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Terremoto politico in Catalogna

In 3 sorsi Il referendum di domenica, tenutosi nel caos e in un’atmosfera insurrezionale, ha visto prevalere i sì all’indipendenza della Catalogna. Per il premier spagnolo Rajoy e per Madrid il risultato è disastroso. Ma la strada per l’indipendenza catalana rimane in salita. I rischi per la Spagna e per l’intero continente sono enormi. Le cautele e l’imbarazzo dell’Europa

1. IL REFERENDUM – Domenica 1° ottobre si è tenuto in Catalogna un contestatissimo referendum, convocato dal Governo regionale catalano (Generalitat) sfidando l’opposizione dell’esecutivo di Madrid e dei tribunali spagnoli (vedi il chicco in più). Il voto si è tenuto in un contesto di totale caos: irruzioni delle forze dell’ordine nei seggi, tafferugli, linee internet tagliate, corse degli elettori ai seggi non ancora sigillati dalla polizia, insubordinazione della polizia catalana e barricate nelle strade. Il voto, su cui pesano dubbi viste le condizioni del voto, ha visto recarsi alle urne 2.262.000 cittadini catalani (su un corpo elettorale di 5.300.000 persone). I sì sono stati 2.020.000 (90%), mentre i no 176.000 (7,8%). L’affluenza non ha quindi superato il 50%, ma, visti i presupposti e lo sviluppo della giornata di domenica, gli indipendentisti, guidati dal Presidente della Generalitat Carles Puigdemont, sembrano avere ottenuto un pieno successo, amplificato dal disastro di immagine e politico del Governo spagnolo.

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Fig.1 – La giornata del referendum è stata caratterizzata da scontri in tutta la Catalogna

2. E ADESSO? – Il premier conservatore spagnolo Mariano Rajoy ha perso la sua scommessa. Aveva solennemente promesso che il referendum non si sarebbe mai tenuto, ma le forze di polizia (circa 10.000 uomini della Guardia Civil e della Policía Nacional) dispiegate dallo Stato centrale in Catalogna non sono riuscite a impedire che la consultazione si svolgesse, pur con enormi problemi e dubbi sulla regolarità delle procedure. Soprattutto, il premier spagnolo aveva sottovalutato la capacità di mobilitazione e la determinazione degli indipendentisti catalani o, meglio, di quella parte di società catalana che voleva un referendum per esprimersi sull’indipendenza. La giornata di domenica ha quindi visto scontri e tafferugli, finiti con centinaia di feriti e l’inquietante impressione che la Catalogna fosse sull’orlo dell’insurrezione popolare. Solo la reazione sostanzialmente pacifica dei catalani ha impedito che la situazione degenerasse in maniera definitiva e incontrollabile. Ora l’attenzione si appunta sui prossimi passi di Madrid e Barcellona. La legge del referendum approvata dal Parlamento regionale catalano prevede che, in caso di vittoria del fronte indipendentista, l’indipendenza della Catalogna sia dichiarata entro 48 ore. Il timore che serpeggia a Madrid (e non solo) è che un’eventuale secessione catalana apra la strada alla balcanizzazione della Spagna. Nessun governante spagnolo può dunque accettare a cuor leggero la perdita della regione più ricca del Paese. In molti sperano in re Felipe VI di Borbone per risolvere la crisi, sebbene la sua immagine in Catalogna sia compromessa. Il premier Rajoy ne esce comunque ampiamente screditato, anche agli occhi dell’opinione pubblica spagnola: la sua gestione disastrosa della questione catalana, ma anche dell’ordine pubblico, ha aggravato una crisi che poteva forse essere contenuta con un approccio più flessibile e lungimirante. Ora Madrid potrebbe decidere di attivare, per la prima volta nella storia, l’art.155 della Costituzione spagnola del 1978 e sospendere l’autonomia catalana, in un ultimo e drastico (ma potenzialmente esplosivo) tentativo di impedire la secessione.

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Fig.2 – Il premier spagnolo Mariano Rajoy

3. IL RUOLO DELL’EUROPA – Le capitali europee e la stessa Unione Europea hanno scelto sostanzialmente di considerare la questione catalana un affare interno alla Spagna e di sostenere la legalità (e quindi la tesi, peraltro fondata, dell’illegittimità del referendum). Ora gli indipendentisti catalani sperano in una mediazione europea che tolga loro stessi e Madrid da una situazione scomodissima e in apparenza senza agevoli vie di uscite. La giornata di domenica ha comunque segnalato la presenza di un’altra bomba a orologeria innescata nel cuore dell’Europa e dell’UE. Quasi ogni Paese europeo ha infatti delle minoranze che rivendicano maggiori autonomie (quando non l’indipendenza). Sancire l’indipendenza della Catalogna rischierebbe quindi di aprire un vaso di Pandora e indebolire gli Stati nazionali del vecchio continente, oltre a stravolgere il delicato equilibrio geopolitico della penisola iberica. È quindi comprensibile che i Paesi europei siano riluttanti a intervenire. Tuttavia l’approccio che Bruxelles e gli altri Stati europei hanno tenuto fino ad ora (fare finta di niente e derubricare la vicenda a questione interna della Spagna) non è più sostenibile. Barcellona e Madrid hanno chiaramente bisogno di aiuto per cercare di uscire da una crisi che rischia di avere conseguenze gravi e durature per l’intero continente europeo.

Davide Lorenzini

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Fig.3 – Il Presidente del Governo regionale catalano Carles Puigdemont

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Il referendum era stato ritenuto illegittimo dal Tribunale costituzionale spagnolo. La Costituzione del 1978 infatti tutela espressamente l’unità della nazione spagnola e, di contro, non conferisce alcun diritto di indire referendum per l’indipendenza al Governo regionale catalano. [/box]

Foto di copertina di Jo@net Licenza: Attribution License

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Davide Lorenzini
Davide Lorenzini

Sono nato nel 1997 a Milano, dove studio Giurisprudenza all’Università degli Studi. Sono appassionato di politica internazionale, sebbene non sia il mio originario campo di studi (ma sto cercando di rimediare), e ho ottenuto il diploma di Affari Europei all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano. Nel Caffè, al cui progetto ho aderito nel 2016, sono co-coordinatore della sezione Europa, che rimane il mio principale campo di interessi, anche se mi piace spaziare.

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