Dopo la chiusura del Dtp e il tentato piano per assassinare il vice presidente Bulent Arinc, scoppia il caso Ocalan-Il Manifesto: una collaborazione che per Ankara violerebbe i regolamenti sui detenuti per reati legati al terrorismo
OCALAN E “IL MANIFESTO” – La chiusura del Dtp (Partito della Società Democratica) ha provocato una spaccatura nella società civile turca, innescando un clima di odio razziale tra nazionalisti e curdi, che ha fatto vacillare per un momento lo stesso Governo con il rischio di invocazione dello stato d’emergenza. Inoltre la situazione politica interna è quanto mai divisa, con partiti all’opposizione, come il Chp e il Mhp, che stanno conducendo iniziative propagandiste nella speranza di far calare il consenso del partito al governo dell’Akp, in vista delle elezioni del 2011. Il 9 gennaio scorso il leader curdo Abdullah Ocalan aveva iniziato una collaborazione con la testata “Il Manifesto”, per raccontare ai lettori italiani la lunga e tormentata vicenda del popolo curdo in Turchia, che negli ultimi mesi aveva sperato in una riforma civile sostenuta dal governo Erdogan. Proprio sulla questione delle riforme il leader curdo, in carcere ormai da dieci anni, aveva premuto per una partecipazione più attiva della popolazione curda in Turchia, elaborando anche un piano per la risoluzione pacifica tra il gruppo armato del Pkk e lo Stato turco, che non è stata ancora resa pubblica. Nell’articolo, il primo e forse l’unico, Ocalan ha esordito ringraziando il popolo italiano per l’attenzione verso la sua causa e quella del popolo curdo; il primo tema affrontato è quello del capitalismo, o come egli lo definisce “spirito moderno capitalista”, facendone una sistematica critica e incentrando l’attenzione sul concetto di liberalismo. “La vera forza dello spirito moderno capitalista – afferma Ocalan – non si trova né nel suo denaro, né nelle sue armi. La sua vera forza è rappresentata dalla capacità di soffocare […] tutte le utopie, inclusa l’utopia più recente e forte, quella del socialismo”. Secondo Ocalan, (nella foto sotto, al momento dell'arresto nel 1999) la causa del fallimento di tutte le dottrine politologiche perciò, che si rifanno al modello socialista, è da attribuire al “vortice del liberalismo” che egli pone in contrasto con lo “spirito moderno democratico”, concetto che va oltre il semplice nazionalismo di tipo statalista. In conclusione “Apo” non manca di rifilare una dura critica allo Stato affermando: “In un contesto di paranoia globale del terrorismo, i tentativi dello stato turco di etichettare la nostra lotta democratica come terrorista, per noi non sono altro che il gioco della propaganda di vecchia conoscenza”. Inoltre attacca anche l’operato del governo Erdogan asserendo: “La manovra diversiva più subdola la sta facendo l’attuale governo dell’Akp, che vuole far credere agli Stati europei di operare per la democratizzazione e la soluzione della questione curda. Ma è lo stesso governo – continua Ocalan – che ha fatto leggi grazie alle quali le prigioni turche sono piene di bambini curdi”.
LE CONSEGUENZE DELLA CHIUSURA – Luís Maria de Puig, Presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, ha dichiarato come la chiusura dei partiti politici in Turchia sia motivo di preoccupazione, nell’ottica di un’adesione del paese nell’Unione Europea. Il Presidente dell’Assemblea ha reiterato l’appello affinché le autorità turche velocizzino la preparazione degli emendamenti della Costituzione, così come rivedano le leggi sui partiti politici, portandoli in linea con le raccomandazioni della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa e le disposizioni previste dalla Corte europea per i diritti umani.
PARALLELISMI – Come detto, il Ministero della Giustizia ha rilasciato un comunicato nel quale ha confermato come il detenuto Ocalan non possa rilasciare interviste o scrivere articoli su qualsiasi giornale. Un comunicato che non ha avuto strascichi nelle relazioni tra il governo italiano e quello turco. Ma in risposta all’accaduto “Il Manifesto” ha ribadito come al leader del Pkk sia stato concesso dall'Italia l'asilo politico sulla base dell'articolo 10 della Costituzione. Anche il nostro Paese ha avuto in passato esempi di collaborazioni giornalistiche da parte di detenuti per reati terroristici: il caso più emblematico è quello di Adriano Sofri, condannato dalla magistratura nel 1997 a scontare 22 anni di reclusione. Dagli anni Novanta Sofri collabora con alcune autorevoli testate giornalistiche e questo non ha turbato minimamente l’operato dello Stato, ma aggiunto una voce fuori campo nel panorama dell’informazione italiana.
Luca Bellusci [email protected]