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I sei giorni di guerra che cambiarono Israele e il Medio Oriente

In 3 sorsi Il 5 giugno 1967 l’attacco preventivo di Israele contro i Paesi arabi segna l’inizio del terzo conflitto arabo-israeliano. Sei giorni dopo il Medio Oriente è radicalmente cambiato. La schiacciante vittoria israeliana comporta il tramonto del panarabismo e una drammatica espansione dello Stato ebraico. A esattamente 50 anni dal conflitto molti problemi rimangono però ancora aperti

1. LA GUERRA DEI SEI GIORNI – All’inizio del giugno del 1967 la tensione in Medio Oriente era altissima. I rapporti tra Israele e i Paesi vicini erano sempre stati pessimi sin dalla prima guerra arabo-israeliana del 1948-49. Tuttavia nei mesi e nelle settimane precedenti il conflitto la situazione era peggiorata notevolmente. Il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser aveva intimato ai caschi blu dell’ONU di ritirarsi dal Sinai, schierato le sue forze nella penisola e chiuso gli stretti di Tiran, un passaggio vitale per le navi israeliane. Ancora oggi non è chiaro se Nasser e/o i suoi alleati siriani volessero davvero la guerra o fossero inclini solo alla provocazione, contando su un’eventuale azione moderatrice degli USA nei confronti di Israele. Sta di fatto che gli israeliani formarono un governo di unità nazionale, che optò per un’azione preventiva contro l’Egitto. Il piano scattò alle 7.10 del mattino (ora locale) del 5 giugno 1967. L’attacco preventivo israeliano distrusse a terra la quasi totalità dell’aviazione egiziana. Le forze armate del Cairo, prive di copertura aerea, furono spazzate via. Nasser convinse Siria, Iraq e Giordania (che controllava Gerusalemme Est e la Cisgiordania) a intervenire a fianco dell’Egitto. Ma le sorti della guerra volsero rapidamente a favore dello Stato ebraico. Il 6 giugno l’esercito egiziano era già in rotta, mentre il giorno seguente Israele conquistava Gerusalemme Est e la Cisgiordania. Il 9 giugno gli israeliani controllavano il Sinai, erano sulle sponde del Canale di Suez e, sul fronte siriano, occupavano le alture del Golan. La disfatta araba fu totale. A questo punto l’Unione Sovietica minacciò di intervenire direttamente a fianco degli alleati arabi, mentre gli Stati Uniti premettero su Israele affinché accettasse un cessate-il-fuoco. L’11 giugno venne concordato l’armistizio: la guerra dei sei giorni era finita.

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Fig. 1 – Paracadutisti israeliani al Muro del Pianto, 9 giugno 1967

2. LE CONSEGUENZE – In meno di una settimana il Medio Oriente era cambiato in modo radicale. L’esistenza dello Stato di Israele, incerta fino a pochi giorni prima, non era piĂą a rischio: un risultato giĂ  di per sĂ© straordinario per la sua popolazione. La vittoria di Israele era schiacciante: lo Stato ebraico aveva perso poche centinaia di uomini, gli Stati arabi invece circa 20.000; il territorio di Israele era triplicato, ottenendo la tanto agognata (e insperata) “profonditĂ  strategica”, che allontanava l’incubo della distruzione da parte dei Paesi arabi; il Muro del Pianto, uno dei luoghi sacri piĂą importanti dell’ebraismo, e molti altri siti storici e religiosi altamente significativi erano sotto controllo israeliano; Gerusalemme era saldamente in mani israeliane; l’alleanza Washington-Tel Aviv ne usciva rafforzata. Ma alla vittoria militare non corrispose la pace. I Paesi arabi, umiliati dalla disfatta, fecero della rivincita un’ossessione. PiĂą di un milione di palestinesi erano sotto occupazione e da quel momento è iniziato un contrasto non solo pratico ma anche di recriminazioni reciproche, dove entrambe le parti legittimano le proprie azioni incolpando l’altro dei problemi: una visione di delegittimazione reciproca che non ha mai aiutato (e non aiuta ora) l’eventuale risoluzione, e dove l’estremismo, in varie forme, risulta lo stile di vita dominante. Il 22 novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione 242, che prevedeva la restituzione dei territori conquistati durante il conflitto in cambio del riconoscimento arabo di Israele. Solo dopo un’ulteriore guerra arabo-israeliana, avvenuta nel 1973, fu possibile applicare questo schema, peraltro limitatamente all’Egitto (vedi il chicco in piĂą). Le conseguenze del conflitto furono però, se possibile, ancora piĂą ampie. Nasser sopravvisse alla disfatta grazie al suo immenso patrimonio di credibilitĂ  e carisma, ma il panarabismo, l’ideologia che aveva pervaso il mondo arabo all’indomani della seconda guerra mondiale, era finito. La vittoria israeliana permise poi agli Stati Uniti d’America di aumentare la propria influenza in Medio Oriente, ponendo le basi per ridurre drasticamente la presenza sovietica nella regione nel corso del decennio successivo.

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Fig. 2 – Il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser

3. E OGGI? – La vittoria nella guerra dei sei giorni si è rivelata ambigua per Israele. Da una parte infatti lo Stato ebraico ha consolidato la sua presenza in Medio Oriente e raggiunto una posizione di forza da cui trattare con i suoi vicini arabi. D’altra parte, tuttavia, la portata del trionfo ha risvegliato in alcuni segmenti dell’opinione pubblica dello Stato ebraico il sogno di un “Grande Israele”, che abbracci anche Giudea e Samaria (la denominazione ebraica della Cisgiordania). L’occupazione israeliana di questi territori a maggioranza palestinese a lungo andare ha logorato l’immagine internazionale del Paese e, soprattutto, ha messo a rischio la sua stessa sopravvivenza come Stato democratico ed ebraico. Oggi i rapporti con i vicini arabi (ad eccezione della Siria e, parzialmente, del Libano) appaino di fatto normalizzati, soprattutto a causa del fatto che i Paesi arabi preferiscono concentrare l’attenzione contro altri attori regionali quali, soprattutto, l’Iran. Il problema si pone soprattutto in relazione alla popolazione palestinese presente all’interno della Cisgiordania, che vive in un limbo politico e giuridico. A partire dal 1967 diversi sono stati i tentativi di risolvere, in un modo o nell’altro, la situazione, ma nessuno ha avuto il successo sperato. Di conseguenza molti dei problemi creati dalla guerra dei sei giorni ormai 50 anni fa rimangono ancora oggi irrisolti.

Davide Lorenzini

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Gli accordi di Camp David del settembre del 1978 tra il premier israeliano Menachem Begin e il Presidente egiziano Anwar al-Sadat, mediati dal Presidente USA Jimmy Carter, sancirono il riconoscimento del Cairo dello Stato di Israele e la restituzione da parte dello Stato ebraico della penisola del Sinai all’Egitto. Era la prima volta che un Paese arabo riconosceva lo Stato ebraico e firmava con esso un trattato di pace. Per Israele fu un grande successo diplomatico, che permise di mettere in relativa sicurezza la frontiera con il più potente (e pericoloso) dei suoi vicini. Per l’Egitto si trattò di un passaggio obbligato per riottenere la strategica penisola del Sinai e per consolidare i rapporti con gli USA.

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Fig.3 – Una storica immagine degli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto

Foto di copertina di Luciano Bosticco Licenza: Attribution-NoDerivs License

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Davide Lorenzini
Davide Lorenzini

Sono nato nel 1997 a Milano, dove studio Giurisprudenza all’Università degli Studi. Sono appassionato di politica internazionale, sebbene non sia il mio originario campo di studi (ma sto cercando di rimediare), e ho ottenuto il diploma di Affari Europei all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano. Nel Caffè, al cui progetto ho aderito nel 2016, sono co-coordinatore della sezione Europa, che rimane il mio principale campo di interessi, anche se mi piace spaziare.

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