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Myanmar: l’ombra del Jihad sui Rohingya

RistrettoNegli ultimi giorni non sono infatti mancate continue dichiarazioni di esponenti o simpatizzanti della galassia jihadista a sostegno di tale minoranza etnica preseguitata dal Governo birmano

Khaled Batarfi, figura di spicco di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), ha invitato ad esempio i membri del suo gruppo a organizzare attacchi contro le autorità birmane, difendendo i “fratelli” Rohingya dai “nemici di Allah”. Nel frattempo diversi gruppi radicali indonesiani hanno attaccato duramente sia il Presidente Widodo che la minoranza cinese del proprio Paese, accusandoli di complicità con le politiche repressive di Naypyidaw. Purtroppo tali attacchi sembrano essere solo il preludio a una vera e propria campagna d’odio contro la comunità buddista indonesiana, simile a quella che ha portato recentemente alla rovina politica dell’ex Governatore cristiano di Giacarta Ahok. Gli islamisti stanno infatti organizzando una grande marcia provocatoria a Borobudur, sede del più grande tempio buddista dell’Indonesia, e minacciano ulteriori dimostrazioni di forza contro Governo e minoranze religiose, visti come parti attive del “genocidio” in atto contro i Rohingya nel Rakhine. Alcuni di loro hanno persino proposto di lanciare una jihad contro Myanmar, generando nuove preoccupazioni sulla crescente radicalizzazione politico-religiosa della società indonesiana.

La propaganda islamista sull’attuale crisi in Myanmar è accompagnata da una massiccia diffusione di notizie e foto false su Internet che alimenta l’indignazione e la rabbia dell’opinione pubblica musulmana. Vecchi video di elicotteri americani impegnati in esercitazioni di routine, ad esempio, vengono fatti passare per quelli di elicotteri birmani coinvolti nei rastrellamenti dei Rohingya, mentre immagini di atrocità e violenze relative ad altri conflitti in Asia vengono riciclate e spacciate per quelle delle violenze anti-musulmane dei militari birmani. Difficile dire se si tratti di una campagna orchestrata a tavolino o di un fenomeno provocato dall’assenza di notizie attendibili sugli eventi nel Rakhine. In ogni caso è uno sviluppo estremamente preoccupante e la sua influenza non si ferma solo al Sud-est asiatico. È il caso della Cecenia, storica patria del jihadismo caucasico, dove ci sono state grandi manifestazioni popolari a sostegno dei Rohingya e dichiarazioni pesantissime del Presidente Ramzan Kadyrov all’indirizzo del Governo birmano. Lo stesso Vladimir Putin è dovuto intervenire direttamente per calmare le acque (e salvaguardare i suoi promettenti rapporti politico-economici con Myanmar) emettendo un vago comunicato di condanna delle violenze nel Rakhine. Ma questo espediente potrebbe funzionare poco e contribuire a ravvivare la fiamma mai spenta dell’estremismo ceceno, diretta stavolta verso oriente.

La “discesa in campo” dell’Islam radicale rischia quindi di trasformare il Rakhine in un punto di attrazione irresistibile per organizzazioni come ISIS e Al Qaeda, aprendo un altro fronte di guerra jihadista nel Sud-est asiatico dopo quello nel Mindanao. E si tratta di un fronte ancora più pericoloso di quello filippino perchè a contatto diretto con il nazionalismo buddista più radicale, principale responsabile delle violente campagne anti-musulmane in Myanmar. Già decimati dai militari e costretti alla fuga in Bangladesh, i Rohingya potrebbero dunque finire schiacciati in un brutale scontro tra opposti estremismi.

Simone Pelizza

Foto di copertina di AK Rockefeller Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Simone Pelizza
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Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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