Analisi – Il Sahel resta una regione profondamente fragile, divisa su linee etnico-religiose, con la presenza di gruppi separatisti, milizie di autodifesa e jihadisti con aspetti sia locali che globali. La difficoltà di raggiungere la stabilità da parte degli Stati dell’area deriva da problemi storici e da un approccio limitato verso le complesse dinamiche regionali e transnazionali coinvolte.
UN CONTESTO SECURITARIO FRAGILE
Nella zona saheliana dell’Africa occidentale deprivazione e insicurezza determinano la presenza di comunità marginalizzate che spesso subiscono la forza di attrazione di gruppi armati non statali. In molte zone dalla sicurezza limitata di Mali, Burkina Faso e Niger, sono ancora oggi attivi gruppi armati secessionisti, organizzazioni narco-jihadiste e milizie di autodifesa. I conflitti possono essere letti secondo le categorie indipendentisti/lealisti e attraverso due principali identità: secolare e islamista. Se nel caso delle rivendicazioni secolari le minacce alla sicurezza vengono poste da gruppi etnici o indipendentisti armati privi di retorica religiosa, nel secondo caso queste provengono da movimenti che si richiamano all’identità islamica, precisamente salafita jihadista, volonterosi di creare un contratto sociale alternativo basato sulla shari’a. Un confronto che sfocia nella presenza di aree governate da ribelli ed economie ombra, inasprito dalle conseguenze della desertificazione, del degrado ambientale, e dell’antagonismo tra popolazioni nomadi e sedentarie – un tempo in un rapporto simbiotico. Allo stato attuale della sicurezza, in alcuni Paesi del Sahel, uno su tutti il Mali – dove c’è stato un nuovo colpo di Stato, – è importante cercare di comprendere i maggiori attori coinvolti per inquadrare le difficoltà del possibile processo di pace.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Combattenti tuareg filogovernativi pattugliano i dintorni della città di Menaka, in Mali, novembre 2020
I SEPARATISTI TUAREG
L’evento catalizzatore della dichiarazione d’indipendenza dell’Azawad del 6 aprile 2012 da parte del Mouvement National pour la Libération de l’Azawad (MNLA) è stata la destituzione di Gheddafi in Libia. La perdita di un alleato per i tuareg e di un mediatore tra questi e i Governi dell’area ha portato all’esacerbarsi delle mire secessioniste da tempo latenti. Dopo gli scontri con Bamako e la lotta contro gli ex alleati islamisti, i movimenti separatisti MLNA, Haute Counseil pour l’Unité de l’Azawad (HCUA), e Mouvement Arab de l’Azawad (MAA) hanno formato l’alleanza chiamata Coordination de Mouvements de l’Azawad (CMA) nel tardo 2013. Con il processo di pace seguente il CMA ha raggiungo un compromesso con il Governo nel 2015 per il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione, firmando gli Accordi di Algeri. A causa della costante violenza nel nord il gruppo resta attivo come forza di autodifesa, soprattutto a Kidal.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Una delegazione del CMA a Kidal, febbraio 2021
IL MOVIMENTO SALAFITA JIHADISTA
I gruppi salafiti jihadisti nel Sahel, così come altrove, hanno approfittato delle crisi per aumentare la propria influenza e tentare di applicare la shari’a nei territori conquistati. Uno dei più influenti è al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), uscito nel 2006 dal Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat (GSPC) algerino e alleatosi ad al-Qaeda. Guidato storicamente da Abdelmalek Droukdel, ucciso il 3 giugno 2020, AQMI si è spostato più a sud a seguito della repressione del Governo algerino, con attività illegali – rapimenti, attacchi terroristici e traffico di armi – condotte da Abd al-Ḥamid Abu Zayd e Mokhtar Belmokhtar. Nel 2011, da AQMI, è emerso il Mouvement pour l’Unification et le Jihad en Afrique de l’Ouest (MUJAO) per volontà del mauritano Hamada Ould Kheirou, critico verso l’esclusione di non algerini da parte di Droukdel. Nell’agosto del 2013 MUJAO, attivo nella regione di Gao, ha fondato al-Mourabitoun (Le Sentinelle) alleandosi con la Katiba al-Mulathameen di Belmokhtar. A seguito di uno scisma interno ad al-Mourabitoun, nel 2015 l’ex comandante Adnan Abu Walid al-Sahrawi ha dichiarato l’adesione (bay’a) allo Stato Islamico. Precedentemente branca di ISWAP, l’organizzazione ora conosciuta come Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) opera nel Niger occidentale, a Ménaka e al confine con il Burkina Faso – nella zona delle “tre frontiere”. Nello stesso 2015 il predicatore fulani Amadou Kouffa fonda il Front de Libération du Macina (FLM) o Katiba Macina, attiva nella regione di Mopti e vicino al delta del Niger. La Katiba Macina si presenta oggi come protettrice delle comunità fulani e amministra parti del territorio, ha integrato la shari’a con forme tradizionali e svolge un ruolo di mediazione tra dogoni e fulani. Gruppo locale solido è poi Ansar Dine, composto da arabi e tuareg. Conosciuto principalmente per aver conquistato il nord del Mali insieme a MNLA, AQMI e MUJAO dopo il colpo di Stato del 2012, ha occupato Timbuktu e i suoi dintorni dal giugno 2012 sino all’intervento francese di inizio 2013. Il gruppo è guidato da Iyad Ag Ghali, storico leader tuareg partecipe di numerose ribellioni del nord. A marzo 2017 Ansar Dine, parte di AQMI, al-Mourabitoun e Katiba Macina hanno formato la coalizione Jamaat Nusrat al-Islam wal Muslimin (JNIM), allineata ad al-Qaeda e legata al gruppo burkinabé Ansaroul Islam. JNIM, presieduta da Ag Ghali, coordina la ribellione nel nord e nel centro del Mali nel tentativo di porsi come attore politico stabile nei confronti del Governo. Per un periodo ISGS e JNIM hanno collaborato, forti di storici legami tra leader e della cooperazione nell’economia criminale, disattendendo le previsioni di rivalità tra i due “franchising” di ISIS e al-Qaeda presenti altrove. Nell’aprile del 2020 il conflitto tra ISIS e al-Qaeda si è replicato anche nel Sahel, ponendo fine alla cosiddetta “eccezione saheliana” e dando vita a una guerra civile jihadista tra le più letali.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Un soldato pattuglia il sito archeologico della Tomba di Askia a Gao, marzo 2020
UN APPROCCIO LIMITATO
Attualmente la principale minaccia del Sahel resta l’insurrezione jihadista, che ha saputo sviluppare una strategia di espansione e regionalizzazione forte delle conoscenze territoriali e dei legami con alcune comunità. Negli anni la situazione di sicurezza è andata però deteriorandosi anche a causa della formazione di milizie di autodifesa e gruppi armati filogovernativi – come quelli della Platforme – impiegati nella protezione del controllo territoriale per conto dei Governi, con l’implicita connivenza dei partner internazionali. Con un approccio miope di stigmatizzazione verso diversi gruppi etnici – tuareg e fulani su tutti – e limitato a contro-terrorismo e contro-guerriglia armata, alcuni membri delle Forze Armate e delle milizie hanno commesso violazioni gravi, accrescendo il malessere verso le autorità centrali e rafforzando la legittimazione, da parte di coloro che considerano i propri interessi poco tutelati, dei jihadisti e dei loro proto-Stati. In assenza di un approccio comprensivo, non solo securitario, la crisi sembra destinata a continuare.
Daniele Molteni
“110923 Sahel states appeal for counter-terror assistance | بلدان الساحل تطلب المساعدة لمواجهة الإرهاب | Les Etats du Sahel demandent une assistance dans la lutte contre le terrorisme” by Magharebia is licensed under CC BY