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Goma, tre mesi dopo

Il 20 novembre 2012, un gruppo ribelle noto come Movimento 23 Marzo (M23) conquista Goma, capoluogo della provincia congolese del Nord Kivu, al confine con il Ruanda. È la prima volta, dal 2003, che una milizia ribelle accede alla città. Undici giorni più tardi, l’M23 si ritira, permettendo l’ingresso pacifico dell’esercito. Cosa è successo da allora? Cronaca di tre mesi confusi, fatti di lenti e faticosi passi avanti, e di inaspettati e repentini passi indietro.

 

DICEMBRE: I NEGOZIATI DI KAMPALA – Il 1° dicembre 2012, come dettato dalla risoluzione 2076 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’M23 si allontana da Goma, con l’impegno di mantenersi ad almeno 20 km dal centro della città. Il 9 dicembre, nella capitale ugandese Kampala, comincia ufficialmente un primo round di negoziati tra il governo congolese e il movimento ribelle, patrocinato dalla Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). L’Uganda, replicando alle accuse che lo vogliono dietro all’M23 insieme al Ruanda, si propone come mediatore a nome di tutti i paesi della CIRGL, presieduta dal presidente ugandese Yoweri Museveni. Il 21 dicembre i lavori sono sospesi per le feste natalizie, senza aver ottenuto grossi risultati: solo il regolamento interno delle trattative è infatti approvato, mentre le parti non riescono ad accordarsi sull’ordine del giorno. Se infatti non ci sono dubbi sul rivedere gli accordi del 23 marzo 2009 (la cui applicazione “troncata” è all’origine della ribellione), il governo osteggia la richiesta dei ribelli che venga trattata una riforma politica, economica e sociale d’insieme della regione.

 

GENNAIO: LA RIPRESA DELLE TRATTATIVE – Il 4 gennaio, alla vigilia del secondo round di negoziati, l’M23 annuncia un cessate il fuoco unilaterale, dopo la richiesta fatta al governo, e da esso disattesa, di firmarne uno condiviso. I negoziati di pace riprendono formalmente l’11 gennaio, ma solo il 16, a più di un mese dall’inizio ufficiale delle trattative, le due parti riescono ad accordarsi sull’ordine del giorno: revisione dell’accordo del 2009 (che prevedeva, tra le altre cose, l’integrazione dei ribelli nell’esercito e un ruolo politico per le milizie), questioni di sicurezza, questioni sociali, politiche ed economiche del paese. Kinshasa ha così ceduto sugli ultimi due punti, voluti dalla ribellione. Parallelamente alle trattative di Kampala, i delegati dei dodici parlamenti della CIRGL (RDC, Rep. Centrafricana, Congo-Brazzaville, Angola, Zambia, Tanzania, Kenya, Sudan, Sud Sudan, Ruanda, Burundi e Uganda), si danno appuntamento a Kinshasa dal 22 al 24 gennaio per discutere dei problemi che attanagliano la regione, dalla situazione nella Rep. Centrafricana al dialogo tra i due Sudan, e adottano una dichiarazione comune che condanna l’azione dei movimenti ribelli, principalmente l’M23.

 

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L’ordine del giorno twittato dal consigliere per gli Esteri del governo congolese, Léon O. Engulu III

FEBBRAIO: ACCORDI A KAMPALA… – Il 6 febbraio, a due mesi dall’inizio dei negoziati di Kampala, le delegazioni del governo congolese e dell’M23 trovano un compromesso sul primo punto all’ordine del giorno, adottando un rapporto comune sulla valutazione dell’accordo del 23 marzo 2009, allora firmato tra l’esecutivo e i ribelli del CNDP (“madre” dell’M23). Il documento indica che, sulle 35 clausole del suddetto accordo, 23 disposizioni sono state pienamente (15) o parzialmente (8) messe in pratica, mentre le restanti 12 sono state eseguite in maniera inadeguata o non sono state eseguite affatto. Se entrambe le parti sono d’accordo su tale dicitura, sono però lontane dal darne la medesima interpretazione. Per la delegazione dell’M23, questo rapporto avvalora la legittimità delle sue rivendicazioni. Al contrario, l’esecutivo sostiene che la valutazione dell’accordo abbia dimostrato la buona fede di Kinshasa, poiché non restano che 12 disposizioni da attuare, le quali non possono giustificare la ribellione dell’M23. Comunque lo si veda, l’accordo non allontana del tutto la minaccia di una ripresa del conflitto. Diversi elementi del documento lasciano presagire che sarà molto difficile applicarne alcuni punti come, per esempio, l’integrazione dei soldati dell’M23 nell’esercito regolare, lo stesso punto che aveva già bloccato la realizzazione degli accordi del 2009: gli ex ribelli si sono sempre rifiutati di allontanarsi dal Kivu, per poter meglio difendere la loro comunità.

 

… E AD ADDIS ABEBA – Mentre a Kampala proseguono le trattative sotto l’egida della CIRGL, il “dossier Goma” è anche sul tavolo dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite. Davanti ad un M23 che accusa il governo congolese di tenere il piede in due scarpe, gli emissari di Kinshasa rispondono che la crisi non ha solo una dimensione regionale, ma anche continentale e globale. In un rapporto presentato davanti al Consiglio di Sicurezza il 22 febbraio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, riconosce la precarietà della situazione del Congo orientale e propone una nuova strategia che permetta di trovare una soluzione politica solida. L’obiettivo è un accordo che raccomandi ai paesi della regione di rispettare ciascuno la sovranità dei propri vicini, rinforzi la cooperazione regionale, e proibisca ogni sorta di sostegno a gruppi armati ribelli. Il 24 febbraio undici paesi africani (RDC, Sudafrica, Mozambico, Ruanda, Congo, Tanzania, Uganda, Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Zambia) firmano l’accordo ad Addis Abeba, alla presenza dello stesso Ban Ki-Moon. Il centro nevralgico dell’accordo è l’appello ad una revisione strategica della MONUSCO (la Missione delle Nazioni Unite in Congo), la più grande al mondo con circa 20.000 uomini. Anche se non lo si menziona esplicitamente, si tratta di aggiungere alla MONUSCO, che è formalmente “solo” una forza di mantenimento della pace, una brigata d’intervento dotata di un mandato più robusto. Benché rappresenti sulla carta un passo avanti significativo, molti osservatori esprimono cautela sul fatto che l’accordo possa davvero modificare un quadro tanto complesso, dove interessi economici e giochi di potere hanno avuto per due decenni il sopravvento.

 

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Truppe dell’M23 a Bunagana (presso il confine ugandese)

LA SCISSIONE INTERNA ALL’M23 – Contemporaneamente alla firma dell’accordo di Addis Abeba, il 24 febbraio, si registrano alcuni scontri a fuoco tra due fazioni opposte dell’M23, a circa 80 km da Goma. L’episodio mette a nudo la frattura che è andata creandosi tra i vertici della gerarchia, in particolare tra Sultani Makenga, capo militare della ribellione, e Jean-Marie Runiga, il coordinatore politico. Il primo sospetta che il secondo continui a intrattenere rapporti con il generale Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, con cui l’M23 ha rifiutato (almeno ufficialmente) ogni legame sin dal giorno della sua creazione. La scissione si materializza il 27 febbraio, in seguito alla decisione di Makenga di destituire Runiga dalle sue funzioni. La frattura crea confusione anche in seno alla delegazione presente a Kampala, di cui Makenga rivede la composizione per proseguire il dialogo con la delegazione governativa. Tra il 28 febbraio e il 1° marzo, le due nuove fazioni si rendono protagoniste di una serie di offensive e controffensive reciproche, che le portano ad assestarsi su diverse posizioni: le forze di Makenga si raggruppano a Bunagana, sulla frontiera ugandese, mentre quelle di Runiga stazionano a Kibumba, più vicino a Goma. Proprio nella notte di venerdì 1° marzo le truppe del governo congolese giungono a rioccupare, per la prima volta dopo otto mesi, alcune città, tra cui Rutshuru e Kiwanka: è il primo progresso significativo dopo le disfatte patite lo scorso anno. Le sorprese non sono finite: poco più di ventiquattr’ore dopo, domenica 3 marzo, l’esercito si ritira, permettendo ai ribelli di riposizionarsi. Kinshasa precisa che non si tratta di un ritiro, ma piuttosto di un “ridispiegamento” per evitare nuovi scontri con l’M23. Ma intanto sono le lotte intestine al movimento ad allontanare la possibilità di un accordo a Kampala.

 

Giorgio D’Aniello

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Giorgio D'Aniello
Giorgio D'Aniello

Sono nato nel 1985 a Cuneo (sì, esiste davvero), dove vivo con mia moglie Agnese. Africano a tempo determinato, dopo la laurea magistrale in Studi Afro-Asiatici conquistata presso l’Università di Pavia, ho vissuto per un anno a Goma (Rep. Dem. Congo) e per un altro anno a Freetown (Sierra Leone), lavorando nel campo della cooperazione e, in particolare, dell’educazione dei giovani. Attualmente continuo a lavorare come educatore a stretto contatto con giovani cuneesi e immigrati di prima e seconda generazione. La mia Africa, adesso, si chiama Piemonte.

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