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Madrid vs. Barcellona: chi ha ragione?

Non è una partita di calcio, ma qualcosa di molto più serio. Il referendum in Catalogna ha suscitato un ampio dibattito all’interno della nostra redazione: non abbiamo una risposta univoca su chi abbia ragione, ma abbiamo pensato di condividere con voi le nostre riflessioni

UNO SGUARDO AI NUMERI: COME INTERPRETARE I RISULTATI? – I votanti al referendum catalano sono stati approssimativamente 2,2 milioni su 5,3 (41% degli aventi diritto). Ovviamente i “sì” hanno prevalso nettamente con il 90% circa. Il fatto che la Guardia Civil sia intervenuta lascerà sempre il dubbio che chi non ha votato lo abbia fatto per paura, mentre in un clima diverso magari i numeri sarebbero stati comunque gli stessi. Certo è che non si può proclamare l’indipendenza quando vota solo il 41%. La Catalogna ha dichiarato che i 400 seggi chiusi dalla polizia sarebbero stati corrispondenti a 770mila aventi diritto circa. Se si aggiungono questi ai 2,2 milioni di votanti si arriverebbe a 3 milioni che corrispondono a circa il 56% degli aventi diritto. Va detto che alcuni elettori si sono spostati andando a votare nei seggi dove ci sono stati minori interferenze (o nessuna) da parte della Guardia Civil. Certo, è tutto ipotetico, ma questo sarebbe il best case scenario numerico per gli indipendentisti.

Emiliano Battisti

MADRID INCAPACE DI GESTIRE – La scelta del Governo spagnolo di usare la forza contro il referendum catalano è stata inutile e controproducente. Inutile perché non ha comunque impedito lo svolgimento delle operazioni elettorali e una consistente partecipazione popolare al voto. E controproducente perché non ha fatto altro che infiammare gli animi dei catalani, compresi quelli contrari alla causa indipendentista, e rovinare mediaticamente l’immagine della Spagna a livello internazionale. Le scene di militi della Guardia Civil in tenuta anti-sommossa che picchiano anziani e studenti inermi sono infatti destinate a lasciare una macchia profonda sulla reputazione democratica del Governo spagnolo. E fanno passare in secondo piano i torti del Governo catalano, che ha indetto unilateralmente un referendum indipendentista attraverso procedure legali e politiche molto discutibili.

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Fig. 1  – Il Premier spagnolo Mariano Rajoy 

Il Governo di Mariano Rajoy si è dimostrato incapace di gestire la situazione e, temendo forse una massiccia partecipazione popolare al referendum, ha optato per un ritorno neanche troppo velato ai metodi del regime franchista. Non a caso su Internet cominciano a circolare diverse foto che mostrano le inquietanti somiglianze tra le azioni di ieri della Guardia Civil contro i votanti al referendum e quelle della polizia spagnola contro i manifestanti pro-democrazia negli anni ’60 e ’70. Di sicuro non si tratta di reminiscenze piacevoli per un Paese che non ha mai fatto davvero i conti con la tragedia della guerra civile e la brutalità della dittatura del Caudillo.
La difesa governativa della repressione anti-referendum appare poco credibile. Di sicuro non si difende lo “Stato di diritto” a manganellate e per quanto il referendum potesse essere illegale la scelta di reprimerlo con la forza ha finito indirettamente per legalizzarlo agli occhi di parte della popolazione catalana. Ora le conseguenze promettono di essere assai gravi: la spaccatura tra Madrid e Barcellona appare infatti più profonda di prima e il rischio di un’escalation violenta tra separatisti e Stato centrale è reale. Il silenzio pro-Madrid della UE, dettato da ragioni diplomatiche e strategiche, non aiuta certo a stemperare gli animi e espone Bruxelles agli attacchi mediatici di Russia e Turchia, che possono accusare i leader europei di ipocrisia per le critiche rivolte alle proprie repressioni anti-secessioniste e i silenzi complici verso quelle dei propri Stati membri. Molti puntano sull’appeal unitario della monarchia spagnola per risolvere la crisi, ma Felipe VI è stato sinora un sovrano piuttosto inconsistente e la stessa istituzione monarchica appare in crisi di popolarità a causa dei tanti scandali degli anni passati. Il re non farà quindi miracoli e l’unica speranza è che le teste “fredde” prevalgano su quelle “calde” sia a Madrid che in Catalogna, riportando la questione all’interno di una difficile ma pacifica trattativa politica.
La vicenda catalana rilancia il dibattito sull’utilità dello strumento referendario per risolvere complessi conflitti di identità, storia, cultura e interessi economici. Di sicuro il referendum, con le sue scelte semplici e assolute, appare il mezzo meno indicato per decidere il futuro politico di Paesi variegati e complessi come Spagna e Regno Unito. Molto meglio negoziati diretti tra le parti che possono portare a soluzioni di compromesso o a forme ordinate di “separazione” statale. Il referendum infiamma solo gli animi, accresce le tensioni, fornisce soluzioni illusorie e rischia persino di provocare scelte scellerate come quelle del Governo madrileno in Catalogna. Bisogna quindi smetterla di vederlo come la panacea per i mali della democrazia contemporanea. È uno strumento potente ma pericoloso, e va usato con estrema cautela.

Simone Pelizza

PEGGIO DELLA BREXIT? – L’Unione Europea non può fare nulla. La disgregazione della Spagna sarebbe una ferita forse anche più pericolosa per Bruxelles rispetto alla Brexit. Perderebbe un altro pezzo e quel pezzo resterebbe fuori (dato che per entrare serve l’unanimità). Potrebbero crearsi dissidi enormi tra Paesi perché il nocciolo ultimo della sovranità risiede nella connessione con il territorio. La Spagna non potrà mai accettare una Catalogna indipendente e Paesi europei che la riconoscano. Ordnung (ordinamento) ha valore in quanto connesso all’Ortung (localizzazione), in quanto geograficamente localizzato. E questo è ciò che vedo sottolineato da pochi. Evidentemente a Bruxelles lo sanno. La separazione di uno Stato come la Spagna significherebbe una ferita ampia all’ordinamento complessivo europeo, una ferita che non si risolverebbe in breve tempo e che potrebbe portare un colpo decisivo al progetto dell’Unione. Bruxelles deve sostenere Madrid perché non ha alternative, dovesse anche costargli la sbandierata integrità quando si parla di diritti umani, democrazia ecc. Si scherza con tutto, non con il territorio. Certe regole sono state dimenticate nel mondo post-storico. Forse sarebbe il caso di ricordarle.

Simone Zuccarelli

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Fig. 2 – Le proteste contro le violenze di ieri durante il referendum per l’indipendenza della Catalogna

UN GIOCO A SOMMA NEGATIVA – La situazione in Catalogna rischia seriamente di finire fuori controllo. Le responsabilità devono essere distribuite, anche se non proprio equamente. Non si può negare che il referendum per l’indipendenza sia illegale secondo le leggi spagnole e che una secessione catalana sarebbe un colpo durissimo per la Spagna.Tuttavia non si può neanche evitare di sottolineare la totale sordità di Madrid e del premier spagnolo Mariano Rajoy alle legittime istanze catalane. Rajoy e gli unionisti spagnoli hanno deciso infatti di aggrapparsi solo alla legge (quasi stessimo parlando di un edificio occupato abusivamente e non di una questione politica di enorme portata) e di arroccarsi in una posizione di assoluta intransigenza.
Personalmente sono contrario all’indipendenza della Catalogna (comporterebbe più problemi che vantaggi, anche per gli stessi catalani), ma l’approccio legalistico e burocratico di Madrid ha esasperato la tensione e ha contribuito a portare un’intera regione della Spagna e dell’Europa sull’orlo dell’insurrezione e del caos.
Non si può poi non rilevare che in una democrazia (e la Spagna lo è da decenni) non è semplicemente possibile risolvere una questione prettamente politica con il mero strumento repressivo. Le leggi possono e devono evolversi per soddisfare i bisogni delle comunità che le adottano. E in queste ore l’adesione di gran parte dei catalani (la maggioranza?) al sistema politico-istituzionale della Spagna sta vacillando paurosamente. Quella di oggi rappresenta comunque un’importante lezione per tutti gli Stati centrali (Italia compresa) su cosa NON fare e come NON comportarsi in presenza di un forte movimento autonomista.
In definitiva, se i catalani vogliono davvero l’indipendenza, sarà molto difficile fermarli, a meno di portare la repressione a livelli difficilmente sostenibili e accettabili in uno Stato democratico, membro dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa. L’unica alternativa sarebbe stata provare a convincere i cittadini catalani, ma Madrid ha rinunciato da anni a intraprendere seriamente questa strada e i risultati sono ora sotto gli occhi di tutti. Gli eventi delle ultime ore hanno solo rafforzato il consenso interno e internazionale all’indipendentismo catalano, aiutato gli estremisti di entrambi gli schieramenti a scapito della moderazione e del buon senso e approfondito in maniera drammatica (e forse insanabile) la frattura tra Madrid e Barcellona. A questo punto la riconciliazione tra le parti diventa davvero difficile. Insomma, oggi ci abbiamo perso un po’ tutti: catalani, spagnoli ed europei.

Davide Lorenzini (collaboratore Desk Europa)

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Fig. 3 – Il Presidente catalano Carles Puigdemont 

Come vedete, la questione è molto complessa e, come spesso accade negli affari internazionali, niente è soltanto “bianco” o “nero”. Quel che è certo è che il governo di Rajoy non potrà ignorare le istanze catalane senza cercare un dialogo o un compromesso; la risposta di Madrid fino ad ora non è stata sufficiente a risolvere una questione che rischierebbe di aggravarsi ulteriormente allargandosi potenzialmente anche ad altre province spagnole, come i Paesi Baschi. Noi del “Caffè” continueremo a monitorare e ad analizzare questi fenomeni.

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