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Iran, l’ombra di Ahmadinejad sulle presidenziali

Mahmoud Ahmadinejad ha cercato di ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali in Iran, ma il Consiglio dei Guardiani ha bocciato la sua iniziativa

AHMADINEJAD, IL RITORNO – Per mesi l’ex Presidente Mahmoud Ahmadinejad ha assicurato di non avere alcuna intenzione di ricandidarsi alla Presidenza dell’Iran. Improvvisamente, circa una settimana fa, ha invece presentato formale richiesta di candidatura. Il 21 aprile, però, dall’Iran è giunta la notizia della decisione del potente Consiglio dei Guardiani, di non accettare la candidatura dell’ex Presidente e di squalificare Ahmadinejad dalla tornate elettorale di maggio. Perché questa decisione? Per comprenderla, bisogna capire le ragioni che hanno portato lo stesso Ahmadinejad a tentare una nuova scalata al potere.
Che l’ex-Presidente puntasse a recuperare posizioni di rilievo all’interno dell’amministrazione non è una novità, tuttavia le condizioni nelle quali la sua candidatura ha preso forma, erano molto diverse dal passato. Esiste, infatti, un rapporto di grande tensione fra lui e la Guida Suprema Ali Khamenei. Ricordiamo che, nella parte finale del suo secondo mandato da Presidente, Ahmadinejad è stato accusato di rappresentare una minaccia alla sicurezza del sistema politico iraniano, in quanto ha cercato di favorire i suoi alleati (più legati al mondo economico-industriale che a quello religioso fino a quel momento dominante) e di voler ambire a cancellare la figura del Rahbar – la Guida Suprema – per rendere l’Iran una sorta di Repubblica Presidenziale.
In questo aspetto, la decisione dell’ex presidente ha delle analogie con l’ascesa al potere di Trump. Ovviamente non è realistica una vera comparazione fra i due leader o fra i due sistemi politici, ma anche Ahmadinejad di fatto ha puntato ad essere l’outsider che scardina gli equilibri di potere precedenti, guadagnando la vittoria grazie al consenso popolare e al sostegno di alcuni gruppi economici.
Anche alcune strategie, prima fra tutti l’uso mediatico della propaganda, sono simili. Poco prima di annunciare la sua candidatura, infatti, l’ex Presidente ha annunciato di aver scritto una lettera a Trump e ha deciso di aprire un account Instagram.

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Fig. 1  – Ahmadinejad durante un discorso a Bursa (2015)

LE FONDAMENTA DELLA CANDIDATURA – A onor di cronaca, bisogna dire che Ahmadinejad ha annunciato di aver deciso di candidarsi per sostenere Hamid Baqaei, Vice Presidente durante il suo mandato, anche lui candidato rifiutato dal Consiglio dei Guardiani per le elezioni presidenziali di maggio. Una giustificazione anomala e, chiaramente, poco credibile.
La notizia della candidatura di Ahmadinejad, ha fatto subito infuriare un establishment conservatore iraniano estremamente diviso al suo interno. I cosiddetti Principalisti, la fazione da cui proveniva lo stesso Ahmadinejad, non sono riusciti sinora a trovare un candidato unico da opporre a Rouhani, ed è qui che l’ex-Presidente sperava di trovare spazio politico.
Il primo a non aver gradito, ovviamente, è stato proprio Khamenei. Egli era perfettamente cosciente che, quella lanciata da Ahmadinejad, rappresentava una sfida all’intero sistema della Velayat-e Faqih – il Potere del Giureconsulto – e in primis alla Guida Suprema e al Consiglio dei Guardiani. Sono queste due realtà, infatti, a controllare il sistema politico iraniano e decidere chi entra o no all’interno del sistema di potere.
Ma c’è dell’altro; Rouhani stesso è in difficoltà, per via della disillusione nei confronti dell’accordo sul nucleare, che non ha portato né a una rimozione totale delle sanzioni a Teheran né a una parziale distensione con gli USA. Al contrario, le prime mosse dell’amministrazione Trump sono andate in senso diametralmente opposto, con il prolungamento delle sanzioni e il “Muslim ban” contro i viaggiatori provenienti dall’Iran. Mosse che hanno inevitabilmente rafforzato discorsi nazionalisti e dato nuovamente fiato al fronte dei conservatori. Il tentato ritorno di Ahmadinejad deve essere interpretato anche alla luce di questi fatti: non si sarebbe certo ripresentato se non avesse visto un’opportunità favorevole nel riaccendersi delle tensioni con l’Occidente e nelle frustrazioni post-accordo nucleare.
Rigettando i “consigli” di Khamenei di desistere, Ahmadinejad ha puntato a scavalcare ogni barriera formale esistente nel sistema di governo khomeinista, contando su un elettorato provinciale, ancora fortemente colpito dalla crisi economica e dalla disoccupazione e che in passato gli era molto favorevole.
Ovviamente, Ahmadinejad era consapevole che, proprio la sfida da lui lanciata al sistema, gli avrebbe provocato delle conseguenze giudiziarie e la probabile squalifica da parte del Consiglio dei Guardiani (poi avvenuta), oltre che l’ostilità degli alti gradi dei Pasdaran, che in lui vedono una minaccia al proprio potere politico-economico. Non è quindi detto che la sua passata popolarità, quando godeva dei favori della Guida Suprema, esista ancora oggi che ne è avversato.

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Fig. 2 – La Guida Suprema pronuncia un discorso davanti a rappresentanti delle forze armate iraniane

AHMADINEJAD, I PUNTI A FAVORE – Paradossalmente però, tale ostilità potrebbe essere proprio ciò che l’ex Presidente iraniano sta cercando per ergersi a paladino di un sistema che sta per andare incontro al suo momento più fragile.
Ali Khamenei, infatti, è anziano, ed è noto che fisicamente non stia bene. La questione della successione all’attuale Guida Suprema rappresenterà pertanto il momento centrale del futuro prossimo della Repubblica Islamica dell’Iran. In questo “periodo di attesa”, quindi, ogni fazione del regime prova a giocare le sue carte e Ahmadinejad, chiaramente, punta a riportare in auge il suo progetto di qualche anno fa. Vero, il personaggio ha una visione ideologica estremista, ma ha anche dimostrato un discreto pragmatismo durante il suo periodo alla presidenza della Repubblica Islamica; nella sua visione prospettica, una lettura millenaristica della religione – che, incentrata sul ritorno del Mahdi, l’Imam Nascosto, di fatto non concede spazi a intermediari religiosi – rappresenta un fondamentale strumento per sconvolgere il sistema politico iraniano:  esso vuole sostituire il sistema di potere da uno incentrato sull’establishment religioso a uno più laico dove lo stesso Ahmadinejad avrebbe, di fatto, un potere meno limitato e meno dipendente dal clero sciita.

Per ora, però, il suo disegno è stato bloccato dalla reazione energica del Consiglio dei Guardiani. In tal senso sarà interessante vedere verso chi andranno i voti inizialmente ascritti ad Ahmadinejad e Baqaei – voti potenzialmente decisivi per la corsa presidenziale di maggio. Di certo non andranno al fronte riformista di Rouhani, ma non è affatto detto che confluiranno a favore di Ebrahim Raisi, stretto collaboratore di Khamenei e candidato istituzionale dello schieramento conservatore. Più probabile invece che andranno a sostegno di Mohammad Bagher Ghalibaf, il popolare sindaco di Teheran, trasformando la prossima tornata elettorale in una complessa e affascinante partita a tre.

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Il concetto di Velayat-e Faqih (governo/potere del giureconsulto) è stato il principio fondante introdotto da Khomeini per trasformare il Paese dopo la caduta dello Shah nel 1979. In breve esso prevede che il potere non risieda in strutture politiche laiche, che avevano fallito il loro compito di portare benessere alla popolazione, ma in organi religiosi che, tramite la loro conoscenza e saggezza, possano guidare il Paese. Di fatto esso istituisce la teocrazia in Iran. Per ulteriori dettagli al riguardo vi consigliamo il libro “L’Iran contemporaneo” di Riccardo Redaelli (ed.Carocci). [/box]

Foto di copertina di D-Stanley Licenza: Attribution License

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