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Le molte ombre del caso Emergency

L’arresto di tre medici italiani, e di altri sei membri del personale, nell’ospedale di Emergency di Lashkar Gah, nell’Afghanistan meridionale, è una vicenda in cui non mancano le ombre e i punti interrogativi.

I FATTI – Le questioni da affrontare sono principalmente tre: la dinamica dell’accaduto, le motivazioni dei servizi di sicurezza afghani, e la reazione del governo italiano. Per quanto riguarda la dinamica, è lecito domandarsi per quale motivo, se i servizi afghani stavano tenendo d’occhio l’ospedale da mesi, come emerge dalle dichiarazioni dei vari portavoce susseguitesi nelle ultime ore, abbiano fermato solo gli esecutori materiali dell’ipotetico attentato, senza curarsi andare a monte, senza cioè individuare e attaccare chi faceva da tramite tra i cooperanti italiani e la Shura di Quetta, il consiglio talebano che dal Pakistan detta le mosse della resistenza afghana, e con cui, stando a dichiarazioni poi confusamente smentite, gli Italiani sarebbero stati in diretto contatto. Inoltre, a sentire i portavoce governativi, i servizi di sicurezza erano informati nei minimi dettagli di ciò che sarebbe successo: apparentemente, il piano consisteva nel compiere un primo attentato in un mercato cittadino, per poi portare a termine un secondo attacco nel momento in cui il governatore della provincia di Helmand si fosse recato a visitare i feriti nell’ospedale di Emergency, il che avrebbe implicato necessariamente la distruzione dell’ospedale stesso. A parte i dubbi generati dall’idea che dei medici con anni di esperienza umanitaria alle spalle potessero pensare di portare la guerriglia all’interno di un ospedale, anche la fin troppo dettagliata descrizione dei piani della presunta cellula terroristica desta qualche sospetto. Infatti, tanti dettagli possono venire, alternativamente, o dalla fantasia o da un informatore; lasciando da parte la prima ipotesi, nel caso di una “soffiata” si torna alla domanda precedente, ossia, come mai non si è andati a monte?

LA NATO, KARZAI ED EMERGENCY – Altro particolare di non poco conto è la presenza o meno di truppe ISAF durante il raid nell’ospedale, e il coinvolgimento della NATO nell’operazione in generale. Nonostante le smentite dei vertici militari, esisterebbe un video che ritrae soldati ISAF all’esterno e all’interno dell’ospedale, e inoltre il Sottosegretario italiano agli Esteri Alfredo Mantica avrebbe confermato il coinvolgimento della Coalizione nella vicenda. Anche in questo caso, sono tante le domande: è possibile che l’ISAF, di cui il contingente italiano è parte integrante, partecipi ad un’azione di polizia diretta contro un ospedale gestito da un’organizzazione italiana, prendendo in custodia personale italiano, senza che il nostro Governo, o perlomeno i vertici militari italiani, ne siano a conoscenza? Perché, nonostante la gravità delle accuse formulate ai danni dei tre italiani, è così difficile definire con certezza quali forze siano coinvolte nell’azione che ha portato al raid e agli arresti? Il governo afghano, da parte sua, sembra avere un conto aperto con Emergency. Già tre anni fa, in occasione del sequestro del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, la polizia afghana aveva imprigionato un membro afghano dello staff di Emergency, Ramatullah Hanefi, con l’accusa, poi rivelatasi infondata, di essere implicato nella vicenda. I contrasti sono dovuti principalmente al fatto che Emergency, attraverso la sua rete di ospedali e centri di primo soccorso, fornisce assistenza a chiunque ne abbia bisogno, includendo dunque combattenti talebani, comportamento che ha generato la diffidenza del governo di Kabul, portando ad accuse più o meno esplicite di fiancheggiare la resistenza talebana. Non sembra a questo punto così inverosimile la lettura dei fatti che vedrebbe il governo Karzai, i cui due pilastri fondamentali sono l’appoggio incondizionato di Washington e una vasta rete clientelare, tentare di estromettere l’ONG italiana per poter controllare senza condizionamenti il rapporto con la guerriglia. Sono noti, infatti, i tentativi di apertura di Karzai verso i Talebani, tentativi mirati però più ad un accordo di power-sharing che a un dialogo più ampio sul futuro dell’Afghanistan; all’interno di questa linea d’azione, peraltro appoggiata più o meno apertamente dalla NATO e da Washington, l’azione umanitaria di Emergency risulta senza dubbio un elemento di disturbo, sganciato dai giochi di potere tribali e clientelari di Karzai.

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IL SILENZIO DI ROMA – In questo contesto può essere letta anche la manifestazione contro Emergency, tempestivamente organizzata davanti all’ospedale di Lashkar Gah all’indomani del raid, e a cui è stata garantita ampia copertura mediatica. In tutta la vicenda, però, desta stupore soprattutto il comportamento del governo italiano e della rete diplomatica della Farnesina. Non ci sono state richieste di chiarimento né al governo afghano né tantomeno ai comandi ISAF, solo un generale monitoraggio della situazione. Nonostante la reputazione di Emergency, guadagnata in quasi due decenni di lavoro in tutto il mondo, la Farnesina pare essersi allineata alle (confuse) posizioni della polizia afghana, col ministro Frattini che dichiara che “un eventuale coinvolgimento sarebbe una vergogna per l’Italia” o che le dichiarazioni di Gino Strada, fondatore dell’ONG, “sembrano dichiarazioni politiche, e non quelle di un medico che vuole salvare la vita alla gente”. L’atteggiamento rilassato, per usare un eufemismo, della Farnesina, è spiegabile in alcuni modi diversi: è possibile che a Roma fossero a conoscenza di tutti i dettagli della vicenda già in precedenza (il che costringe a rivedere la questione del coinvolgimento dell’ISAF e le dichiarazioni della Farnesina), oppure che stiano rispondendo a una direttiva proveniente dall’Afghanistan, che li spinge a non intervenire in maniera eccessivamente pesante in questa impasse, che si configura sempre più come una sorta di resa dei conti tra Kabul ed Emergency.

GLI SCENARI – La vicenda è ancora in pieno svolgimento e ben lungi da una conclusione chiara ed univoca, ed è quindi prematuro dare giudizi troppo netti. Il coinvolgimento del personale di Emergency, benché a prima vista inverosimile, potrebbe essere reale, come potrebbe trattarsi di una montatura per esautorare Emergency, minandone la reputazione di imparzialità e il ruolo di organizzazione al servizio della comunità. Ad ogni modo, è possibile delineare le principali fonti di incertezza in tutta questa strana vicenda: il coinvolgimento dell’ISAF, e quindi della NATO, resta un notevole punto interrogativo, e non solo per quanto riguarda gli affari interni afghani, ma anche, evidentemente, in relazione al ruolo svolto del governo e dai vertici militari italiani. Il rincorrersi di dichiarazioni e smentite riguardo presunte confessioni, accuse, coinvolgimenti e piani terroristici, non aiuta certamente a far luce su quanto sta avvenendo nella provincia di Helmand; sembra, però, che le azioni dei servizi di sicurezza afghani abbiano, fino ad ora, seguito un canovaccio prestabilito, ma al momento la situazione stia sfuggendo di mano a tutti. In ultimo, appare quantomeno strana la posizione adottata dalla diplomazia italiana, che pare aver accettato senza riserve la versione afghana secondo cui l’ospedale di Lashkar Gah ospitasse una cellula terroristica pronta a colpire. Rimane da stabilire se la posizione italiana sia dovuta a un malcelato fastidio nei confronti di Emergency, a una direttiva impartita dall’Afghanistan, o a una conoscenza dei fatti più approfondita di quanto le dichiarazioni vogliano far intendere.

Lorenzo Piras

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