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Silicon Valley alla cinese: le ambizioni digitali di Pechino

Xi Jinping, il cui pensiero è stato posto dal XIX Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) allo stesso livello di quello di Mao, è il nuovo Timoniere che sta guidando Pechino verso la creazione di una Silicon Valley con caratteristiche cinesi che potrebbe, tra il 2025 ed il 2049, rovesciare gli equilibri tecnologici del mondo. Ma la strada per realizzare tale ambizioso obiettivo non appare priva di ostacoli e dilemmi

UNA CINA MODERNA È UNA CINA DIGITALE

Nel passato quinquennio, Xi Jinping ha prestato non poca attenzione alle risorse digitali, all’industria dell’informazione e della comunicazione, e ha incoraggiato una sempre maggiore cooperazione tra le principali imprese tecnologiche cinesi e lo Stato. Il rinnovo del mandato del segretario del PCC accelererà il raggiungimento degli obiettivi prefissati, che vedono nell’intelligenza artificiale una priorità nei piani di sviluppo del Paese, finalizzati a fare della Cina una superpotenza scientifica e tecnologica, intensificando gli investimenti in settori di frontiera come quello delle nanotecnologie, dei big data, del cloud computing e dei «quantum computers», i calcolatori di nuova generazione, basati sui principi della meccanica quantistica, che consentono ai sistemi elettronici di raggiungere livelli di velocità incredibili. La promessa di Xi è quella di aprire sempre di più le porte della Cina alle nuove tecnologie, scommettendo su un’ulteriore crescita dell’economia nei prossimi anni.

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Fig. 1 – Il Presidente Xi Jinping durante l’ultimo Congresso del PCC, dove ha esposto le sue idee per il futuro digitale della Cina

LA SILICON VALLEY CON CARATTERISTICHE CINESI

La Cina sta rilanciando una politica di investimenti ad hoc nel lungo periodo per porsi come diretto competitor dei giganti americani con le proprie mega-aziende hi -tech, tra le quali Alibaba, Baidu, Tencent, DJ.com, Didi, Huawei, Xiaomi, che stanno forgiando il più grande mercato internauta del mondo con i suoi 700 milioni di utenti online. L’utilizzo della mole di dati che affluisce nei database di queste aziende, che catalogano ogni sorta di movimenti online, costituirà un banco di prova per la nuova amministrazione cinese, che dovrà dare indicazioni precise sui limiti invalicabili della privacy e della libertà dei privati cittadini. Una gestione autoritaria del cyberspazio può infatti produrre forme di sorveglianza preoccupanti ed inquietanti. Lo scorso aprile, durante la Conferenza di Lavoro sulla Cybersecurity e l’Informatizzazione, il Governo cinese ha indicato le strategie e le politiche guida da perseguire sotto la vigilanza di una apposita istituzione, “The Cyberspace Administration of China (CAC)”, incaricata di provvedere alla governance del cyberspazio, il cui cardine è la legge sulla cybersecurity. Le modalità applicative di questo impianto normativo costituiranno una sfida ulteriore per la nuova leadership del Dragone.

LA GOVERNANCE DEL CYBERSPAZIO

Human Rights Watch ha in effetti già stigmatizzato le modalità con cui il Governo cinese  si sta muovendo in questi spazi digitali, nei quali pare oltrepassare i limiti imposti dalla sicurezza, utilizzando in modo spregiudicato algoritmi e conoscenze biometriche multi-modali, con le correlate applicazioni in campo miliare. Così facendo il rischio di reindirizzare i controlli per monitorare e soffocare le forme più o meno esplicite di dissenso, sembra plausibile nella misura in cui la raccolta dei dati sui cittadini, le zone video controllate, la tracciabilità vadano oltre quanto necessario per combattere i traffici illeciti, la malavita ed il terrorismo. Il timore è che la tecnocrazia autoritaria della Cina possa diventare un modello attraente per i Paesi emergenti. Altrettanto controversa appare la nuova grande Muragliail Great Firewall, creato dal Golden Shield Project, come baluardo impalpabile che difficilmente si rapporta con le comunicazioni web ultraveloci, grazie all’utilizzo delle più moderne teorie quantiche, già in parte in funzione. I rischi per il sistema Cina, come oggi è strutturato, non potranno essere trascurati da un’amministrazione accorta e lungimirante.

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Fig. 2 – Jack Ma, patron di Alibaba, parla a una recente conferenza ministeriale del WTO in Argentina

MADE IN CHINA 2025

Gli obiettivi strategici del gruppo dirigente eletto dal XIX Congresso prevedono un reale cambiamento strutturale, riassunto nelle “quattro R: resilienza, riduzione, ristrutturazione e robot, che dovrà essere portato a compimento entro il 2025, nonostante le contraddizioni quasi inevitabili per una realtà, come quella cinese, in continua trasformazione, caratterizzata da una crescita esponenziale in un contesto di estrema innovazione, che coinvolge tutto il futuro dell’industria secondo il piano Made in China 2025中国制造 (Zhōngguó zhìzào) 2025, per un’industria 4.0 con caratteristiche cinesi. Lo scopo è quello di ottimizzare i dieci principali settori industriali, applicando gli strumenti della tecnologia dell’informazione alla produzione, per contrastare la disomogeneità, aumentando l’efficienza e l’integrazione, e procedere con una crescita più sostenibile, attenta alla qualità e non solo alla quantità, rimodulata a favore dei consumi e dei servizi, con un’attenzione particolare al talento umano. Le innegabili trasformazioni tecnologiche, che hanno permesso alla Cina di primeggiare in molti settori, ad esempio l’alta velocità, risultano però ancora troppo legate all’ingerenza del Partito nell’economia e nella società. Appare quindi sempre più indispensabile procedere sul cammino delle riforme economiche e sociali, che richiedono un ripensamento del ruolo delle imprese statali, al fine di contrastare l’endemica piaga della corruzione e di ridurre la forbice delle diseguaglianze.

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Fig. 3 – Protesta di Amnesty International contro la censura di Internet in Cina

IL SOGNO CINESE PER IL 2049

La semplificazione amministrativa e la riforma fiscale, che si è tradotta in una riduzione delle imposte stimata in 500 miliardi di RMB (72,7 miliardi di USD) dal maggio 2016 e che ha permesso l’ingresso sul mercato di circa 13 milioni di PMI, soprattutto nei settori trainanti dell’innovazione, devono essere ulteriormente implementate per consentire strategie di sviluppo nuove, che nel Paese di Mezzo determinano effetti più incisivi in quanto in parte svincolate dalla logica del profitto, che condiziona pesantemente l’Occidente, ostaggio di lobby e corporation. L’obiettivo di lungo periodo viene fissato per il centenario della rivoluzione, anno in cui la Cina dovrebbe tornare a rivestire il ruolo di “Paese del Centro”, come accaduto per millenni. Questa leadership non sarà però più circoscritta al lontano Oriente, ma estesa a tutto il pianeta, come annunciato da Xi Jinping a Davos nel 2014 quando, come primo capo di Governo cinese a partecipare ad un Forum economico mondiale, ha rivendicato il ruolo di protagonista della globalizzazione per il Paese di Mezzo, che rappresenta la terza potenza commerciale del globo,  con un volume complessivo di importazioni ed esportazioni pari a 3690 miliardi di USD nel 2016, circa il 50 per cento del commercio mondiale.

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Fig. 4 – Un negozio di smartphone a Shenzhen, capitale dell’hi-tech cinese

SHENZHEN: LA SILICON VALLEY CON CARATTERISTICHE CINESI

Il Dragone sta investendo gran parte dei propri sforzi a Shenzhen, la Silicon Valley con caratteristiche cinesi, luogo prescelto per delocalizzare la produzione hi-tech delle aziende occidentali, in cui sono affluiti ingenti capitali e dove viene depositato il più alto numero di brevetti al mondo, che oggi produce, grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo, la maggior parte dell’hardware mondiale, determinando una crescita del PIL in termini reali ad un tasso medio annuo del 22%, con l’intento di diffondere un nuovo soft power che renda questa “Sinicon Valley il nuovo baricentro del mondo. Il popolo cinese si auspica di raggiungere, nel centenario della fondazione della RPC, delle mete ambiziose, sintetizzate dall’intellettuale Zhou Ruijin, che permettano di trasformare l’uomo economico in uomo sociale, pienamente libero di svilupparsi, per raggiungere l’armonia con la società, con gli altri uomini e con se stesso. Raggiunti questi obiettivi:“il compito storico della grande rinascita del popolo cinese sarà stato assolto così che il modello Cina possa onorare il mondo.”

Elisabetta Esposito Martino

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Zhou Ruijin è un intellettuale “liberal” che, dagli anni 90, invoca sostanziali cambiamenti in articoli e saggi, tra i quali sono celebri quelli pubblicati sul Quotidiano del popolo, nella rubrica Il Commentatore del fiume Huangfu. Grazie all’autorevolezza che ha mantenuto negli anni, questo veterano, che ha recentemente dato il suo appoggio a Xi Jinping nella campagna anticorruzione, è tra i pochi che può oggi sostenere apertamente le riforme del sistema non solo da un punto di vista economico, ma anche sociale e politico. D’altro canto, le linee del Partito vengono propagandate non solo ufficialmente, ma anche in maniera più divertente, più divulgativa e spesso sotto pseudonimo, intercettando in questo modo anche il pensiero di intellettuali non allineati, almeno in parte, con il Partito. Questo meccanismo rende particolarmente enigmatica la comprensione della politica cinese. [/box]

Foto di copertina di Janitors Licenza: Attribution License

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Elisabetta Esposito Martino
Elisabetta Esposito Martinohttp://auroraborealeorientale.wordpress.com/

Sono nata nello scorso secolo, anzi millennio, nel 1961. Mi sono laureata in Scienze Politiche, Indirizzo Internazionale, presso La Sapienza con una tesi sul consolidamento della Repubblica Popolare cinese (1949 – 1957); ho conseguito il  Diploma in Lingua e Cultura Cinese presso l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma ed il Perfezionamento in Lingua Cinese presso l’ISMEO. Sono stata delegata italiana per l’International Youth culture and study tour presso la Tamkang University Taipei, e poi docente di discipline giuridiche ed economiche. Ho lavorato come consulente sinologa e svolto attività di ricerca. Ora lavoro in un ente di ricerca e continuo la mia formazione (MIP Business School del Politecnico di Milano e dalla SDA Bocconi School of Management, Griffith College di  Dublino, Francis King School of English di Londra, EC S.Julians di Malta). Ho pubblicato sull’”Osservatorio Costituzionale”, dell’associazione italiana dei costituzionalisti  (AIC) , su “Affari Internazionali” e su “Mondo Cinese”.
Dopo aver sfaccendato tra pappe e pannolini per quattro figli, da quando sono cresciuti ho ripreso alla grande la mia antica passione per la Cina, la geopolitica  e le istituzioni politiche e costituzionali. Suono la chitarra, preparo aromatici tè ma non mi sveglio senza… il caffè!

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