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Sahel, il massacro di Solhan e la fine dell’operazione Barkhane

Analisi Il massacro di Solhan è l’episodio più grave dall’insurrezione scoppiata nel 2015 in Burkina Faso. Sembra si tratti di una vendetta jihadista verso i gruppi di autodifesa, sempre più attivi nel Sahel a causa di Governi deboli o indifferenti, ma non sono da escludere altre ragioni concomitanti. Nell’area, con la fine dell’Operazione Barkhane, restano molte le incognite e scarsi i risultati ottenuti.

IL MASSACRO DI SOLHAN

La piccola cittadina di Solhan, a circa quindici chilometri da Sebba, capoluogo della provincia di Yagha, nella notte tra venerdì 4 e sabato 5 giugno è stata attaccata da una cinquantina di uomini armati che hanno ucciso almeno 160 civili – tra cui anche il Presidente della sezione di Yagha dell’Organisation Democratique de la Jeunesse (ODJ), alcuni militanti e 20 bambini. Durante l’incursione omicida, al confine con Mali e Niger, i miliziani hanno distrutto il mercato locale dell’abitato burkinabé e due postazioni dei Volontari per la Difesa della Patria (VdP), formazioni di autodifesa della popolazione locale. A seguito dell’attacco in Burkina Faso sono stati annunciati tre giorni di lutto nazionale da parte del Presidente Christian Kaboré.

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Fig. 1 – Un venditore di giornali con in mano l’Observateur Paalga con Solhan scritto in prima pagina, Ouagadougou, 7 giugno 2021

VENDETTA JIHADISTA?

Nella “zona delle tre frontiere” è da tempo in atto uno scontro per la supremazia territoriale tra vari attori. Tra questi si annoverano la coalizione Jamaat Nusrat al-Islam wal Muslimin (JNIM), composta da diverse sigle jihadiste attive in varie regioni del Mali e sul confine con Niger e Burkina Faso, l’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS), principale avversario di JNIM sul fronte jihadista e anch’esso attivo tra le frontiere, e le già citate VdP. L’attacco alle postazioni di queste ultime, che sono sostanzialmente formazioni incoraggiate dal Governo di Ouagadougou a proteggere la popolazione civile sulla falsa riga di quanto accade in Nigeria con le Civilian Joint Task Force (CTJF), fa pensare a un attacco punitivo. C’è chi ipotizza una corsa alle risorse (il Burkina Faso è un Paese molto ricco di miniere d’oro), ma sembra una ragione piuttosto marginale nelle logiche che animano le zone colpite da questo tipo di attacchi.

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Fig. 2 – Un soldato francese monitora una zona rurale nel nord del Burkina Faso durante l’Operazione Barkhane, novembre 2019

UNA CHIAVE DI LETTURA POSSIBILE

La coalizione JNIM ha negato la propria responsabilità nell’attacco di Solhan, facendo ricadere la colpa su ISGS. Tuttavia la negazione potrebbe anche essere strategica e volta a ricercare un maggiore supporto tra la popolazione a discapito del gruppo jihadista rivale. Un fattore che si osserva da tempo è però la disconnessione tra il centro e la periferia all’interno delle organizzazioni jihadiste, soprattutto JNIM: molti attacchi vengono rivendicati ufficiosamente dalle unità locali attraverso video, foto e audio. Cellule che operano con molta autonomia e sono modellate dai contesti e dalle circostanze del territorio in cui si muovono. Il gruppo, quindi, non è così unito e coeso come sembra al proprio interno. In quella zona di frontiere è in atto uno scontro nel quale la ricerca di sfere di influenza provoca la necessità di una “propaganda of the deed” volta a rimarcare il proprio potere, ma che si intreccia anche con questioni interetniche che vedono gruppi islamisti ergersi a protettori di parte della popolazione, generando di fatto risentimento e astio soprattutto nei confronti dei Fulani. Ma anche la stessa creazione delle VdP, impegnate a loro volta nella difesa delle comunità e a combattere i jihadisti, ha causato la recrudescenza degli attacchi: queste formazioni, con la benevolenza del Governo, si sono rese responsabili di violenze e soprusi che hanno contribuito a generare un susseguirsi di vendette e rappresaglie dirette a scoraggiare i civili a collaborare con loro, come pare sia accaduto a Solhan.
Si tratta quindi di una crisi nella quale molti fattori tendono a sovrapporsi, rendendo la lettura della situazione più complessa e multilivello, con la ricerca di influenza di diverse sigle jihadiste – anche rivali – che collide con gruppi di autodifesa in un quadro che sfuma verso rivendicazioni spesso dal carattere fortemente identitario, il tutto in aree che vedono il Governo centrale troppo debole o indifferente.

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Fig. 3 – Il ministro degli Esteri francese Jean Yves Le Drian insieme al Presidente del Burkina Faso Roch Marc Christian Kaboré a Ouagadougou, 11 giugno 2021

LA PRESENZA FRANCESE ED EUROPEA

Dal 5 maggio scorso, di fronte alla recrudescenza degli attacchi jihadisti, le Forze Armate burkinabé hanno avviato un’operazione su larga scala nelle regioni del nord e del Sahel. Nonostante le numerose iniziative di questo tipo, le forze di sicurezza stanno ancora lottando per arginare la spirale di violenza jihadista, senza tuttavia riuscire a invertire la tendenza di quella che sembra un’escalation preoccupante, che dal 2015 ha causato più di mille morti e più di un milione di sfollati in fuga dalle zone di conflitto.
La fine dell’Operazione Barkhane sottolinea la volontà di cambiare strategia e forse trovare una soluzione al paradosso che ha visto spesso gli alleati di Parigi – Governo burkinabé incluso – propensi ad aprire tavoli più o meno segreti di confronto con gli islamisti, mentre la Francia restava intransigente sulla posizione di combatterli.
Il ministro degli Esteri francese Jean Yves Le Drian è stato ricevuto a proposito venerdì 11 giugno a Kossyam dal Presidente Kaboré e al centro delle discussioni c’è stata la situazione della sicurezza in Burkina Faso e nel Sahel. Le Drian ha confermato che la fine dell’Operazione Barkhane segue la scelta di affidarsi maggiormente alle forze locali e alla loro strategia, cambiando il dispositivo, ma non l’impegno nell’area. Resta comunque attiva con prerogative prettamente legate alla controguerriglia la Task Force Takuba, di cui l’Italia è parte, convintamente impegnata anche militarmente contro l’insurrezione jihadista saheliana, come confermato a maggio dal ministro Guerini.

Daniele Molteni

Intel officer provides oversight for Western Accord 2016 camp security” by SETAF-Africa is licensed under CC BY

Dove si trova

Perchè è importante

  • Il massacro di Solhan in Burkina Faso è il più grave singolo attacco dall’inizio del conflitto nel 2015.
  • Nella “zona delle tre frontiere” sono attivi principalmente due gruppi jihadisti: JNIM e ISGS.
  • Un attacco che può essere letto come vendetta verso le forze di autodifesa, senza che tuttavia si possano escludere altre ragioni – anche concomitanti.
  • In Burkina Faso e nel Sahel in generale per i Governi l’insurrezione jihadista resta il principale nodo. Con la fine dell’Operazione Barkhane assume ancora più importanza la Task Force Takuba, di cui l’Italia è parte.

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Daniele Molteni
Daniele Molteni

Nato in provincia di Como, ha conseguito la laurea triennale in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee e quella magistrale in Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Milano, con tesi relative alla Responsibility to Protect e al terrorismo internazionale. Le sue aree di interesse sono Africa e Medio Oriente, con un particolare focus su questioni legate a sicurezza e rule of law. Dal 2018 è redattore di La Beula, rivista culturale indipendente della Brianza comasca, e in passato ha scritto per alcune Onlus specializzate in politica internazionale e diritti umani. È appassionato di cinema d’autore e libri, principalmente saggistica e reportage.

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