In 3 sorsi – Lo scorso 4 marzo lo Sri Lanka ha visto l’insorgere di nuovi scontri tra la popolazione buddista e la minoranza islamica. Il Governo ha proclamato lo stato d’emergenza e bloccato l’accesso ai social per riportare la situazione sotto controllo, ma le tensioni latenti dai tempi della guerra contro i separatisti Tamil rischiano di destabilizzare nuovamente l’intero Paese
1. NUOVE VIOLENZE TRA BUDDISTI E MUSULMANI
In Sri Lanka nelle ultime settimane si sono riaccese le violenze tra la comunità musulmana e quella buddista, tanto da costringere il Governo a proclamare lo stato d’emergenza per la prima volta dalla conclusione della guerra contro le Tigri Tamil.
Gli scontri sono iniziati lo scorso 4 marzo nel distretto di Kandy, situato al centro dell’isola e a est della capitale Colombo. I manifestanti, cingalesi di religione buddista, hanno vandalizzato e dato alle fiamme abitazioni, esercizi commerciali musulmani e moschee. Un uomo di 27 anni è stato ucciso, rimasto intrappolato nel rogo di una casa, e dozzine di persone sono rimaste ferite.
Lo Sri Lanka si sta ancora riprendendo da decenni di violenze e i recenti episodi sottolineano la fragilità dei rapporti tra i cingalesi buddisti – che rappresentano il 70% della popolazione – e la minoranza islamica.
Inizialmente il Governo ha dispiegato le forze di polizia e imposto il coprifuoco ma, visto il perdurare delle proteste, il Presidente Maithripala Sirisena ha proclamato lo stato d’emergenza. La misura è durata dieci giorni, permettendo il dispiegamento dell’esercito nel distretto di Kandy e in alcune zone potenzialmente sensibili. “Abbiamo deciso di dichiarare lo stato d’emergenza per evitare che gli scontri si propaghino nel resto del Paese”, ha detto Dayasiri Jayasekera, portavoce del Governo.
Per lo stesso motivo è stato impedito l’accesso a Facebook, Twitter, Youtube e altre piattaforme, mentre l’utilizzo di Whatsapp è stato limitato a determinate fasce orarie.
Secondo la ricostruzione del quotidiano Journalist for Democracy in Sri Lanka le violenze sarebbero esplose dopo l’aggressione di un camionista da parte di un gruppo di musulmani avvenuto in seguito ad un incidente stradale. L’uomo sarebbe morto in ospedale a causa delle ferite, scatenando l’ira di alcuni attivisti buddisti che avrebbero a loro volta incitato la folla a una ritorsione violenta per l’accaduto.
Fig 1 – Alcuni musulmani ispezionano i resti del loro negozio dato alle fiamme da fondamentalisti buddisti a Kandy, 7 marzo 2018
2. LA PAURA DI UN RITORNO AL PASSATO
Ciò che sta accadendo in Sri Lanka fa capire il livello di tensione tra le due comunità etnico-religiose, dove i rancori latenti dai tempi della guerra fanno sì che un qualsiasi evento possa degenerare in mobilitazioni di massa. I buddisti di etnia cingalese, capitanati da monaci dalla dottrina intransigente, fanno parte della scuola detta “theravada”, una corrente conservatrice presente anche in Myanmar. Birmani e cingalesi sono divisi dal Golfo del Bengala, ma entrambi condividono una forte ostilità verso la religione musulmana – resa manifesta in Myanmar dalla pulizia etnica dei Rohingya che ha causato la fuga di migliaia di persone verso il Bangladesh.
Dall’altro lato della barricata c’è l’Islam, professato nella sua corrente sunnita dal 7% della popolazione la quale, inoltre, appartiene ad un diverso gruppo etnico: i Tamil. Dall’antico retaggio di mercanti, gli islamici in Sri Lanka, benché pochi, detengono discrete ricchezze, attività commerciali ed imprese. Il benessere di questi, come si può intuire, non fa che aumentare l’odio dei monaci fondamentalisti theravada.
Lo Sri Lanka ha vissuto una delle più devastanti guerre civili del continente asiatico: 26 anni di violenza iniziata nel 1983 e conclusa nel 2009. Migliaia di persone sono morte durante la lunga insurrezione delle Tigri Tamil, soprannome del gruppo separatista dei Liberation Tigers of Tamil Eelam (LTTE) che intendeva fondare uno Stato autonomo nelle regioni a nord e a est dell’isola.
Nonostante l’economia si sia ripresa negli ultimi anni, con un tasso di crescita complessivo del 16%, non è altrettanto facile lasciarsi alle spalle un quarto di secolo di lotte e sofferenza. Già a febbraio ci sono stati scontri tra le due comunità nella città di Ampara, nell’omonimo distretto nella parte orientale dell’isola.
Alcuni sostengono che questa nuova ondata di sentimento anti-islamico sia da attribuire all’ascesa del partito dell’ex Presidente Mahinda Rajapaksa, accusato di avere collegamenti con gli estremisti buddisti responsabili delle violenze.
Rajapaksa, convinto sostenitore di una politica nazionalista in favore dei cingalesi, sta vivendo un nuovo periodo di popolarità: durante le elezioni locali dello scorso febbraio il suo Partito delle Libertà dello Sri Lanka ha vinto il 45% dei voti complessivi.
Anche se Rajapaksa smentisce i collegamenti con i violenti theravada, la sua figura costituisce un elemento pericolosamente destabilizzante per gli equilibri dell’isola.
Lo Sri Lanka ridiventa così osservato speciale, con la comunità internazionale che chiede la salvaguardia dell’integrità delle minoranze per evitare di scivolare ancora nella guerra.
Fig. 2 – L’ex Presidente Mahinda Rajapaksa saluta i suoi sostenitori dopo la vittoria del suo partito alle elezioni locali dello scorso febbraio
3. LA RISPOSTA DEL GOVERNO
Le Nazioni Unite hanno condannato le violenze avvenute nel distretto di Kandy e Jeffrey Feltman, Sottosegretario Generale agli Affari Politici del Palazzo di Vetro, ha chiesto al Governo di Colombo di “consegnare alla giustizia i responsabili degli atti di violenza e di incitamento all’odio, prendere misure di prevenzione e applicare lo stato di diritto, senza discriminazioni”.
La Sri Lanka ribatte che parte della responsabilità circa il dilagare delle proteste è da attribuire ai social, dove numerosi attivisti singalesi incitano gli utenti all’odio verso la componente musulmana della popolazione.
Harin Fernando, Ministro delle Telecomunicazioni, riferisce che il Governo è stato costretto a prendere la decisione senza precedenti di chiudere i social, con la paura che la propaganda fondamentalista portasse a proteste in altre regioni. “L’intero Paese poteva essere dato alle fiamme in poche ore”, ha dichiarato Fernando. “L’incitamento alla violenza è completamente fuori controllo su queste piattaforme, che non riescono ad oscurare i contenuti abbastanza in fretta”.
Amith Weerasinghe, uno dei leader estremisti theravada, ha una pagina Facebook con più di 150mila follower che è stata chiusa qualche settimana fa, in cui chiedeva ai cingalesi di “colpire i musulmani più forte che potete”. Lo stesso Weerasinghe è stato poi arrestato a Kandy con l’accusa di istigazione alla violenza.
Freedom House, nel suo report annuale riferito allo scorso anno, aveva già definito gli incitamenti alla violenza sui social una “pressante preoccupazione”, avvertendo della necessità per il Governo di trovare un equilibrio tra la censura ed il rispetto della libertà d’espressione – un bilanciamento che rimane un dilemma insoluto per i politici di Colombo.
La situazione nel distretto di Kandy sembra essere tornata sotto controllo, tanto che lo scorso 18 marzo il Presidente Sirisena ha decretato la fine dello stato di emergenza. La polizia resta però a presidiare le strade, così come restano le preoccupazioni sul futuro dei rapporti tra buddisti e musulmani in Sri Lanka.
Emanuel Garavello
Fig. 3 – Poliziotti in assetto anti-sommossa pattugliano le strade di Pallekele, un quartiere di Kandy, 6 marzo 2018
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Negli anni ‘90 le Tigri Tamil, il gruppo separatista in conflitto con il Governo durante la guerra civile, potevano contare su una milizia ben equipaggiata ed addestrata. Essi detengono un triste primato: sono infatti l’unico gruppo paramilitare ad aver assassinato due leader mondiali, cioè il Primo Ministro indiano Rajiv Gandhi nel 1991 e il Presidente cingalese Ranasinghe Premadasa nel 1993. [/box]
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