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Il nuovo grafico SIPRI e Banca Mondiale sulle spese per la Difesa

Il grafico delle spese militari di SIPRI e Banca Mondiale è molto interessante e mostra una dinamica internazionale del mercato degli armamenti più complessa di quanto si crede. In sostanza, gli ultimi cinquant’anni hanno visto una costante e marcata flessione delle spese militari globali, raggiungendo addirittura livelli minimi nella seconda metà degli anni ’90

LE SPESE DEL NUOVO MILLENNIO

Dopo il 2000 si è assistito invece a una ripresa di tali spese ma in misura relativamente contenuta, fatto che tende a smentire il pericolo di una nuova “folle corsa al riarmo” denunciato da diversi gruppi politici e sociali. Il grafico propone quindi un quadro abbastanza positivo della sicurezza mondiale e sottolinea un andamento “razionale” delle spese militari internazionali, influenzato da particolari congiunture storiche e dalle azioni diplomatiche delle maggiori potenze. La ripresa delle spese per gli armamenti nei primi anni ’80, ad esempio, coincide con la recrudescenza del confronto Stati Uniti-Unione Sovietica e conosce una netta flessione dopo la firma del trattato INF e la dissoluzione pacifica della “cortina di ferro”. Negli anni ’90 tali spese restano poi ai minimi storici grazie anche ai tentativi di sviluppare un sistema internazionale multilaterale capace di gestire i conflitti del post-guerra fredda. Pur con i suoi limiti, la diplomazia gioca dunque un ruolo importante nel controllo delle spese per gli armamenti e nella regolamentazione delle interazioni militari tra diversi Paesi. Non siamo di fronte a una spirale cieca e incontrollabile, magari ispirata da oscuri personaggi dietro le quinte, ma a un mercato regolato dal meccanismo domanda/offerta e dall’azione concreta dei governi e delle istituzioni internazionali. Esistono modi per limitarlo senza scadere in allarmismi o facili demagogie.

Il grafico proposto dalla Banca Mondiale (WB) su dati SIPRI mostra l’andamento delle spese per la Difesa tra il 1960 ed il 2015.

Questi fenomeni congiunturali si aggiungono a quanto avvenuto a livello strutturale alle forze armate e alle industrie del comparto industriale della difesa dal 1989 ad oggi.  I budget degli anni successivi alla fine della Guerra Fredda, tra alti e bassi, non sono comunque paragonabili a quantità e qualità delle ingenti spese sostenute nel corso del confronto Stati Uniti-Unione Sovietica. Senza la necessità di avere grandi eserciti nazionali basati sulla leva, il mercato degli armamenti si è ridotto in volume, ma è cresciuto in qualità – pur in maniera disomogenea secondo la regione di provenienza. Di fatto, le capacità militari a livello globale (Stati Uniti compresi) sono molto inferiori a quelle espresse nel corso della Guerra Fredda o subito dopo. Alcune specialità si sono estinte, mentre alcuni settori tecnologici non si sono molto evoluti in parte perché non ce n’è stato bisogno, in parte perché, venute meno le minacce esistenziali, i bilanci statali hanno dedicato sempre meno risorse al comparto difesa – forse incautamente. Quindi, La maggior parte delle spese extra registrate a partire dal 2014 non andranno a potenziare le capacità esistenti, ma a colmare le gravi lacune che si sono create in settori come le forze corazzate, la lotta antisommergibile, le capacità anfibie, ecc. Dunque niente corsa agli armamenti vera e propria, ma comunque un ritorno all’esigenza di avere strumenti militari più performanti in vista di impegni crescenti. Insomma, i livelli di spesa odierni parlano di un cambio di direzione, ma non di scenari apocalittici.

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Fig. 1 – Un F-22 Raptor dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti

PERCHÉ LE SPESE SONO CRESCIUTE?

Tutto bene, allora? Non proprio. Per quanto contenuta, la ripresa post-2000 è stata assai significativa e un altro grafico SIPRI mostra come la crescita sia stata costante persino negli anni successivi alla grande crisi finanziaria del 2007-08. Il 2017 (non coperto dal primo grafico) ha visto sostanziosi incrementi ai budget militari delle principali potenze mondiali, destinati probabilmente a proseguire anche nei prossimi anni. Il motivo è ovviamente una maggiore insicurezza internazionale, alimentata dal terrorismo post-11 settembre e dalle pesanti conseguenze geopolitiche della Primavera Araba (guerra civile siriana su tutte). A ciò vanno aggiunte l’ascesa della Cina in Asia, lo sviluppo del programma nucleare nordcoreano e le difficoltà degli USA sotto Obama e Trump. Ma a pesare più di tutto è stata probabilmente la crisi ucraina del 2014 che ha sancito una rottura forse irreparabile del rapporto tra Russia e Occidente.

La nuova edizione del confronto tra Mosca e Washington e la crescente diffidenza tra Washington e Pechino esasperano i conflitti già esistenti e ne creano di nuovi, generando al contempo una pericolosa competizione tra questi Paesi per il controllo del mercato degli armamenti internazionale.  E a differenza degli anni Ottanta sembra mancare la volontà di arrivare a qualche forma di compromesso diplomatico che metta dei freni a tale escalation.

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Fig. 2 – Il nuovo caro armato russo T-14 Armata

GLI ARSENALI NUCLEARI

Discorso a parte meriterebbero gli arsenali nucleari. A lungo trascurati, richiedono manutenzione. Assisteremo quindi al ritorno della spesa per il deterrente nucleare. Ma al di là dei proclama ufficiali, la maggior parte di questa spesa andrà alla modernizzazione delle testate e alla loro messa in sicurezza. Questa spesa è stata rimandata più possibile, ma è ormai improcrastinabile, pena il decadimento della sicurezza sulla detenzione di armamento nucleare. Per fare un esempio, il piano di ammodernamento delle armi statunitensi (senza contare le sparate dell’amministrazione Trump su nuove famiglie di armi con valore tattico) richiederà spese comprese tra 1.000 e 1.600 miliardi di dollari secondo le stime. A parere degli autori, l’invecchiamento grosso modo concomitante degli arsenali statunitense, russo, britannico e francese avrebbe potuto essere un’occasione per pensionare una parte degli arsenali nucleari. Gli effetti positivi di un tale gesto di buona volontà avrebbe avuto ricadute importanti: maggiore sostenibilità economica degli arsenali, costruzione di un argomento di dialogo tra Paesi che non sempre si capiscono, e instaurazione di una narrativa anti-proliferazione. Purtroppo, invece, si è persa un’occasione che non tornerà a lungo e, al contrario, il clima internazionale si è inasprito al punto da spingere un numero crescente di stati – insicuri sul proprio futuro – sulla strada della proliferazione.

Marco Giulio Barone, Simone Pelizza

Foto di copertina di Official U.S. Navy Imagery Licenza: Attribution License

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Marco Giulio Barone
Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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