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Francia e Germania, quasi amici (I)

“L’amicizia franco-tedesca è indispensabile per ridare slancio al progetto europeo e ripercorrere il sentiero della crescita. Non risolveremo i problemi che attanagliano l’Europa senza un sincero ed intenso dialogo tra Francia e Germania“. Su Twitter, Jean-Marc Ayrault, premier francese, con un messaggio sia in francese che in tedesco di fatto scrive direttamente a Berlino, con in copia le altre 25 cancellerie dell’Unione Europea, sottolineando quanto sia fondamentale il dialogo con la Germania. Viaggio nel rapporto Francia-Germania: in questa prima parte, approfondiamo al storia di due paesi costretti a considerarsi amici

 

LA GERMANIA MINACCIA LA GRANDEUR – I dissapori esistenti tra Angela Merkel e François Hollande hanno origini lontane, ben prima che Eurobond e moneta unica diventassero oggetto di divisione. 1866: la Francia di Napoleone III guerreggia per mari e per terre contro l’Inghilterra mentre la Prussia bismarckiana sconfigge l’impero austro- ungarico a Sadowa. La vittoria è prestigiosa. La Francia comincia ad aver paura del proprio ingombrante vicino, la puissance allemande diventerà un’ossessione che correrà lungo tutto il ventesimo secolo. L’espansionismo prussiano minaccia la grandeur francese. La questione investirà, ironia della storia, gli attuali Paesi Bassi e la Zollverein (la loro unione doganale), che diventeranno, un secolo più tardi, protagonisti della prima ora dell’architettura europea. L’impasse diplomatica porterà alla guerra e alla conseguente sconfitta francese di Sedan e all’armistizio del gennaio 1871. Ai tedeschi l’Alsazia e la Lorena, palleggiate tra i contendenti sino al 1945, ai francesi un sentimento di rivincita che caratterizzerà il loro novecento.
Due guerre devasteranno il vecchio e il nuovo mondo e ridisegneranno l’Europa. Ma, se il primo schizzo dell’Europa post conflitti avrà i contorni a stelle e strisce, i profili dell’Europa contemporanea e, perché no, della sua crisi sono stati disegnati dall’intreccio diplomatico tessuto attorno all’asse vitale tra Parigi e Berlino. 1948: sulla malconcia Europa reduce dalla seconda guerra mondiale incombe lo spauracchio bolscevico.  Alle ombre nere dei fascismi si sostituiscono quelle rosse di matrice sovietica. Berlino ovest rientra nel blocco occidentale, con la Francia è cooperazione forzata. Nelle parole di Robert Schumann, allora ministro degli esteri francese e autore, il 9 maggio 1950, del discorso che getterà le fondamenta per la costituzione della CECA – prima di una serie di organizzazioni sovranazionali che avrebbero condotto all’odierna Unione – risiedono le radici della cooperazione franco- tedesca: “L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania”.
L’AMICO RITROVATO – Determinate a scongiurare una volta per tutte gli scempi conosciuti dall’Europa lungo i secoli, Francia e Germania, coadiuvate da Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia, decisero di scongiurare le possibilità di un conflitto mettendo in comune la produzione di acciaio e carbone. La fusione economica avrebbe reso, dando la parola a Robert Schumann, la scontro tra Francia e Germania “non solo impensabile, ma materialmente impossibile”.
Quasi a voler avvisare le future generazioni, il padre fondatore dell’Unione Europea aggiunge: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.” La lezione sembra però esser stata mal recepita. 22 gennaio 1963 : Konrad Adenauer e Charles De Gaulle siglano il trattato dell’Eliseo, atto a sancire la riconciliazione franco-tedesca e la nascita dell’intesa che si pensa potrà fare da motore al processo di integrazione. I nemici di secoli si scoprono amici, ma l’Europa poggia su un grande malinteso: se per il leader tedesco l’amicizia corona l’ingresso della sua Germania nel teatro delle democrazie occidentali, per il generale francese la riconciliazione non è altro che il contrappeso dell’egemonia statunitense.

 

Helmut Kohl
Helmut Kohl

IL DIKTAT DI KOHL – Ed è su questo malinteso che Francia e Germania imposteranno le loro relazioni. Sono più le circostanze che la volontà a dettare i comportamenti e i protagonisti della nostra storia lo sanno bene. L’Europa, per stessa ammissione di coloro che la plasmarono, affonda le sue radici più sul realismo politico che sull’idealismo dei padri fondatori. Se nel 1950 Schuman aveva capito come per scongiurare l’eventualità bellica sul continente fosse necessaria la cooperazione economica, nel 1992 Helmut Kohl, allora Cancelliere e grande architetto della riunificazione tedesca, va oltre. L’unione monetaria scongiurerà i conflitti futuri: “Nazioni con la stessa moneta non si fanno la guerra tra loro”.

La moneta, appunto. Non è solo un mezzo tecnico di scambio. Secondo la teoria di Joseph Schumpeter “L’essenza della moneta”, essa è la somma di tutto quello che è stato, che è, e che sarà un popolo, l’incarnazione dei suoi valori, delle sue paure e delle sue speranze. Helmut Kohl coglie l’essenza più profonda di questo insegnamento. Il futuro dell’Europa (e quello della sua crisi) ne è inscindibilmente vincolato.

Come già detto, siamo nel 1992,  epoca di mutamenti. Muore “l’ordine” di un’ Europa divisa dal muro di Berlino, risorge lo spauracchio francese di un vicino troppo ingombrante e troppo potente. Sarà il Trattato di Maastricht a ristabilire, solo momentaneamente come la storia attuale ci dimostra, un ordine. I due Stati hanno intanto mutato forma. La Germania si risveglia dall’inverno della guerra fredda unita, la Francia di Mitterand si scopre vulnerabile. La prima ha il terrore dell’inflazione, la seconda, attraverso un volontario ricorso ad essa, pone le basi per la debolezza odierna. Classe politica, sindacati e grandi industriali concordano sul percorso da seguire: aumento delle misure di protezione sociale, riforma delle pensioni e del sistema assicurativo. È il trionfo del ciclo distribuzione-inflazione-svalutazione della moneta. Ne risultano tassi di interesse reali negativi e un debito pubblico all’epoca moderato in percentuale al PIL, ma oggi ben oltre il 90%, soglia sopra la quale, secondo l’economista di Harvard Kenneth Rogoff, risulta difficilissimo produrre crescita. Crescita che si è rivelata essere il grande problema dell’Europa del Sud. Il Modello francese portò, attraverso la svalutazione competitiva, ad una progressiva perdita di concorrenzialità nei confronti degli altri Paesi, specialmente dell’amico ritrovato tedesco e del suo “Mark fort”.

 

EUROPA ALLA FRANCESE – Secondo un modo di dire in voga oltralpe, ai Francesi l’Europa piace solo se sono loro a disegnarne i contorni. Mitterand non vuole rinunciare alle proprie ambizioni europeiste messe a dura prova dal contesto economico, prostrato da anni  dal laxisme à la française. La spirale congiunturale lo spinge a virare sulla “disinflazione competitiva”: tassi d’inflazione allineati a quelli dell’amico virtuoso e parità tra Franco e Marco gli obiettivi del socialista. Abbattute inflazione e svalutazione monetaria, lo Stato francese continua ad investire, provocando l’incremento esponenziale del debito pubblico.

Il debito è da sempre un problema francese. Sin dai tempi di Luigi XIV, che lo portò secondo le stime, dall’83 al 167 % per cento del PIL: no, la Francia di Re Sole non sarebbe stata eleggibile per l’Euro.

Con le sue radici ben connaturate nella storia, la crisi attuale riposa sull’ennesimo compromesso tra Francia e Germania, tra Mitterand e Kohl, in quel di Maastricht, 1992. Come disse Kohl: “Agii come un dittatore quando decisi di fare tutto il possibile per l’introduzione della moneta unica. Spinsi con Mitterand e con la stessa opinione pubblica tedesca, non convintissima. Se avessi chiesto loro attraverso un referendum, sicuramente l’avrei perso”. Sembra questa la lezione scaturita dalla prima frazione di storia dell’amicizia franco- tedesca: i nemici di ieri sono diventati gli amici di oggi, amici che litigano, certo, ma che comunicano. La crisi del debito sovrano che stringe l’Europa nelle sue grinfie pone però un’irrimandabile questione, mettendo in discussione un vecchio adagio popolare : ci può essere amicizia che duri in materia di denaro?

 

 (I. Continua. Leggi qui la seconda parte)

 

Simone Grassi
   

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Simone Grassi
Simone Grassi

Fiero membro della cosiddetta generazione Erasmus, ho studiato in  Italia e in Francia. Laureato magistrale in Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Milano),  frequento  ora un Master di ricerca in Economia Politica all’Università di Bristol. Convinto europeista, sono stato stagista alla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Oltre all’economia e alla politica internazionale, mi affascina il mondo della cooperazione allo sviluppo, un mondo che ho maggiormente scoperto durante un tirocinio in UNICEF.

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