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Un tour ‘exitoso’ ?

Ovvero “di successo”, traducendo dallo spagnolo? Così alcuni hanno definito il recente viaggio di Hillary Clinton in America Latina. In realtà, la politica della Casa Bianca verso il continente sembra mancare di un vero e proprio disegno

IL VIAGGIO DI HILLARY – Una settimana in giro per l'America, toccando (quasi) tutti i principali Stati della regione. È quanto ha fatto Hillary Clinton, Segretario di Stato USA, che dal 28 febbraio al 5 marzo ha effettuato un vero e proprio tour in America Latina, visitando nell'ordine Uruguay, Cile, Brasile, Costa Rica e Guatemala. La Clinton ha presenziato alla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente dell'Uruguay, l'ex guerrigliero tupamaro José Mujica, e ha quindi incontrato a Santiago la presidente uscente cilena, Michelle Bachelet, pochi giorni prima del passaggio di consegne con il nuovo inquilino del Palazzo della Moneda, Sebastián Piñera. Si è quindi recata in Brasile per incontrare il Presidente Lula e il ministro degli Esteri Celso Amorim; da lì, si è spostata in Centro America per le tappe “minori” del viaggio.

I RISULTATI – Non molti, a dire il vero. Indubbiamente sono stati confermati i buoni rapporti con Uruguay e Cile. A Montevideo la Clinton ha confermato l'amicizia con il nuovo esecutivo, che proviene sempre dalle fila del Frente Amplio ma che potrebbe vedere un ulteriore spostamento a sinistra del proprio asse programmatico in virtù del “pedigree” politico del nuovo Presidente Mujica. A Santiago, invece, il Segretario di Stato ha offerto solidarietà in seguito al terremoto che ha colpito il Cile poche settimane fa, confermando la continuazione di buone relazioni anche con l'entrata in carica del nuovo Governo di centrodestra.

Più critica, invece, la tappa brasiliana: quella che fino a un anno fa poteva assumere, in potenza, i contorni di una nuova “special relationship” tra Stati Uniti e Brasile, ora si sta invece profilando come un rapporto di reciproco rispetto ma anche irto di punti spinosi. In primis, le relazioni “ambigue” che Lula sta portando avanti con alcuni Stati decisamente non amici di Washington, come l'Iran: la Clinton ha sottolineato la contrarietà degli USA all'atteggiamento troppo conciliante del Brasile, ribadendo la necessità di imporre sanzioni al regime di Teheran. Lula e Amorim, invece, hanno sostenuto la via del dialogo: dietro a questa divergenza di posizioni c'è la volontà brasiliana di perseguire una propria politica estera totalmente autonoma da qualsiasi ingerenza esterna, innanzitutto statunitense, per suggellare il proprio status di potenza globale.

Notevole, infine, la “dimenticanza” dell'Argentina: finora, durante l'amministrazione Obama a Buenos Aires si è recato solamente il nuovo Sottosegretario di Stato delegato all'America Latina, Arturo Valenzuela, che nel dicembre scorso rischiò di creare un incidente diplomatico accusando le autorità argentine di non sviluppare un clima favorevole agli investimenti esteri. La Clinton ha avuto un breve colloquio con la Presidentessa argentina Cristina Kirchner a Montevideo, durante il quale ha affermato che gli USA non prenderanno posizione nella questione delle Isole Malvinas/Falkland con il Regno Unito.

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LA MANCANZA DI UN DISEGNO – Una posizione, quest'ultima, che potrebbe apparire “pilatesca”, ma che in realtà è indice della mancanza di una precisa strategia politica nei confronti dell'America Latina da parte dell'amministrazione Obama. Negli episodi di crisi più recenti la Casa Bianca ha giocato d'attesa, come per esempio nella questione honduregna, salvo poi intervenire con iniziative diplomatiche dallo scarso successo. Anche in occasione del nuovo accordo militare con la Colombia, per l'installazione di sette basi militari yankee, nei confronti degli USA si è levato un coro pressochè unanime di critiche, guidato – manco a dirlo – dal leader venezuelano Hugo Chávez.

Obama si fa portatore di un approccio dialogante, non impositivo e irrispettoso della sovranità dei Paesi latini, come accaduto in passato in osservanza della dottrina Monroe. Ma tale atteggiamento, senza dubbio condivisibile, si declina in realtà come un sostanziale disinteresse verso le questioni regionali, poiché la lista delle priorità del Presidente vede al vertice la politica interna (con l'economia e alla riforma sanitaria al vertice) e i fronti afghano e iracheno per quanto riguarda la politica estera. Sembra dunque paradossale constatare che durante l'amministrazione Bush i rapporti con l'America Latina erano addirittura migliori: basti pensare agli accordi con il Brasile per lo sviluppo dei biocarburanti e per la cooperazione militare (seppur in fase embrionale), o al progetto dell'ALCA (l'Associazione di Libero Scambio delle Americhe), voluta dall'amministrazione repubblicana ma poi non realizzata. Un'iniziativa discussa, ma che è indice dell'esistenza di una progettualità che oggi sembra invece mancare. Lo stesso si può dire per quanto riguarda i rapporti economici, soprattutto in termini di investimenti esteri diretti: Washington sta cedendo il passo nella regione a potenze come Russia (soprattutto in termini energetici) e Cina.

Che gli USA non possano più ritenere l'America Latina il proprio “cortile di casa” è chiaro: il crescente livello di sviluppo socio-economico della regione ha permesso ai principali Paesi di emanciparsi dalla “tutela” statunitense e di sviluppare politiche estere pienamente autonome. Il rischio per Washington è un altro: abdicare alla propria presenza strategica nel continente costituirebbe infatti un rischio per la propria economia e per la propria potenza ma anche per la sicurezza dell'intera regione: i traffici legati alla droga e anche al terrorismo internazionale di matrice islamica sono infatti in aumento.

Davide Tentori

15 marzo 2010

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Foto: in alto, la Clinton insieme al Presidente brasiliano Lula da Silva

Sotto: Hugo Chávez sembra non curarsi troppo degli ammonimenti del Segretario di Stato…

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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