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Il muro di cui non si parla, il confine tra Messico e Guatemala

Il neoeletto Presidente Trump ha annunciato la ripresa dei lavori per la costruzione del muro sul confine col Messico, al fine di arginare il fenomeno dell’immigrazione. Allo stesso tempo il confine meridionale del Paese, quello con il Gautemala, è notoriamente uno dei più porosi del Sud America

MURO, IL CONFINE A NORD – Portato alla ribalta internazionale dal nuovo Presidente Donald Trump, il muro tra Stati Uniti e Messico non è una novitĂ  per gli americani. Pensato per impedire ai migranti illegali, provenienti dal Messico e dai paesi centroamericani, di oltrepassare il confine, la sua costruzione iniziò nel 1990 sotto la presidenza George W. Bush. Il primo tratto, quello tra la cittĂ  di San Diego, in California, e la cittĂ  di Tijuana, in Messico, di poco piĂą di 20 km fu completato tre anni dopo, nel 1993.

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Fig. 1 – Muro di confine tra San Diego e Tijuana

Arrivò Bill Clinton nel 1994 e il progetto fu sviluppato, articolato in tre diverse operazioni per un totale di 3.140 km di frontiera: in California prese il nome di Gatekeeper, in Texas di Hold the line, in Arizona di Safeguard. La risoluzione HR 6061, ovvero la proposta di legge denominata Secure fence Act, che prevedeva l’allungamento della barriera da San Diego fino a Yuma, quindi per tutto il confine che divide la California dal Messico, fu firmata nel 2006 nuovamente da George W. Bush. Prima di lui, la proposta fu avvallata dal Senato americano con 80 voti a favore e 19 contrari; tra i favorevoli si contarono anche i voti della futura candidata alla presidenza Hillary Clinton e dell’allora Senatore dell’Illinois Barack Obama. Infatti, la costruzione di quello che i messicani chiamano il “Muro della vergogna”, andò avanti anche sotto la Presidenza Obama, fino poi a giungere alle recenti dichiarazioni di Trump che non farà altro che continuare un progetto già iniziato da tempo e avvallato da tutti i Governi che si sono nel frattempo succeduti.

CITTĂ€ TAGLIATE IN DUE – Per noi europei è facile ricordare il muro che ha diviso Berlino fino al 1989, ma è piĂą difficile pensare che solamente l’anno successivo negli Stati Uniti d’America – il paese considerato la piĂą grande democrazia al mondo – si cominciava la costruzione di un muro che avrebbe tagliato letteralmente in due cittĂ  di frontiera come San Diego e Tijuana (complessivamente oltre 5 milioni di abitanti), come El Paso in Texas che con la cittĂ  messicana di JuarĂ©z forma un agglomerato urbano di 3 milioni di abitanti o come la piĂą piccola Nogales. Sul versante del Golfo del Messico un’altra area metropolitana di 1,5 milioni di abitanti è formata dall’unione della cittĂ  americana di Brownsville a quella messicana di Matamoros, quest’ultima in forte crescita demografica ed economica.

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Fig. 2 – Muro di confine a Nogales, tra Messico e Arizona

L’ACCORDO NAFTA – Nel 1994 venne siglato l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico denominato NAFTA, il quale creò il piĂą grande mercato senza barriere doganali al mondo, coprendo geograficamente l’intero continente nordamericano. Furono così gli Stati Uniti ad avere un decisivo vantaggio economico legato al commercio internazionale con il Messico. A Matamoros e lungo la frontiera, per esempio, aumentò il numero di maquiladoras, cioè officine di montaggio di imprese multinazionali americane (ma anche giapponesi e tedesche) impiantate per utilizzare quella manodopera messicana  disposta ad accettare salari ben piĂą bassi rispetto a quelli americani. L’industria automobilistica installò fabbriche per l’assemblaggio e la costruzione di componenti per importanti marche come General Motors, Ford, Chrysler, Bmw, Mercedes Benz.
D’altra parte il Messico, con una popolazione di 100 milioni di abitanti cresciuta molto rapidamente dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, aveva ed ha bisogno di creare opportunità di lavoro per i tanti giovani che compongono la società messicana e per i migranti che provengono dal Centro America.

IL CONFINE A SUDTapachula, a Sud del paese, sul versante pacifico, è la più importante città messicana al confine con il Gautemala e anche quella che accoglie più migranti clandestini determinati a raggiungere il “sogno americano”. Quello di Tapachula è uno degli 11 passaggi ufficiali (10 in Guatemala e 1 in Belize) che dividono il “Sud” ed il “Nord” del mondo sul continente americano. Il confine tra Guatemala  e Messico risulta di fatto la vera porta di accesso agli Stati Uniti d’America, considerato che il governo messicano si limita a concedere ai migranti regolari un permesso di transito della durata di 20 giorni che permetterà quindi di attraversare il paese per oltre 3.000 km verso Nord fino al confine americano. Sono invece 400 i passaggi informali che si trovano lungo questo stesso confine e che lo rendono uno dei più porosi e più attraversati del continente. Controllare la frontiera diventa così talmente difficile che il transito illegale viene tollerato dalle Autorità, come per esempio lungo il fiume Suchiate, dove vere e proprie organizzazioni gestiscono alla luce del sole il transito sul fiume a bordo di natanti di fortuna. Pochi pesos e pochi minuti di traghettamento per essere in Messico. Qui la storia di chi cerca opportunità di lavoro si ripete e migliaia di braccianti guatemaltechi si trasferiscono giornalmente nello stato messicano del Chiapas per lavorare nelle piantagioni di caffè a 3,5 dollari al giorno.

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Fig. 3 – Attraversamento illegale del confine tra Guatemala e Messico sul fiume Suchiate

Dopotutto, per decenni la Polizia di Frontiera della regione del Chiapas non si è mai preoccupata di controllare i passaporti dei migranti, ma piuttosto di controllare il traffico di droga. Solo negli ultimi anni, sotto la pressione degli Stati Uniti, le autoritĂ  messicane hanno cominciato ad intensificare i controlli sull’immigrazione clandestina.

MIGRANTI AFRICANI E IL PLAN FRONTERA SUR – Le cause principali che portano i migranti a partire, qui come altrove, sono miseria, guerra e disuguaglianza. I migranti che attraversano il confine tra Guatemala e Messico sono sempre stati i popoli latini, provenienti soprattutto dai paesi centroamericani di Honduras, El Salvador, Nicaragua e Costa Rica. Da quando arrivare in Europa attraverso la rotta balcanica e quella attraverso il Sahara ed il Mediterraneo è diventato pericoloso, anche i migranti africani guardano agli Stati Uniti come una nuova destinazione. Ripercorrendo così le vecchie rotte degli schiavi, si parte dall’Africa sub-sahariana per raggiungere in aereo il Brasile, da qui verso il Centro America, quindi dal Guatemala al Messico. “La bestia” è il nome del treno merci che risale il Messico fino al confine americano. Da qui, quello che fino a quel momento è stato un incubo, forse diventerĂ  un sogno. Nel 2015 si contano circa 4mila e nel 2016 circa 19mila tra africani e haitiani arrivati in Messico con l’obiettivo di attraversare il muro americano.

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Fig. 4 – Migranti africani

Da luglio 2014, però, è cambiato qualcosa nelle politiche migratorie tra Centro America, Messico e Stati Uniti, da quando cioè è diventato operativo il Plan Frontera Sur. Si tratta di un Piano imposto dagli Stati Uniti per limitare l’ingresso illegale in Messico, aumentando il numero dei passaggi formali per permetterne l’identificazione. In pratica un modo per abbassare la frontiera americana in casa messicana e procedere con operazioni massicce di rimpatrio così da limitare il problema a Nord. Nel 2016 i dati riportano circa  140mila rimpatri.

Dario Urselli

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Per quanto precedentemente spiegato, suona come stonata l’affermazione che Barack Obama pronunciò da Senatore dell’Illinois il 24 luglio 2008 in visita a Berlino quando invitava il mondo a “costruire nuovi ponti  e abbattere i muri che dividono popoli e razze”.[/box]

Foto di copertina di oswaldo rilasciata con licenza Attribution License

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Dario Urselli
Dario Ursellihttps://ilcaffegeopolitico.net/

Nato in Liguria nel 1974, papĂ  di Viola e di Leonardo, laureato in Scienze Politiche. Troppo curioso per rimanere sempre fermo, sostiene gli esami all’UniversitĂ  di Genova e alla Oxford Brookes University durante il Programma Erasmus; la tesi in Geografia Politica ed Economica (“Turismo: passaporto per lo sviluppo?”) ha visto la luce alla University of Edinburgh; a Nizza studia la lingua francese. In attesa di trovare ispirazione nel mondo del lavoro, frequenta un Corso di Perfezionamento in Cooperazione Economica, Politica e Sociale allo Sviluppo e successivamente il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo Ambientale “Laura Conti”. Una piccola cooperativa di servizi turistici lo ospita per dieci anni di lavoro, mentre attualmente gestisce con la famiglia un’impresa agrituristica nell’entroterra ligure. Nei tranquilli mesi invernali studia Fotografia – una passione di gioventĂą – e frequenta il corso di Laurea Magistrale in Geografia e Processi Territoriali all’UniversitĂ  di Bologna. Senza pregiudizi e preconcetti cerca di capire le trame che muovono gli eventi globali e descrive le situazioni umane, sperando di suscitare un sussulto nel lettore. Scrive per Il Caffè Geopolitico dal gennaio del 2017.

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