cui il Governo della RPC rivendica vaste aree che si vanno ad accavallare ai mari territoriali e alle zone economiche esclusive dei principali Paesi della zona, in particolare le Filippine di Rodriguo Duterte, alleato (ma non troppo) di un’America che Trump vorrebbe alleggerire dagli impegni internazionali. Questa questione, sovente connessa con i problemi dello sfruttamento delle risorse ittiche e la protezione ambientale, si somma a quella che ha portato all’accordo sul clima, i cui impegni presi alla conferenza ONU di Parigi verranno invece disattesi dalla nuova amministrazione americana.
Fig. 1 – Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Presidente cinese Xi Jinping si fanno immortalare dai fotografi presso la tenuta di Mar-a-Lago, 7 aprile 2017
2. SORPRESE E MINACCE – Ma questo summit, definito “molto arduo”, per le paventate guerre nucleari, convenzionali e commerciali, ha preso una piega inaspettata la notte del 6 aprile, con la decisione di Trump, prontamente e gentilmente comunicata al proprio ospite, di lanciare 59 missili Tomahawk sulla base siriana di Shayrat da cui, ma sicuro non è, è stato lanciato un attacco chimico a Khan Sheikhoun su civili inermi e tanti bambini. Dall’epoca di Saddam ancora si cercano armi chimiche, ma se i gas non si vedono se ne vedono gli effetti, sui volti disperati di uomini impotenti che abbracciano piccoli corpi smagriti e senza vita. Il mondo in fondo è stanco di guerre ma anche di aggressioni e Trump se ne fa portavoce, in realtà aggredendo a sua volta. Ma le questioni si complicano e intersecano. La contemporaneità degli eventi e la scelta del momento lasciano interdetti come l’avallo, in un certo qual modo, dato dal Dragone alla decisione della Casa Bianca. Insieme ai cinesi è stata avvisata la grande madre Russia, e si è evitato di colpirne i suoi figli, così appena il governo cinese ha stigmatizzato, un paio di giorni dopo, la minaccia all’integrità territoriale siriana, l’agenzia TASS non ha tardato a far rimbalzare la notizia. Insomma la Cina si mantiene equidistante. Nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, immediatamente convocato, ed a porte aperte, non sono mancate i biasimi per l’azione di Trump, accusato di dare una stridente frenata ad un già difficile processo di pace. Washington ha ribattuto accusando Mosca di complicità nell’attacco, un vero e proprio crimine di guerra, l’ennesimo di Bashar al Assad. L’invito è quello di tagliare i legami col sanguinario dittatore, per stroncare alla radice il terrorismo e far prevalere la giustizia, la pace e l’armonia. Parola di Trump.
Fig. 2 – Civili siriani sulla scena di un recente bombardamento aereo nell’area di Idlib, 10 aprile 2017
3. GIUSTIZIA, PACE E ARMONIA – Di giustizia e pace si parla dalla nascita degli States, ma il termine armonia, sillabato da Trump, appare un omaggio agli ideali politici del confucianesimo, ripescati e veicolati dai leader della RPC, nella prospettiva della costruzione di una società equilibrata, orientata verso il benessere collettivo, armoniosa (和谐社会 “héxiéshèhuì”), che non solo forgia il socialismo con caratteristiche cinesi, ma è chiamata da oggi a contribuire all’armonia del mondo globalizzato. Così questo attacco iniziato come velata minaccia, che profetizza piogge di missili dal Medio all’Estremo Oriente, per riprendere le redini di un cavallo impazzito, il mondo multilaterale, accompagnerà l’alba di un nuovo giorno, quello di un mondo trilaterale Cina-Russia-USA? Solo la storia ce lo dirà…
Fig. 3 – Veduta aerea del fiume Yalu dalla finestra di un aereo Tupolev Tu-204 diretto verso l’aeroporto di Pyongyang
Elisabetta Esposito Martino
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Durante la campagna elettorale Trump aveva rassicurato gli americani che avrebbe posto fine all’invasione delle merci cinesi. Dopo il summit, durante il quale più fonti hanno dichiarato che si è parlato solo di business, si sono invece aperti molteplici spiragli, volti a raccordare la necessità dell’export da parte della RPC, che ha bisogno del mercato americano, con quella dell’import, necessario alle famiglie americane, appena uscite dalla crisi, alle quali è funzionale l’accesso a merci a basto costo per tentare di far risalire il tenore di vita. Le prospettive poi di un finanziamento cinese del consistente progetto di infrastrutture del nuovo Presidente americano potrebbero indurre i due Paesi ad una più fattiva collaborazione, a fronte di indubbi e reciproci vantaggi economici. [/box]
Foto di copertina di romanboed rilasciata con licenza Attribution License