Recentemente, come si era già verificato più volte nel passato, le forze di sicurezza afghane, in particolar modo gli uomini della cosiddetta Border Police (polizia di frontiera), si sono scontrati con appartenenti al Frontier Corps pakistano. Questi ultimi sono paramilitari incaricati di agire come rappresentanti dell’autorità statale all’interno del difficile territorio delle FATA. Per spiegare cosa significhi tale acronimo, va raccontata brevemente la divisione amministrativa della Repubblica Islamica del Pakistan.
UN QUADRO GENERALE – Sostanzialmente il suddetto stato è diviso dal 1971, anno della nascita del Bangladesh (ex Pakistan orientale) in quattro province estremamente dissimili tra loro se osservate secondo parametri etnico-sociali. Ad esse vanno aggiunte il Kashmir, perennemente instabile a causa del confronto con il vicino indiano, e le FATA medesime, ovvero le Aree tribali amministrate dal governo federale. Queste sono territori, o meglio “agenzie” secondo la dizione locale, nelle quali il controllo governativo è assolutamente minimo, le leggi in vigore sono diverse rispetto a quelle del resto del paese (in virtĂą di una differente ereditĂ coloniale britannica) e, problematica maggiore, sono estremamente infiltrate da gruppi terroristici aventi agende molteplici: chi è votato al rovesciamento del governo pakistano medesimo (vedi Tehrik-i-Taliban, meglio conosciuti come Talebani pakistani) e chi del governo afghano (leggi la Rete Haqqani). La ciliegina sulla torta è rappresentata, invece, dalla falange internazionalista di Al-Qaeda, che ha come punto centrale la jihad internazionale in generale e l’umiliazione delle truppe della NATO e straniere in particolare.
LA CONTESA – Gli scontri verificatisi rientrano proprio in questa cornice estremamente complessa di eventi ed interessi divergenti. La domanda che potrebbe facilmente emergere è la seguente: perchĂ©? La risposta è prontamente esposta, sebbene possa declinarsi in molteplici forme a seconda che sia avanzata dal governo afgano di Hamid Karzai o da quello pachistano.
Se si desse credito a quanto afferma il primo, gli scontri recenti nei quali sono morti un soldato afghano e rimasti feriti due pakistani sarebbero dovuti allo sconfinamento territoriale degli uomini di Islamabad. Infatti, la questione ruoterebbe attorno al fatto che il già citato Frontier Corps abbia costruito dei punti di osservazione e controllo (praticamente dei veri e propri checkpoint) sulla cosiddetta Torkham Road, collegamento che unisce la città afghana di Jalalabad, capoluogo della provincia di Nangharar, e Peshawar, principale insediamento urbano situato nel Pakistan nordoccidentale.
La questione risulta essere, però, ancor più complicata in ragione del fatto che il governo Karzai, così come la stragrande maggioranza del Parlamento nazionale, non riconosce il confine internazionale come esatto. Proprio ciò ha portato a ritenere che le forze del vicino fossero sconfinate ed avessero sostanzialmente installato posizioni illegittime all’interno del territorio nazionale, venendo di conseguenza a configurare la situazione come una vera e propria occupazione manu militari. Le accuse sono state aggravate dal fatto che sembrerebbe, sempre secondo ricostruzioni locali, che lo scontro a fuoco fosse avvenuto dopo un’accesa discussione tra le diverse forze in campo riguardo la collocazioni di questi checkpoint, nonché sull’ospitalità data ad alcuni sospetti considerati dalle forze di confine afghane come terroristi, circostanza smentita nettamente dalla controparte.
La versione dei fatti esposta dal ministro degli esteri pakistano è ovviamente piuttosto dissimile rispetto a quella sopra riportata: lo scontro si sarebbe sostanziato in quanto gli afghani sarebbero giunti con fare minaccioso ed armi in pugno a reclamare un luogo e strutture non appartenenti a loro, anche in quanto il checkpoint sarebbe stato situato oltreconfine.
IL CONTESTO STORICO – La vexata quaestio, in realtĂ , deriva anch’essa da una problematica di stretta origine coloniale. Infatti durante l’amministrazione britannica l’attuale confine internazionale, conosciuto come Durand Line dal nome del suo estensore, venne tracciato dall’allora Impero Britannico in seguito alla conclusione della Seconda Guerra Anglo-Afghana (e riaffermata dopo la Terza), con l’impegno che le forze europee non avrebbero piĂą varcato la linea suddetta separante uno stato formalmente indipendente. Tuttavia la particolaritĂ che non venne in quel frangente presa in considerazione fu che a cavallo di quel confine abitavano (come tutt’oggi, per la veritĂ ) popolazioni di medesima etnia, tradizione e legami familiari, ovvero i pashtun. Proprio per tale ragione, come menzionato precedentemente, anche oggigiorno vi sono rivendicazioni da parte dell’Afghanistan, mentre il Pakistan ha sempre accettato come legittimo il confine, sin dalla sua nascita nell’agosto 1947.
UNO SGUARDO SUL DOMANI – Le prospettive future non potrebbero essere peggiori. Ciò soprattutto a causa del fatto che il nazionalismo afghano in questi ultimi anni è aumentato di molto in virtĂą di diversi fattori: innanzitutto l’accresciuta centralitĂ (seppur limitata dal punto di vista occidentale) del potere governativo; poi il risentimento nei confronti degli organi di governo pakistani, specificamente il famigerato servizio segreto ISI, accusati di ospitare ed aiutare proprio nelle aree tribali alcuni tra i piĂą virulenti gruppi terroristici; infine l’elemento tipico della storia del paese, cioè quella spinta all’unitĂ e coesione che si verifica sempre di fronte ad un nemico esterno nonostante i deboli legami interni esistenti in tempo di pace. Da sottolineare come per la stessa Kabul i luoghi degli scontri siano assolutamente fondamentali per qualsiasi tipo di commercio, dato che essendo l’Afghanistan uno stato senza sbocchi sul mare e lontano dai principali porti oceanici, la strada interessata dai suddetti checkpoint (la famosa e rilevantissima Torkham Road conduce infatti sino a Karachi) deve in un modo o nell’altro rimanere aperta alla circolazione delle merci.
Per quanto riguarda il Pakistan invece, è bene ricordare che la possibile “arma” derivante dal parziale controllo dei gruppi combattenti potrebbe essere uno strumento utile ad indebolire la controparte. Su questo punto, tuttavia, un aspetto mitigatore è dovuto al fatto che il governo degli Stati Uniti non vedrebbe di buon occhio tali mosse, oltre alla possibilità che a causa di azzardi mal calcolati si potrebbe incoraggiare un abbraccio ancora più stretto tra Kabul e l’India, considerata dal Pakistan come la sua nemica primaria. Ad ogni modo la prospettiva di un Afghanistan debole, anche se in grado di resistere agli assalti degli insorti, è ancora la migliore per il vicino pakistano, che preferirebbe godere ancora per molto tempo della “profondità strategica” garantita da tale condizione.
Tuttavia non va dimenticato che dopo le elezioni politiche in Pakistan dello scorso maggio la situazione del paese potrebbe in un certo qual modo modificarsi rispetto a ciò che è accaduto negli ultimi anni, data l’affermazione elettorale di Nawaz Sharif, potente capo della Lega Musulmana del Pakistan (Fazione Sharif). Quest’ultimo, già nei mandati risalenti agli anni ’90, si è dimostrato molto più accomodante con i gruppi islamisti rispetto ai più laici rappresentanti del Partito del Popolo Pakistano (PPP), ed infatti anche questa volta nel programma di governo vi sarebbe l’intenzione di un accordo con i gruppi talebani. Ciò che però non va mai scordato è che a “sorvegliare” i presunti accordi vi sono i droni degli Stati Uniti, che nelle scorse settimane hanno nuovamente colpito, uccidendo Waliur Rehman Mehsud, vice comandante del gruppo Tehrik-e-Taliban e, secondo quanto spesso riportato, soggetto più incline a possibili trattative.
Luca Bettinelli