Quando si parla di scontri a Gaza il pensiero corre subito a Israele. Tuttavia gli eventi recenti hanno riproposto il tema delle lotte tra movimenti islamici, con Al-Qaeda protagonista, proprio lì dove la leadership di Hamas sembrava incontestata
HAMAS TROPPO MORBIDA? – Si potrebbe pensare che la minaccia israeliana porti i vari gruppi ad unirsi ancora piĂą saldamente nella lotta contro il nemico esterno. Non è così. Da un lato lo strapotere militare di Hamas permette al gruppo guidato a Gaza da Ismail Haniye (nella foto sotto) di mantenere il controllo; dall’altro in questo ultimo anno si è assistito a un fenomeno di crescente adesione di parte di numerosi giovani ai gruppi salafiti legati piĂą o meno direttamente con Al-Qaeda, o almeno ad essa ispirati.Tale fenomeno, denominato “Jaljalat” (tempesta di vento), vede tali gruppi aderire all’idea di Jihad globale lanciata da Osama Bin-Laden e piĂą recentemente da Al-Zawahiri. La tregua – tahadiya – tra Hamas e Israele, imposta anche agli altri gruppi locali, viene infatti aspramente criticata perchĂ© considerata una sorta di regalo a Gerusalemme. Hamas stessa viene quasi tacciata di collaborazionismo per aver fermato gli attacchi e per aver ordinato alle altre formazioni di miliziani a fare lo stesso.I gruppi legati al Jaljalat propendono per una lotta globale, rivolta ai nemici – sionisti e occidentali – ovunque e senza soste. Hamas invece rimane legato a una logica di lotta di resistenza anti-israeliana limitata alla Palestina. In questo appare piĂą pragmatica, portando avanti un programma anche politico (benchĂ© i negoziati siano per ora limitati alla sola questione del soldato israeliano prigioniero Gilad Shalit).Inoltre è facile per i miliziani estremisti propagandare la lotta continua, ma i leader di Hamas a Gaza ricordano bene il risultato dell’Operazione Cast Lead lanciata da Israele tra Dicembre e Gennaio scorso. Al di lĂ della propaganda successiva, l’apparato militare palestinese a Gaza ha dimostrato di non essere in grado di fermare un’offensiva israeliana, con molti dei suoi leader superstiti scampati appena alla morte per mano delle IDF. Questo raffredda ogni idea di rilanciare una strategia di scontro aperto che possa portare a una nuova rappresaglia che non sarebbe possibile affrontare nĂ© ora nĂ© forse mai.
UNA QUESTIONE DI POTERE – Ma come si è evidenziato tale contrasto interno? A inizio Agosto 2009 un gruppo denominato Jund Ansar Allah ha aspramente criticato l’operato di Hamas. Il suo leader, Sheikh Abdel-Latif Moussa, ha direttamente sfidato le disposizioni del movimento di Haniye effettuando deboli attacchi dimostrativi oltre confine, mostrando le armi in pubblico e dichiarando il 14 Agosto la formazione di un Emirato Islamico di Palestina, dove la Sharia sarebbe stata la legge dominante. Questa sfida al potere di Hamas non poteva essere ignorata, o avrebbe causato un pericoloso precedente che la popolazione della Striscia avrebbe recepito come un’ammissione di debolezza e gli Israeliani come un segno di inutilitĂ del dialogo con Hamas. Per scongiurare tale rischio perciò le forze di sicurezza hanno stretto l’assedio alla moschea di Rafah dove il gruppo salafita si era arroccato. Ignorando le minacce di Moussa, che prometteva forti ritorsioni, i miliziani di Hamas hanno espugnato la moschea il 16 Agosto, durante scontri violenti che hanno portato alla morte di 20-22 persone e al ferimento di piĂą di un centinaio. La cellula ribelle è stata eliminata e lo stesso Moussa è morto in un’esplosione, forse in un ultimo fanatico atto suicida quando ha visto che tutto era perduto.
TUTTO FINITO ORA? – Per nulla. Jund Ansar Allah sembra non esistere piĂą, ma così non è per il fenomeno Jaljalat, seguito – si ritiene – da molti altri gruppi che hanno preannunciato vendetta nei confronti di Hamas. Ciò ha a sua volta portato il gruppo di Haniye a rinforzare le misure di sicurezza attorno ai propri centri di comando nella Striscia. E c’è un altro elemento rilevante degno di nota. Durante gli scontri un membro di Jund Ansar Allah ha cercato di farsi esplodere in prossimitĂ di un obiettivo di Hamas, la prima volta che la strategia degli attacchi suicidi viene impiegata in un conflitto tra fazioni musulmane in Israele e Palestina. Potrebbe non essere l’ultima e non è escluso che questo porti Hamas a stringere ancora di piĂą la morsa a Gaza per reprimere ogni rivolta nel nascere. Inoltre per ridurre le critiche interne si è subito provveduto ad accusare Fatah di aver finanziato e fornito armi al gruppo salafita, una teoria che per ora non trova prove.Il rischio maggiore che si intravede da questi eventi è che l’estremizzazione del conflitto dei gruppi salafiti possa portare a una progressiva fuoriuscita di miliziani da Hamas. Se quest’ultimo infatti raggiungesse mai un accordo stabile con Israele, è presumibile i propri elementi piĂą estremisti e meno inclini alla pace se ne allontanerebbero e continuerebbero comunque la lotta.